Un’antica chiesetta – edificata sopra il tempio di Minerva Calcidica nei pressi dell’Iseo Campense, o tempio di Iside al Campo Marzio, e del Pantheon – fu concessa nel 1280 da papa Nicolò III ai Domenicani,
da tempo insediati sull’Aventino. La donazione avvenne dopo che per cinquecento anni alla Minerva avevano abitato le monache basiliane provenienti da Costantinopoli e poi le benedettine di Santa Maria in Campo Marzio.
La chiesa e l’area circostante dovevano diventare la sede centrale della presenza domenicana a Roma, estremamente significativa a causa della vigorosa opera di sostegno prestata da tale ordine alla Chiesa, specie nel campo della definizione dottrinaria e nella conseguente lotta per il mantenimento della purezza della fede cristiana. Tale sostegno – e il conseguente prestigio che ne derivò ai seguaci di san Domenico – divennero particolarmente evidenti nel periodo controriformistico, quando il Tribunale dell’Inquisizione fu a prevalente appannaggio domenicano e, spesse volte, sedette addirittura nel convento della Minerva, presso il Grande Inquisitore. Fu proprio qui che il 22 giugno 1633 il padre dell’astronomia moderna Galileo Galilei, sospettato di eresia, fu costretto ad abiurare le proprie tesi scientifiche.
Tutto ciò spiega l’importanza architettonica e artistica assunta dalla chiesa e la presenza al suo interno delle cappelle gentilizie di alcune delle principale famiglie romane, con un ricchissimo corredo di opere d’arte di varie epoche.
Una grande costruzione gotica venne inizialmente realizzata dagli architetti di Santa Maria Novella di Firenze, fra’ Sisto e fra’ Ristoro. Altri lavori si aggiunsero nel Quattrocento e nel Seicento: da sottolineare l’opera svolta da Antonio da Sangallo il Giovane nella zona del coro, all’epoca della sistemazione delle
tombe medicee. I restauri della metà dell’Ottocento condotti dal domenicano Girolamo Bianchedi – che hanno liberato l’interno dal camuffamento barocco – ne hanno però involgarito l’aspetto col finto marmo dei pilastri e delle colonne e con la decorazione pittorica delle volte. Tuttavia, la chiesa colpisce per la maestosità della concezione e per il carattere gotico: unica testimonianza a Roma di tale corrente architettonica.
La basilica costituisce uno straordinario compendio di memorie storiche e di testimonianze artistiche: la tomba di Caterina da Siena di Isaia di Pisa, sotto l’altar maggiore, quella del Beato Angelico, i sepolcri di Leone X e di Clemente VII nell’abside (o cappella medicea), ideati da Antonio da Sangallo il Giovane, con le statue di Raffaello da Montelupo e di Nanni di Baccio. E ancora, le tombe di Paolo IV Carafa, di Clemente VIII Aldobrandini e di Benedetto XIII Orsini. Altre sepolture di grande rilievo sono quelle del vescovo Coca di Andrea Bregno, con lunetta di Melozzo da Forlì, e la tomba cosmatesca di Guglielmo Durant, oltre ai vari sepolcri del Bernini, in particolare quello della venerabile Maria Raggi, e dei Tornabuoni di Mino da Fiesole.
Di estrema importanza il ciclo di affreschi sulla vita di San Tommaso di Filippino Lippi nella Cappella Carafa, nel transetto destro. E le cappelle, ricche di opere d’arte, di importanti famiglie romane quali gli Aldobrandini, i Della Porta, i Rainaldi, ma soprattutto la cappella Capranica, con volta a stucchi e tele di Marcello Venusti, una Madonna del Beato Angelico e il monumento del cardinale Domenico Capranica, opera del Bregno. Senza dimenticare la cappella Altieri, con opere di Maratta e del Baciccia, e ancora le cappelle di Sisto V e dei Lante della Rovere.
Ma è in particolare la statua di Cristo Portacroce di Michelangelo, ai piedi del presbiterio, ad attrarre l’attenzione: seppur malamente rifinita dagli allievi, l’opera spicca in tutta la sua potenza e bellezza, soprattutto nel volto di Cristo.
La quantità di opere d’arte ospitate in questa chiesa-museo è quasi imbarazzante: non si possono certo tralasciare l’Annunciazione di Antoniazzo Romano, un Crocifisso ligneo quattrocentesco e la statua di San Sebastiano di Nicola Cordier. Senza contare che nella sagrestia e nel vestibolo si svolsero ben due conclavi: quello del 1431 che elesse Eugenio IV e quello del 1437 che designò Nicolò V. Oltrepassata la sagrestia, ecco la Camera di Santa Caterina proveniente dal vicino edificio dove la santa visse negli ultimi suoi due anni di vita e che qui venne parzialmente ricostruito. E ancora la Sala dei Papi, che ospita una grandiosa statua della Madonna di scuola berniniana, o il piccolo museo d’arte sacra, per finire nell’incantevole chiostro, in parte corrispondente all’antichissimo tempio di Iside.
Usciti dalla magnifica chiesa, ecco Piazza della Minerva, ornata al centro dall’obelisco egizio del IV secolo a.C., proveniente dal vicino Iseo Campense, per il quale il Bernini ideò il bizzarro ma splendido basamento
con l’elefante marmoreo, dalla ricca gualdrappa che regge il monolito: l’opera fu scolpita nel 1667 da Ercole Ferrara. L’elefante, per le sue modeste proporzioni, è detto «il pulcino della Minerva», mentre l’epigrafe del basamento, dettata da Alessandro VII, ricorda che fu scelto proprio l’elefante per dimostrare come occorra una robusta mente per sostenere una solida sapienza. In un primo momento il Bernini aveva progettato un basamento costituito da un gigante che sosteneva l’obelisco. Successivamente fu proposto l’elefante anche per l’intervento del domenicano Giuseppe Paglia, fiero avversario del grande artista.
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