Non è possibile comprendere la vita artistica di Roma, dal pontificato di Sisto V in poi, se non si tiene conto della tumultuosa attività che viene svolta nel campo ecclesiastico. Se nella prima metà del XVI secolo
erano state costruite poche chiese, col passare degli anni una vera e propria ondata di devozione delle masse spinse i numerosi ordini religiosi ad innalzare nuove chiese. Vale a dire le chiese della Controriforma pensate e realizzate dai grandi ordini religiosi fondati per serrare le file del cattolicesimo ferito dallo sconquasso protestante.
Da principio i Gesuiti realizzarono il Gesù, la loro chiesa madre: iniziata nel 1560, fu consacrata nel 1584. Essa instaurò il prototipo della vasta chiesa congregazionale, che fu seguito centinaia di volte durante il XVII secolo: ampia navata unica, breve transetto e cupola imponente. A seguire, sorsero la Chiesa Nuova, detta anche Santa Maria in Vallicella, 1575, per gli Oratoriani di san Filippo Neri. E, a un tiro di sasso, dalla Chiesa Nuova ecco sorgere Sant’Andrea della Valle. Disegnata da Giacomo della Porta per l’ordine dei Teatini, ordine fondato nei primissimi anni della lotta religiosa, 1524. Iniziato nel 1591, la chiesa venne affidata a Carlo Maderno nel 1608 e ultimato nel 1623 ad eccezione della facciata. Infine, viene realizzata una seconda grande chiesa dei Gesuiti, Sant’Ignazio, progettata dopo la canonizzazione del fondatore e iniziata nel 1626.
Nel luogo in cui sarebbe sorta la chiesa di Sant’Andrea della Valle, in corrispondenza dell’attuale Cappella Barberini, c’era una chiesetta intitolata a san Sebastiano, che forse, ricordava il ritrovamento del corpo del martire dentro una chiavica della zona. Nei pressi sorgeva il palazzo di Enea Silvio Piccolomini, senese, poi papa col nome di Pio II. Dal palazzo, lo slargo corrispondente prendeva il nome di piazza di Siena.
Nel 1582 la proprietà Piccolomini venne donata ai religiosi Teatini con l’impegno di erigere sul posto una chiesa dedicata a sant’Andrea. Questa sorse in forme nobilissime e risultò una delle più solenni ed emblematiche dello spirito controriformistico che intendeva esprimere nel tempio la realtà della ecclesia: quella militante, massicciamente radunata nella grande e alta aula senza navate dispersive, e quella trionfante, rappresentata dalla maestosità delle dimensioni e dalla esuberanza degli ornati.
La congregazione dei Teatini fu la prima a sorgere fra le congregazioni di chierici regolari fiorite nel Cinquecento per la riforma del clero e, attraverso l’esempio di questo nella osservanza delle virtù cristiane, per la vera riforma dell’intero popolo. Essa fu fondata da Gaetano da Thiene nel 1524 insieme con altri quattro compagni fra i quali era Gian Pietro Carafa, divenuto poi il rigoroso papa Paolo IV. Poiché egli era vescovo di Chieti, o Teate, venne a tutti il nome di teatini. Rinuncia di massima alle cariche ecclesiastiche, vita di povertà, frequenza sacramentale, carità verso i poveri e gli ammalati fu il programma di questi chierici, tratto da quello già attuato dall’Oratorio Romano del Divino Amore, una risposta all’umanesimo paganeggiante che imperversava nella città. Tale condotta e tale predicazione fecero della spiritualità teatina uno dei filoni della
controriforma. Né può quindi stupire la coerente intenzione controriformistica di questa loro grandiosa sede romana. La loro prima sede in città, dopo che si erano largamente diffusi fuori Roma, fu, per intervento di Paolo IV, la chiesa di San Silvestro al Quirinale.
Alla chiesa di Sant’Andrea della Valle si incontrarono grandi artisti a cui era stato chiesto di emulare la grandiosità della basilica di San Pietro. Il primo progetto venne fornito da Giovan Francesco Grimaldi e Giacomo della Porta, 1591; Maderno proseguì l’opera nel 1608 e nel 1622 – 1625 costruì la cupola che è la seconda di Roma per altezza e diametro. Detto l’“Architetto di San Pietro” e artefice della mirabile facciata della chiesa di Santa Susanna, il Maderno – che poco spazio aveva ottenuto per sviluppare la sua individualità negli interni di Sant’Andrea – fa emergere tutto il suo genio. Ovviamente derivante dalla cupola di Michelangelo, l’artista qui innalzò l’altezza del tamburo a spese della volta ed aumentò l’area riservata alle finestre: cambiamenti che preludono al posteriore sviluppo del barocco.
Poi, entrò in scena Carlo Rainaldi: l’architetto giunto alla ribalta nel 1655 e ben presto sviluppò uno stile grandioso tipicamente romano. Soprattutto tre opere, eseguite tra il 1660 e il 1680: Santa Maria in Campitelli, la facciata di Sant’Andrea della Valle e le chiese in Piazza del Popolo.
La facciata del Sant’Andrea possiede un forte rilievo, dato dal doppio ordine di colonne e lesene e dalle statue nelle nicchie laterali al grande portale. Va ricordato che si immaginò di sostituire le volute di raccordo del timpano collocando due statue di angeli con un’ala sollevata; peraltro ne venne messa in opera una soltanto dallo scultore Ercole Ferrara.
L’interno è costituito da una vastissima aula a lesene che staccano sui fianchi otto grandi cappelle intercomunicanti; un ampio transetto e un profondo presbiterio completano la vastità dell’ambiente.
Gli affreschi della volta si segnalano solamente perché assecondano la grandiosità dell’insieme; la cupola è stata affrescata dal Lanfranco con un’“Assunzione della Vergine” mentre il Domenichino ha dipinto i peducci con figure di Evangelisti.
Dopo aver affrescato la chiesa di Santa Cecilia, in uno stile rigorosamente classico, il Domenichino a Sant’Andrea va in una direzione diversa: nei pennacchi e nel coro della chiesa, l’artista definito dal grande storico
dell’arte Rudolf Wittkower «arci-classicista» sembrò tentato dalla nuova tendenza barocca. Ciò è chiaramente visibile appunto negli evangelisti sui pennacchi della volta, dove, sempre secondo il Wittkower «una forte nota correggesca si aggiunge alla reminiscenza di Raffaello e Michelangelo. Si può supporre che il Domenichino volesse superare in splendore il rivale Lanfranco, al quale, con dolore del precedente, fu dato l’incarico per la cupola», (Rudolf Wittkower, “Arte e Architettura in Italia. 1600-1750”, Einaudi, Torino, 1993, pp. 533).
Le grandiose decorazioni dell’abside, inquadrate da stucchi giovanili dell’Algardi, sono dovute a Mattia Preti per la fascia dei tre grandi riquadri con movimentate ed enfatiche scene del martirio di sant’Andrea, a Carlo Cignani e ad Emilio Taruffi per i dipinti laterali e ancora al Domenichino per il sottarco e per la calotta dell’abside.
Fra le cappelle si segnalano soprattutto quella “Strozzi”, completata nel 1616 ma forse eretta su un’idea di Michelangelo, riccamente decorata con marmi policromi e stucchi e contenente cenotafi che ricordano i più illustri componenti della famiglia, e quella dei “Barberini”. Questa venne edificata da Matteo di Città di Castello, con l’altare rivestito di marmi preziosi e con quattro colonne di rosso antico che inquadrano un dipinto del Passignano. Su due lati della cappella si trovano quattro statue fra le quali una Santa Marta di Francesco Mochi e un San Giovanni Battista di Pietro Bernini.
Fra i monumenti funebri risaltano le tombe dei papi Piccolomini, sopra gli ultimi archi della navata, Pio II e Pio III. I due sepolcri provengono dalla basilica di San Pietro e furono qui trasportati nel 1614. Entrambi i monumenti, di cui il secondo ripete più sontuosamente, ma con minor finezza, i motivi del primo, sono dovuti ad artisti non conosciuti.
Contribuisce alla notorietà della chiesa il melodramma; infatti lo svolgimento del primo atto della “Tosca” di Puccini è immaginato dentro gli imponenti spazi della chiesa, sottolineati da solenni risonanze di musiche liturgiche.
Nella devozione popolare la chiesa è legata alle celebrazioni natalizie in onore del “Santo Bambino” di San Gaetano; nell’ottavario dell’Epifania si tiene qui il cosiddetto “Sermone delle nazioni”.
Roma, 26 maggio 2019
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