L’abbondanza di costruzioni monumentali e di meraviglie archeologiche, che ancora ammiriamo ai piedi
del Campidoglio, fa di quest’area una delle più significative per la vita dell’antica Roma. Anzi, per la sua stessa nascita. Cresciuta dentro la cinta quadrata del Palatino e negli altri aggregati sulle colline, Roma trovò proprio in questa zona pianeggiante, distesa lungo gli approdi del fiume, la sua ragion d’essere: grazie allo sviluppo di una primitiva attività commerciale, l’area divenne punto di scambio e di mediazione fra i popoli dell’opposta regione etrusca e quelli che inviavano i loro operatori dalla Campania Felix o dalle montuose terre del centro della penisola. Qui, nel luogo di incontro con gli stranieri, presso il Foro Olitorio e il Foro Boario (che si estendeva nella zona della Bocca della Verità), la Roma repubblicana elevò un magnifico fronte di aree marmoree e di templi con selve di colonne. Brillavano in alto le cuspidi monumentali del Campidoglio.
La visita inizia dagli imponenti resti del Teatro di Marcello, che mostrano in maniera evidente una realtà comune a tante parti del centro storico di Roma: la stratificazione di successive edificazioni nelle varie epoche.
Il teatro, iniziato da Cesare, fu compiuto da Augusto tra il 13 e l’11 a.C. e dedicato alla memoria
dell’amatissimo Marco Claudio Marcello, nipote e genero prediletto (era infatti figlio della sorella Ottavia e marito di sua figlia Giulia), morto non ancora ventenne nel 23 a.C. e per il quale Virgilio scrisse i suoi famosi versi di rimpianto: «Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l´anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo» (Eneide, VI, 860 e sgg.). Il monumento, già interrato per qualche metro, con le arcate dell’ordine inferiore occupate da povere botteghe, è stato isolato e sistemato tra il 1926 e il 1932. L’imponente e severo monumento, che non di rado fu preso a modello dagli artisti del Rinascimento, era costituito da due ordini di 41 arcate ciascuno, coronati da un attico; la cavea, che si apriva ove attualmente è il giardino di Palazzo Orsini, poteva contenere circa 15.000 spettatori. Si cominciò a demolirne la scena e il portico annesso per restaurare il ponte Cestio; alla metà del sec. XII la parte rimanente del teatro fu trasformata in fortezza dai Fabi; a questi subentrarono i Savelli, che tra il 1523 e il 1527 vi fecero costruire da Baldassarre Peruzzi i due piani del palazzo, il quale acquistò forma definitiva quando nel 1712 passò agli Orsini.
Davanti al teatro, su un alto podio, svettano le tre colonne angolari del Tempio di Apollo Sosiano, eretto nel 433 a.C., rifatto nel 179 quando assunse l’appellativo di Apollo Medicus e ricostruito nel 34 a.C. dal console C. Sosius, da cui il nome. Le tre colonne che oggi ammiriamo furono rialzate nel 1940. Accanto ad esse il basamento di un altro tempio, identificato con quello di Bellona, del 296 a.C. Qui il Senato accoglieva il generale vittorioso e ne decideva il trionfo.
La via del Teatro di Marcello prosegue attraverso i resti dell’antico Foro Olitorio, il mercato degli ortaggi, che si estendeva dalle pendici del Campidoglio al Tevere e dal Teatro di Marcello al Foro Boario.
Addossata a un modesto rialzo del terreno ove si apre la piazza di Monte Savello, sorge la chiesa di San Nicola in Carcere, eretta sui resti di tre templi, in parte visibili sul lato destro della chiesa e nei muri perimetrali della stessa. I templi erano allineati uno accanto all’altro, come i templi repubblicani di largo Argentina. Il primo a sinistra pare sia da identificare con il Tempio della Speranza, eretto al tempo della prima guerra punica; quello mediano, il maggiore, su cui sorge la chiesa, è stato identificato con Tempio di Giunone Sospita, eretto nel 197 a.C. durante la guerra gallica; il tempio di destra è dedicato a Giano.
La chiesa di San Nicola in Carcere, nota fin dal sec. XI, è probabilmente più antica e fu una diaconia. Dovette presumibilmente ricadere nella colonia greca della zona, come dicono la sua intitolazione a un santo greco e soprattutto l’appellativo «in carcere», riferito alla prigione che vi sorse in epoca bizantina nell’ VIII secolo.
Fu largamente rimaneggiata a partire dai lavori fatti eseguire dal cardinale Borgia, poi papa Alessandro VI, successivamente dal cardinale Federico Borromeo e dal cardinale Aldobrandini, il quale, nel 1599 fece
costruire da Giacomo della Porta l’attuale facciata; restaurata e decorata sotto Pio IX nel 1865, fu liberata nel 1932 dai fabbricati che le erano addossati, così da mettere in luce i resti degli antichi templi. A destra della facciata si leva la massiccia torre medievale adattata a campanile. L’interno basilicale, a tre navate divise da 14 colonne (diverse per materiali e dimensioni e che provengono tutte da antichi templi), occupa in larghezza tutta l’area del tempio di Giunone. Le colonne incorporate nei muri laterali appartengono, invece, ai due templi minori. All’inizio della navata destra si ammira l’affresco Trinità e Angeli del Guercino; più avanti una Madonna col Bambino di Antoniazzo Romano.
Davanti alla chiesa è situata una notevole costruzione medievale, detta Casa dei Pierleoni, che è affiancata da una torre e presenta bifore e trifore. In alto, sulla rupe capitolina, si scorge una caratteristica costruzione con loggia a colonne, di tardo stile neoclassico: è la cosiddetta Rupe Tarpea dalla quale venivano gettati i traditori condannati a morte, che in tal modo venivano simbolicamente espulsi dall’Urbe.
Tra il Teatro di Marcello, la chiesa di San Nicola in Carcere e la pendice capitolina – corrispondente al Foro Olitorio o delle verdure – si trovava (fino alle demolizioni del 1932) la celebre piazza Montanara.
Il nome veniva da una vecchia famiglia Montanari che possedeva case nella zona, e la notorietà derivava dall’essere il centro di convegno della gente di campagna che, da qui alla Bocca della Verità, aveva il principale luogo di mercato. Vi affluivano – come anche a piazza Farnese – pecorai dell’agro e butteri maremmani, fattori, capocci e vaccari: tutto il complesso mondo della campagna romana con la sua varietà di funzioni e di attribuzioni. Ma, soprattutto nell’Ottocento, convergevano qui anche i montanari d’Abruzzo, i contadini marchigiani, i vignaioli della Romagna e i braccianti in genere, in cerca di ingaggio per i lavori stagionali. A dimostrazione dell’antica vocazione mercantile della Roma alle pendici del Campidoglio.
Roma, 4 aprile 2018
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