Con grande piacere pubblichiamo un secondo breve racconto della nostra amica Macariolita.
La prima impressione era stata l’odore di metallo, gomma fusa e fumo attaccato alle mani e ai vestiti, forse anche alle pareti del naso. Lo aveva sentito entrare dal finestrino aperto poco prima che il treno imboccasse l’ultimo scambio prima che apparisse la pensilina di Milano Centrale.
Le arcate immense della stazione amplificavano i rumori, soprattutto quelli dei freni delle locomotive, e ad ogni fischio l’odore acquistava intensità. Claudio immaginò una nuvola aromatica trattenuta dalla copertura a vetri, immensa serra ferroviaria, e contenuta a sua volta dalla cappa di smog della città. Si catapultò giù dalla scaletta ripida incespicando sui propri piedi, impacciato e contento.
Non era mai stato a Milano prima, almeno non fisicamente. La città, o meglio il suo nome, aveva accompagnato però molte delle sue esperienze di bambino: giocattoli, libri, caramelle e Carosello, con i bambini che aprivano e chiudevano le vocali in modo strano, venivano da lì. In via Bianca di Savoia, via Solferino e via Crocefisso, poi, nascevano i giornalini. Tutti lì a Milano.
Il viaggio era durato molte ore e il sole stava calando, Claudio lo aveva osservato nascondersi dietro i palazzi nell’ultima mezz’ora di percorso. Si era chiesto se uno tra quei casermoni contenesse, tra qualche centinaio di persone, anche gli amici che lo avrebbero ospitato, ma poi aveva stabilito di no: lui veniva da sud, e Giorgio era stato preciso nelle indicazioni, direzione nord, viale Fulvio Testi.
Con istruzioni così esatte, in una città dove tutto era segnalato alla perfezione, perdersi era impossibile anche per un imbranato come lui, e presto Claudio suonò al citofono di un palazzo isolato tra due fabbriche dai muri giallastri.
“Sali, su! Sbaglia no la porta, è quela rossa”
Oltre l’uscio di legno dipinto apparvero Linda e Giorgio. Due pacche sulle spalle, le mani di Linda infarinate e un po’ ruvide. “Oggi fettuccine! Magari faran schifo, mai preparate prima, vi accontentate, oh”. Lo zaino di Claudio trovò posto in un angolo del corridoio, vicino a due caschi da moto e ad altri fagotti.
“Levati le scarpe, basta che non ci hai su i calzini dell’anno scorso…no? Perché così non puliamo, e poi siete voi che dovete stendere a terra i sacchi a pelo. L’albergo qui è categoria una stella, ma buona” rise Giorgio, e fece strada fra pile di libri, tubi di cartone per manifesti e strumenti musicali, fino a una stanza grande e colorata, riempita da quattro persone intente a cantare. Claudio accennò un saluto e stava per presentarsi, ma la canzone non si interruppe e lo avvolse. Mai sentita prima, dalle sue parti.
“Ters pian, quarta ringhera/La lues l’è ammò pissada/e mi sunt chì che cammini avanti e indrè/me fa male i pè, me fa male i pè/LINAAAA!!”
Girava una bottiglia di vino rosso ma i cantanti non sembravano sbronzi, solo molto affiatati, e il ragazzo alla chitarra teneva il tempo senza sbavature. Lo chiamavano Borga, forse un cognome, forse un soprannome, chissà.
“La luna/L’è una lampadina…”
Fuori dalla finestra in effetti la luna non si vedeva, solo i riflessi dei lampioni e i fasci di luce dei fari delle auto. E anche a Claudio facevano male i piedi, e anche la casa dove si trovava era al terzo piano, con la luce accesa e i ballatoi all’interno di un cortile. Solo che non camminava avanti e indietro per la strada, ma era seduto al caldo tra persone che gli sorridevano senza che si fossero presentati.
“Com’è che ti chiami? Ah sì, Claudio, proprio un nome da romano! Oh, ti sarai mica offeso? Dai, che domani ti portiamo al Derby. Ci va pure Jannacci, ogni tanto”.
Non ci poteva credere. Jannacci, quello di Messico e nuvole? Ma dove era capitato?
“Lavorate in televisione, voi?”
La domanda scema gli era partita prima di pensarci, e fu accolta da grandi risate.
“Seeee…il Borga qui fa consegne col furgone. Marisa è dattilografa a Sesto, Renato turnista alla Marelli, solo Franca è ragioniera, studiata…almeno una che sa fare i conti ci vuole!” tuonò Giorgio. Anche lui aveva rimediato un diploma, qualche anno prima, con più fatica e meno entusiasmo rispetto a Claudio. La sua scuola vera erano stati i centri sociali e l’impegno sindacale in azienda: roba utile dal ritmo concitato, per niente paragonabile alla lentezza meditabonda delle versioni di latino e dei ripassi di filosofia che avevano riempito la vita di Claudio fino a pochi mesi prima.
“Chi non alza il culo non mangia! Forza con questa tavola!” Il richiamo di Linda riscosse cantanti e ascoltatori. Marisa indicò a Claudio le sedie pieghevoli di legno: “Portale di là, che ti fai i muscoli…palestra tu niente, vero?”
“Nel mio quartiere le uniche palestre sono sale pesi, piene di bufali. Lascia perdere.” Al ragazzo tornarono in mente i quattro tipi che aveva incontrato una sera sotto casa, gli avevano tirato via il berretto e se lo erano palleggiato tra di loro strafottenti e torvi. C’era entrato anche un calcio nel sedere, e alla fine il berretto era rimasto a loro, tanto non valeva un gran che. Roba passata che non aveva raccontato a nessuno, ma qui sentiva di poterlo fare e lo fece.
“Quelli che arrivano a dirlo. Nel senso che ora sei qui a raccontarla”, chiosò il Borga.
“Quelli che ti spiegano le tue idee senza fartele capire!” strillò Linda, arrivando con la zuppiera delle fettuccine.
“Quelli che organizzano tutto, oh yeah” rispose Giorgio, togliendole galante la zuppiera dalle mani e iniziando a riempire i piatti. Senza quasi rendersene conto Claudio si ritrovò seduto su una delle sedie che aveva spostato, incastrato fra Marisa e Franca.
“Quelli che fanno un mestiere come un altro, oh yeah”, e giù una forchettata di pasta.
“Quelli…quelli di Roma!!”
“Quelli che ogni volta che si svegliano trovano un milione sul comodino”.
Poteva essere vero, anzi, lì era tutto vero. Si poteva inventare una vita, vera.
Omaggio a Beppe Viola, autore di “Vite vere compresa la mia” e di molto, molto altro.
(e poi arriva Linus, ci sono i Linus nella casa…Beppe Viola. Lo spirito di Beppe ritrovato negli amici…)
(Citazione da “Quelli che”, vedi libro…con la dedica: a Beppe (Viola)).
Roma, 30 settembre 2018.
Nessun commento
No comments yet.
RSS feed for comments on this post. TrackBack URL
Sorry, the comment form is closed at this time.