Shirubia Rippi è lo pseudonimo di una ragazza che frequenta l’ultimo anno di scuola media, appassionata di racconti e romanzi gialli. Con piacere pubblichiamo questo suo primo racconto.
Nella mia piccola città era molto raro che qualcuno potesse commettere un omicidio, perché era un luogo molto tranquillo. Fino a quando arrivò l’estate.
Era una giornata come tutte, il cielo era sereno ed io ero nel mio ufficio a firmare dei documenti che mi aveva dato il capo qualche giorno prima.
So che a voi sembrerà strano, ma sono una poliziotta. E i poliziotti, non riposano mai.
Mentre stavo per finire di firmare i documenti, il telefono del mio ufficio cominciò a squillare. Alzai la cornetta e risposi.
Al telefono c’era una donna, e si capiva dal suo modo di parlare che era spaventata per qualcosa. Mi disse, con la voce tremante, che suo marito era sdraiato per terra morto, e che teneva una pistola in mano.
Dopo la chiamata andai dai miei colleghi per avvisarli dell’accaduto, uscimmo dalla Questura e in una quindicina di minuti arrivammo sulla scena del crimine.
La vittima si trovava in cucina, sdraiata, con il sangue che fuoriusciva dalla tempia. La mano destra, coperta da un guanto bianco, teneva l’arma del delitto.
Tutto lasciava pensare che fosse un suicidio, ma c’erano alcuni dettagli che non quadravano. Per esempio, la tempia del morto non aveva nessun segno di bruciatura. Inoltre la moglie aveva dichiarato che il marito era mancino. Come mai il cadavere teneva la pistola con la mano destra? E perché questa era coperta da un guanto?
Proprio perché non tutto tornava io e i miei due colleghi decidemmo di ispezionare la casa alla ricerca di indizi. Così scoprimmo un dettaglio che la signora non ci aveva detto: nel suo cassetto del comodino nella camera da letto, c’erano un sacco di guanti bianchi. Erano gli stessi di quello indossato dalla vittima.
Chiedemmo alla donna perché tenesse tutti quei guanti e lei ci rispose che soffriva di misofobia, ovvero della paura della sporcizia, e che aveva bisogno di cambiarli ogni giorno.
Il dettaglio del guanto collegava la moglie al delitto.
Mancava il movente.
Il medico legale aveva dichiarato che l’omicidio era avvenuto tra le due e le quattro del pomeriggio. Per questo motivo io interrogai la moglie per chiederle dove fosse intorno a quell’ora e i miei due colleghi andarono dai vicini per sapere se loro avessero visto uscire o entrare qualcuno da quella casa.
«Signora Lavia,» – chiesi – «Mi potrebbe dire dove era tra le due e le quattro del pomeriggio di oggi? ».
La donna rispose con molta calma: «Beh! Sono andata a fare la spesa verso le tre e un quarto. »
“Mmmm…, trenta minuti prima della chiamata che mi aveva fatto”, pensai.
Mi ero poi accorta che in casa non c’era nessuna busta della spesa e che gli scaffali della cucina e il frigo erano completamente pieni. Così commentai: «Ma in casa non c’è alcuna busta. E per di più, ho notato, che ha già tutto il necessario».
«Infatti» – mi rispose – «me ne accorsi dopo. Sono una persona un po’ distratta».
Da lì pensai che la donna poteva non avere un alibi.
Poi arrivò Luca, uno dei miei colleghi, dicendomi: «Maria, abbiamo trovato altre informazioni. Vieni in salotto».
Annuii e lo seguii fino ad arrivare in salotto. Questo era una stanza piccola. Vi erano un divano e una poltroncina davanti al camino….acceso.
La cosa mi sembrò strana, visto che eravamo in piena estate!
Seduto sul divano Marco, l’altro mio collega, ci aspettava.
Io mi sedetti sulla poltroncina e Luca rimase in piedi.
Accavallai le gambe guardando i miei colleghi, specialmente Marco, che si mostrava leggermente nervoso.
Dopo qualche minuto chiesi: «Allora. Avete trovato qualcosa d’importante?».
«Eccome!» rispose Luca.
Dopo quella risposta sorrisi e dissi: «Bene, sono tutta orecchie!»
Luca stava per parlare, quando Marco intervenne interrompendolo con un tono un po’ nervoso: «I vicini ci hanno detto che la signora ha lasciato l’appartamento alle tre e quindici precise ed è tornata verso le quattro meno un quarto».
«Proprio all’ora alla quale ha trovato la vittima» commentai.
«Ma» – aggiunse Luca – «quando la signora è tornata, i vicini hanno notato che i guanti che indossava erano sporchi di una polvere nera».
«Polvere nera?!?» – chiesi con un’espressione un po’ sorpresa – «Com’è possibile? Lei sostiene di essere andata a fare la spesa!»
Luca a quel punto sorrise, lui adora il momento in cui un dettaglio s’incastra con un altro.
«Ora è tutto chiaro!» – esclamò – «basta solo cercare i guanti e capire che tipo di polvere li sporca e scopriremo come è veramente andata!»
Finalmente potevamo scoprire il colpevole, ma Marco si alzò e disse: «Sei cieco o cosa?!? Abbiamo ispezionato tutta la casa, ma non abbiamo trovato nessun guanto sporco!»
Da lì cominciarono a litigare, come al solito!
Una sospettata, un sacco d’indizi e niente prove per incastrarla.
Eravamo ancora al punto di partenza!
Come diamine aveva fatto l’assassino a uccidere l’uomo? E per di più, dove li aveva buttati i guanti sporchi, che non avevamo trovato controllando l’intera casa?
Guardai il fuoco per pensare, ma notai, proprio sulla legna che ancora non bruciava, un qualcosa che sembrava una stoffa bianca. Decisamente quel bianco non poteva essere un pezzo di legno. Assomigliava molto di più a un guanto, o meglio al “guanto” che sarebbe servito per incastrare la donna.
Mi alzai di scatto esclamando: «Trovato!»
Luca fece un sobbalzo, e Marco mi guardò sorridendo, sapeva che quando reagivo in quel modo avevo scoperto qualcosa.
«Cavolo, Maria! Sai che mi spaventi quando fai così» – disse Luca.
Non gli risposi.
Andai subito a prendere la pinza tra gli attrezzi per la legna che erano accanto al camino, e con quella presi il guanto dal fuoco, lo poggiai a terra e si spense subito.
Luca si avvicinò per vedere che cosa fosse, e quando vide che era il guanto, sorrise più che mai.
«Eccolo!» – esclamai – «uno dei guanti della signora Lavia!».
A questo punto Marco si avvicinò un po’ confuso: «Come uno?!? E l’altro dov’è?».
Al momento restai colpita dalla frase di Marco, ma poi mi venne a mente un piccolo dettaglio che avevo tralasciato, così dissi ai miei colleghi:
«Marco, tu chiama la sospettata; tu, Luca, chiama gli altri colleghi».
«So chi è il colpevole!»
Probabilmente avete già intuito chi sia l’assassino, ma vi dirò come è andata.
La signora Lavia, come confermato dai vicini, era uscita alle tre e un quarto, ma alcuni avevano anche affermato, cosa che ci era sfuggita, che essa si era diretta verso il retro della casa.
Quindi la signora Lavia era entrata in casa passando dalla porta sul retro, aveva potuto sparare alla tempia del marito, e dopo aver aspettato qualche minuto, era ritornata sul davanti della casa, facendo finta di tornare in quel momento, pensando di non essere stata notata dai vicini.
Prima di chiamarmi, aveva messo un guanto alla vittima mentre l’altro, sporco di polvere da sparo, lo aveva buttato nel camino per distruggere le prove.
Ma perché aveva fatto tutto questo?
Beh! L’uomo la tradiva con un’altra donna.
Mi colpisce sempre come gli assassini cerchino di cancellare gli indizi e nascondere dettagli. Anche la Signora Lavia aveva commesso questo errore.
Nella mia mente pensai che quello era un “delitto leggermente sporco”.
Roma, 6 giugno 2018
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