Il testo che qui proponiamo è tratto dal volume Véronique. “Dialogo della storia e dell’anima carnale” del grande scrittore francese Charles Péguy, edizioni Piemme, 2002. E’ un breve dialogo tra Clio, la Storia, e Calliope, la musa della poesia, che tratta delle ninfee di Monet, forse il tema pittorico più noto del grande pittore francese.
Péguy, nato nel 1873 e morto nel 1914, proveniente da una famiglia di Orléans, rivendicò sempre con orgoglio la sua appartenenza al popolo, alla gente semplice. Dopo aver militato in gioventù nel partito socialista, ritrovò la sua fede cattolica senza rinnegare nulla della sua storia. Poeta e saggista, nel 1900 fondò la rivista «Cahiers de la quinzaine» e pubblicò numerose opere in versi e prosa.
In Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale, c’è Clio, la Storia, che si affanna a cercare le tracce nel passato. E «una bambina, la piccola Veronica, che tira fuori il suo fazzoletto e sul volto di Cristo prende un’impronta eterna. Lei si è trovata al momento giusto. Clio è sempre in ritardo» scrive Péguy.
Il dialogo è tra Clio, la Storia e Calliope, la musa della poesia epica, figlia di Zeus e Mnemosine, conosciuta come la Musa di Omero, l’ispiratrice dell’Iliade e dell’Odissea. Proprio nelle primissime pagine dell’opera Clio accenna a Monet e alle sue «mirabili ninfee». Anzi, di una sola, la prima della serie.
“Quel gran pittore dipingendo venticinque e trentacinque volte le sue celebri, mirabili ninfee ha dipinto anche (e proprio in quello) un grande problema, un concentrato di grande problema, un problema di limite, un singolare problema di maximum e di minimum. Dato che ha dipinto venticinque e trentasette ninfee, anche se sono cose tutte uguali, quale sarà la migliore, la meglio dipinta? Quale sarà la volta migliore? Il primo impulso, l’impulso del buon senso, l’impulso logico, in un certo senso l’impulso meccanico è quello di dire: l’ultima, perché da una all’altra fino all’ultima continuamente, acquista, guadagna, incamera (e trattiene ciò che si incamera) (condizione necessaria e sine qua non), sale sempre più. È un impulso illusorio. È proprio la teoria del progresso. La teoria dell’inganno e del disinganno. È l’idea, è la teoria del progresso temporale indefinito per l’uomo e per l’umanità. Abbiamo dimostrato che questa teoria, sostanzialmente moderna, è
sostanzialmente, essendo all’interno del moderno, una teoria del risparmio e di cassa di risparmio, di fecola e provvista, una teoria di (della) capitalizzazione e dell’era della capitalizzazione. E io dico: La creazione artistica, l’operazione non è affatto un’operazione di capitalizzazione borghese. Intanto che acquista ogni volta, intanto che guadagna, invecchia; mentre acquisisce mestiere, e abitudine (il guadagno), comincia anche, comincia ogni volta ad invecchiare, acquista abitudine (la perdita), guadagna vecchiaia, acquisisce vecchiaia, guadagna da perdere. Perde la freschezza, perde l’innocenza prima, quel bene unico che non si può rinnovare. E io dico: La prima volta sarà la migliore, piuttosto, perché è la meno abituata; la prima ninfea sarà la migliore, perché è la nascita stessa; e l’alba dell’opera; perché ha il maximum di ignoranza, il maximum di innocenza e di freschezza; anche se sono cose così uguali, la prima ninfea è la migliore, perché sa di meno, perché non sa. No, non l’ultima, proprio no, perché sa di più. Assolutamente no, se sa tutto. L’abitudine, che (grande) forza; che gran debolezza.
Tutto il problema del genio è proprio là. L’ultima ninfea sarebbe la migliore parlando nella lingua della logica, se la realtà consentisse di parlare la lingua della logica. Ma lei, taccagna, non lo consente. L’ultima ninfea sarebbe la migliore se si seguisse la teoria, la logica della capitalizzazione moderna, se la realtà consentisse di essere proprietari di quel libretto di cassa di risparmio, ma lei, la sperperatrice, non lo
consente; la natura non lo consente affatto, la natura pezzente e miliardaria, mai povera, mai saggia, tutta piena e tutta tronfia nella sua rigogliosa fecondità.
E allora te lo dico: La prima sarà la migliore, perché non sa, perché è lei che è ancora tutta piena di stupore, anche se sono cose tutte uguali, tutta piena di qaumaxein e di novità. È tutto un problema di genio, anzi, tutto il suo problema temporale è forse là: guadagnare, se si può (ma questo non è molto importante), ma senza perdere; guadagnare, acquisire mestiere, Dio mio, sì, ma, soprattutto, essenzialmente non perdere in stupore e novità, non perdere il fiore, se è mai possibile non perdere neanche un atomo di stupore. È la prima che conta. È lo stupore che conta, principio indiscusso di scienza, come ha detto quell’Antico (Aristotele, ndr), ma non tanto principio di scienza quanto davvero e realmente, quanto infinitamente di più tra i più profondi principi dell’adorazione.”
Roma, 4 marzo 2018
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