Trastevere e il suo museo

Non sarà certo un caso se Trastevere è l’unico dei quartieri di Roma che ha un museo che celebra se stesso e la propria identità.

Piazza Santa Cecilia in Trastevere – Ettore Roesler Franz

I Trasteverini, poi, si sono sempre sentiti diversi dal resto dei Romani. Sarà per quella loro origine multietnica e multirazziale, sarà per quel fiume che li separava da quelle tribù italiche che abitavano i Colli, di fatto questa percezione di “diversità” era, e forse è, reciproca: anche il resto dei Romani ha sempre percepito i Trasteverini come altro da se.
Certamente alla costruzione di questa immagine nel tempo hanno contribuito fattori diversi, si potrebbe dire in prevalenza poetici e pittorici: Bartolomeo Pinelli prima, con le sue incisioni e le sue eleganti sculture in argilla, il Belli che era in poesia l’alter ego del burbero incisore, e poi ancora Giggi Zanazzo, Trilussa e forse l’ultimo cantore di questa realtà romana: il pittore e fotografo Ettore Roesler Franz.
E nonostante fosse pittore e fotografo, la sua opera di rappresentazione finisce con l’essere una vera e propria poesia, un’emozione, che dal mescolar sapiente dell’acqua e delle polveri ci restituisce l’emozione che Ettore Roesler Franz viveva mentre quella Roma, quella Trastevere scomparivano per sempre.
Carte e colori scelti con estrema accuratezza in Inghilterra per dare quella luce, che è sentimento, così particolare e così tipica a suoi acquerelli di grandi dimensioni che narrano Trastevere. Angoli notissimi ancora oggi, tanto che si può fare il gioco del “com’era/com’è”, mostrati nel più piccolo dettaglio, nella loro bellezza struggente, in solitudine senza abitanti, ma non per questo vuoti, ma anzi ricchi di una bellezza e, si potrebbe dire di una saggezza storica, o scene abitate da una piccola folla di persone sempre in attività: a vendere, a comprare, a cucire, a filare, a camminare serrati riparandosi dalla pioggia, a remare sul fiume o nelle vie invase dall’acqua dello straripamento.

La Fiumana nel Ghetto – Ettore Roelser Franz

Centoventi acquerelli tutti di grandi dimensioni, divisi in tre serie da quaranta che saranno acquistate dal comune di Roma nel 1908, dopo la morte dell’autore. Centodiciannove di essi sono conservati nel Museo di Roma in Trastevere, e vengono esposti a rotazione, per preservarne l’integrità, mentre una postazione multimediale consente di ammirarli e studiarli tutti. Centodiciannove perché un acquerello andò smarrito nel corso di una mostra a Colonia nel 1966 e mai più ritrovato. Centodiciannove acquerelli in mezzo ai quali un gruppo narra, per la prima volta in assoluto, la vita nel Ghetto.
Ma il Museo di Roma in Trastevere non vuol dire solo acquerelli di Roesler Franz. Al suo interno infatti altre opere, come quelle proprio di Bartolomeo Pinelli, mostrano una Roma passata e soprattutto la vita di questa città attraverso la narrazione delle sue tradizioni, fatte di feste e giochi all’aperto, funzioncine presso gli altarini costruiti sotto le “Madonnelle”, le tombole, cui la gente partecipava sdraiata per terra e le vocianti partite di “morra”. Intanto, il giorno di festa, nelle osterie i bevitori si accaloravano al gioco della “passatella” che aveva risvolti ingiuriosi e finiva spesso a coltellate. Da ciò i ripetuti provvedimenti limitativi, come i famosi “cancelletti” che papa Leone XII Della Genga fece porre all’ingresso delle osterie – alla fine degli anni venti dell’Ottocento – per far si che il vino venisse consumato solo all’esterno delle tante osterie di cui era disseminato il quartiere.
Le tematiche maggiormente rappresentate sono i mestieri, le feste laiche e religiose (come il carnevale, le luminarie e il Natale), il saltarello, l’abito tradizionale.

Palazzo Mattei alla Lungaretta – Ettore Roesler Franz

Il Museo di Roma in Trastevere accoglie poi un presepe di ambientazione ottocentesca romana e sei rappresentazioni veristiche d’ambiente, meglio conosciute come Scene romane, che riproducono a grandezza naturale aspetti della vita popolare romana dell’Ottocento.
Non può mancare in questo desiderio di ri – appropriarsi di una memoria fondante collettiva la fotografia che si riassume in una collezione di foto di Mario Carbone ed Emilio Gentilini.
Per altro il Museo di Roma in Trastevere ha un legame preferenziale con il mondo della fotografia ospitando spesso mostre fotografiche, di cui quella narra il Movimento Studentesco del 1977, attraverso le foto di Tano d’Amico attualmente in essere, è un esempio interessante.
L’immenso patrimonio di cultura popolare che Trastevere ha generato nel tempo è quindi conservato in questo museo tutto suo.
Il Museo di Roma in Trastevere è ospitato in un edificio storico che dal XVII secolo fino a dopo l’unità d’Italia fu Convento delle Carmelitane Scalze. Anche la piazza deve il suo nome al monastero, nel quale è inclusa la chiesetta di Sant’Egidio.
Il primo nucleo del monastero fu fondato nel 1601 presso la chiesina di S. Lorenzo in Ianiculo, poi restaurata e dedicata a S. Egidio, per ospitare proprio l’ordine religioso delle Carmelitane Scalze. Su richiesta di Vittoria Colonna, nel 1628, papa Urbano VIII concesse alle monache anche la chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano, proprietà dell’Università dei Calzolari, attigua a quella di S. Egidio. Quest’ultima fu demolita e incorporata nel monastero. Di essa il Museo conserva, al piano terra, la lapide in marmo dell’Università dei Calzolai, risalente al 1614. La chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano fu restaurata nel 1630, ornata di marmi dal connestabile Filippo Colonna e, due anni dopo, intitolata dal Papa alla Madonna del Carmelo e a Sant’Egidio. Le suore vissero nel convento fino alla presa di Roma.

Nevicata a Roma 1956 – Mario Carbone

L’edificio divenne proprietà del Comune di Roma nel 1875 e dal 1918 fu sede del sanatorio antimalarico per l’infanzia “Ettore Marchiafava”. Una lapide di marmo, all’ingresso del Museo, ricorda la data in cui il sanatorio fu dedicato al Marchiafava, medico illustre e senatore del Regno, esperto di malaria e, nel 1918, Assessore per l’Igiene. Erano gli anni in cui la malaria faceva molte vittime tra i lavoratori dell’Agro romano. I ragazzi rimanevano in sanatorio in media due mesi, affidati alle cure del medico del Governatorato e delle suore di carità di San Vincenzo de’ Paoli. Vi erano inclusi un orto-giardino e una piccola scuola.
Tra il 1969 e il 1973 l’edificio fu restaurato dagli architetti Attilio Spaccarelli e Fabrizio Bruno, per adattarlo a ospitare il Museo del Folklore e dei Poeti Romaneschi, presentando materiali relativi alle tradizioni popolari romane provenienti dal Museo di Roma, allora come ora in Palazzo Braschi. Il Museo del Folklore e dei Poeti Romaneschi aprì al pubblico ai primi di febbraio del 1977.


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