“…..Un quartiere selvaggiamente popolare, lontano, isolato sulla riva destra del Tevere,
il quartiere operaio della manifattura dei tabacchi, delle fabbriche di candele e di ceri per le centinaia di chiese della città, il sobborgo lontano, sperduto, arretrato, che conserva il vecchio sangue di Roma in quelle mani d’uomo pronte al coltello, nelle linee severe della bellezza femminile; quella specie di suburbio dove sembra cominciare la barbarie di un villaggio italiano, mescolando ad un aspetto orientale ricordi di antichità; angoli di strada puntellati con rocchi di colonne, muri i cui blocchi sono Minerve intere; ai lati di una porta imbiancata di calce, sormontata da una specie di stuoia e dall’ombra di una persiana, case logore, sbiadite, piallate dal tempo, facciate dove, sotto una cèntina semichiusa e murata, si libera lo slancio di una fine colonnetta dal capitello ionico……
…..Botteghe di barbieri flebotomi, con le loro insegne, sulle vetrine, di gambe e di braccia da cui il sangue sgorga rosseggiando in un
bicchiere; beccherie dove il prezzo della carne di agnello è affisso sopra una specie di tamburello basco, botteghini del lotto con i numeri usciti scritti con il gesso sui battenti; gli Spaccio di vino a due baiocchi e mezzo, i magazzini al di sopra di porte affumicate, dalle aperture di stalla, che lasciano il mercante e le mercanzie alla luce e all’aria della strada, i buchi spalancati del traffico minuto, dove spicca, sopra un fondo di cantina, il rame lucido della bilancia dei paesi caldi; il banco, l’industria, il lavoro allo stato di natura, su piazzette, sopra lo sventolare del bucato steso, dove il minimo soffio mette passando rumore di vele che si gonfiano; grandi officine di carpentieri grossolani, rimesse di aratri.”
da “Madame de Gervaisais”, 1869
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