Trastevere è uno dei quartieri antichi di Roma che ha ceduto molto del suo carattere alla modernità e alla contemporaneità del “mordi e fuggi”. Chi cammini oggi per le
del quartiere incontra ristoranti, trattorie, bar, negozi finti alternativi e botteghe storiche che spesso, loro malgrado, di storico non hanno più nulla. Difficile è, per chi cammini oggi, nelle vie strette del quartiere, cogliere il suo aspetto medievale quasi inalterato e rintracciare l’essenza della sua storia, riscoprire il carattere operaio, fieramente combattivo dei suoi abitanti, le tante attività produttive, che pure lo caratterizzarono, e che tanto positivamente colpirono Leopardi mentre saliva al Gianicolo per visitare la tomba del Tasso. Scrive Leopardi nel 1823: “….la strada che conduce a quel luogo (la tomba di Tasso) prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. E’ tutta costeggiata di case destinate alle manifatture, e risuona dello strepito de’ telai e d’altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. In una città oziosa, dissipata, senza metodo, come sono le capitali, è pur bello il considerare l’immagine della vita raccolta, ordinata e occupata in professioni utili. Anche le fisionomie e le maniere della gente che s’incontra per quella via, hanno un non so che di più semplice e di più umano che quelle degli altri; e dimostrano i costumi e il carattere delle persone, la cui vita si fonda sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travaglio e non d’intrigo, d’impostura e d’inganno, come la massima parte di questa popolazione”
Riportare alla luce questa realtà è oggi operazione difficile.
Questa storia, per caso o perché davvero l’origine dei Trasteverini è diversa da quella dei Monticiani, come la tradizione vuole che sia, spesso coincide con la storia di donne che qui sono nate, hanno lottato o semplicemente sono passate e, in qualche maniera, trasteverine sono diventate loro malgrado. Alcune hanno finito con il lasciare al quartiere il cuore, la ribellione indomita e la vita.
Sarà forse pure per il carattere combattivo che da sempre è riconosciuto agli abitanti di Trastevere, la tradizione vuole che cercarono di resistere al sacco dei Lanzichenecchi da soli perchè i Monticiani non ebbero il coraggio di attraversare il fiume per venire da quest’altra parte per dar loro una mano, ma queste donne, le cui storie incrociano le sue strette vie, attraversano il tempo e lo spazio e ripropongono, oggi, questioni che risolte e antiche non sono, ma che restano attuali.
Donne diverse eppure simili nelle loro istanze di libertà e di uguaglianza. Giovani e moderne come Giorgiana Masi, la cui vita fu stroncata manifestando per affermare un diritto di tutti: quello di poter dichiarare pubblicamente in piazza il proprio pensiero e il proprio dissenso senza rischiare di essere uccisi per questo. Giorgiana è in piazza, il 12 maggio 1977, insieme a tanti. L’occasione è festeggiare il terzo anniversario del referendum sul divorzio, ormai divenuto legge. Si chiede, tra l’altro, l’abrogazione di trentasei articoli della Legge 152, meglio nota come “Legge Reale”. L’azione di polizia fu repressiva e dura. La piazza fu spazzata via e alla fine della giornata ci furono feriti e un morto: Giorgiana.
Giorgiana però a Trastevere ci si trovò per caso, spinta dalla polizia appunto, e ne divenne un simbolo, ma Giuditta Tavani Arquati, sposa per amore a 14 anni, e rivoluzionaria da sempre e per sempre, era trasteverina di nascita e rimase a vivere e a lottare nel quartiere, fino alla fine. Giuditta immaginò e volle un mondo libero e più giusto per se, per i suoi figli e per tutte le generazioni successive e per questa idea di società repubblicana e libera organizzò la lotta al Papa Re preparando la via, in quel lontano 1867, alla conquista della città di Roma, che sarebbe stata realmente possibile solo nel 1870.
La figura e l’azione di Giuditta Tavani Arquati rimasero così impresse nella memoria non solo di Trastevere, ma dell’intera città di Roma, che fu fondata, il 9 febbraio 1887, un’Associazione che portava il suo nome. Questa Associazione fu sciolta nel 1925 dal governo fascista, per tornare a nuova vita solo dopo la Liberazione.
Alcune donne di Trastevere passano poi dalla storia al mito come Lina Cavalieri, la massima testimonianza di Venere in Terra, come ebbe a dire di lei d’Annunzio, divenuta una vera icona del suo tempo, modello ispiratore per altre donne ma anche per artisti e designer degli Venti e Trenta del Novecento. E La Fornarina di Raffaello, tanto mitica che molti studiosi del pittore, ancora oggi, dubitano della sua esistenza ritenendola una sorta di summa di tutte le donne affascinanti e seducenti che entrarono nella vita dell’artista e condivisero con lui i piaceri che, i più maligni dicono, lo portarono ancor giovane alla morte. Il fascino della seduzione de La Fornarina, Trasteverina per antonomasia, quale simbolo di tutte le donne, ancora oggi emana dal dipinto che la rappresenta e soggioga chiunque si fermi ad ammirarlo.
Fabrizio Sarazani, scrittore e giornalista vissuto tra il 1905 e il 1987 nell’introduzione a un libro di incisioni di Bartolomeo Pinelli parlando dei Trasteverini e delle Trasteverine, così le descrive: “E’ una razza cocciuta, boriosa, cavalleresca, gelosa di se. I trasteverini, a quel tempo, credevano nella provvidenza di Dio, ma portavano sempre in saccoccia, come canta il Belli, il coltello arrotato e la corona del santo Rosario. La razza, per così dire, si manteneva purissima. E si sentivano padroni del loro passato remoto e guardavano ai monticiani e a quelli del rione Regola come a parenti bastardi. La bellezza della donna fioriva schietta, come al tempo di Raffaello. Certe ragazze potevano pure fare da modella per una Dea o per una Sibilla, il garofano rosso nella capigliatura corvina. Una parte di Trasevere si specchiava nel fiume, giardini e terrazze coronate di oleandri e di aranci. La leggenda li fa credere addirittura etruschi, più antichi dei romani. Dietro è il sipario del Gianicolo, sul cui dorso fu sepolto Numa, sulla cui vetta fu crocefisso San Pietro. E qui nacque Pinelli, tra la torre degli Anguillara e quella dei Caetani, in mezzo a gente piena di bora retrospettiva, superba delle proprie mura, uomini e donne che avevano già servito da comparse a Raffaello, quando abitava a vicolo del Merangolo, al tempo di Agostino Chigi”.
Roma, 17 dicembre 2017
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