La Roma dei Re. Il racconto dell’Archeologia accende riflettori sulla fase più antica della storia di Roma, illustrando gli aspetti salienti della formazione della città e ricostruendo costumi, ideologie, capacità tecniche, contatti con ambiti culturali diversi, trasformazioni sociali e culturali che interessarono Roma nel periodo in cui la città, secondo le fonti storiche, era governata da re. Grazie a lunghe attività di revisione, restauro e studio è possibile mostrare per la prima volta al pubblico dati e reperti archeologici mai esposti prima, talvolta sorprendenti e suggestivi per la loro bellezza e modernità. La mostra è un viaggio affascinante a ritroso dal sesto secolo avanti Cristo fino al decimo. Le sale espositive di Palazzo Caffarelli e l’Area del Tempio di Giove dei Musei Capitolini ci raccontano la fase più antica dell’Urbe. Si attraversano santuari e palazzi della Roma regia e alla memoria tornano i nomi di Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Vengono mostrati corredi tombali, deposizioni nelle quali era utilizzato il rito della cremazione, la miniaturizzazione di oggetti di corredo, l’utilizzo di contenitori per le ceneri dalla singolare forma di capanna.
Della prima Roma è possibile ammirare un grande plastico, poi ancora reperti di scambi e commerci tra Età del Bronzo ed Età Orientalizzante. Infine indicano chiaramente diversità tra i ruoli femminile e maschile tanti oggetti di lusso e di prestigio e corredi funerari.
La mostra è realizzata con il sostegno di Sapienza Università di Roma, per i materiali degli scavi del Palatino e della Velia, dell’Università della Calabria e dell’University of Michigan,per i nuovi materiali di Sant’Omobono. Si avvale inoltre, sempre in collaborazione con il Mibac, di preziosi prestiti da parte del Museo Nazionale Romano e del Museo delle Civiltà, e da parte della Soprintendenza per l’Area Metropolitana di Napoli.
L’archeologo Filippo Coarelli scrive: «Lo scrittore greco Strabone, che visse all’epoca di Augusto, notava che tra la città di Ostia, alla foce del Tevere, non esistevano centri abitati di qualche importanza. Ma non era stato sempre così: tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro una fitta rete di villaggi aveva occupato quasi ogni collina lungo il fiume: nel sito della futura Roma, sul Campidoglio, un insediamento esisteva fin dal XVI secolo avanti Cristo.
La tradizione afferma che la città sarebbe sorta per “sinecismo”, ovvero per mezzo dell’unificazione di entità politiche precedentemente indipendenti in una città ad organizzazione statale, basato però sull’assoggettamento al più importante centro abitato, quello del Palatino, dei villaggi circostanti.
I primi tentativi di urbanizzazione coincidono con l’incremento della produttività agricola e sono contemporanei all’inizio della colonizzazione greca, che non a caso coincide cronologicamente con la data tradizionale della fondazione di Roma, metà dell’VIII secolo avanti Cristo. L’inizio dei rapporti tra Roma e queste prime colonie, Pithecusa/Ischia, Cuma è praticamente immediato, come dimostra la ceramica greca dell’VIII secolo scoperta nel Foro Boario.
Una fase estremamente importante per lo sviluppo della città coincide con la seconda metà del VII secolo avanti Cristo, e cioè, secondo la tradizione, con il regno di Anco Marcio. Questi avrebbe creato il primo ponte di legno sul Tevere, il Sublicio, e provveduto a proteggerne la testata sulla riva destra, occupando il Gianicolo. Contemporaneamente, egli avrebbe costruito il porto alle foci del Tevere, Ostia, assicurandone il collegamento con Roma tramite l’eliminazione di tutti i centri abitati posti nel tratto intermedio, sulla riva sinistra del Tevere. I dati archeologici sembrano confermare la tradizione anche su questo punto.
Il potenziamento del centro urbano, e delle possibilità insite nella sua posizione privilegiata, alla fine del VII secolo avanti Cristo spiega l’immediato intervento degli Etruschi, per i quali Roma era divenuta una posizione chiave.
Il secolo in cui Roma, pur senza perdere il suo carattere etnico e culturale latino, fu governato da una dinastia etrusca coincide con la sua definitiva urbanizzazione. Da un punto di vista amministrativo, la città è divisa in quattro regioni, o tribù territoriali: Palatina, Collina, Esquilina e Suburana, comprendenti una superficie assai più ampia di quella originaria del Palatino e della quale le Mura Serviane, il cui tracciato nel VI secolo avanti Cristo coincide quasi perfettamente con il successivo rifacimento del IV secolo avanti Cristo, possono darci un’idea: la superficie inclusa,
anche se non tutta abitata, è di ben 426 ettari, superiore cioè a quella di qualsiasi altra città dell’Italia peninsulare. La ricchezza e la potenza della “Grande Roma dei Tarquini” risultano anche dal numero e dalle dimensioni dei santuari che allora vengono realizzati, principale fra tutti quello di Giove Capitolino, di gran lunga il più grande tempio etrusco a noi noto.
Ma l’attività dei dinasti etruschi non si limita ai santuari: abbiamo già ricordato la grandiosa cerchia di mura, che nella sua fase più antica, in blocchi di cappellaccio, risale molto probabilmente alla metà del VI secolo avanti Cristo. Altrettanto imponente fu il sistema di canalizzazioni e fognature realizzato dai Tarquini, che, risanando i fondovalle paludosi e malsani, ne rese possibile l’urbanizzazione: principale fra tutte la Cloaca Maxima, che bonificò la valle del Foro, allora per la prima volta pavimentata, e l’altro canale che drenò la vallis Murcia, dove, sempre a opera dei Tarquini, sarebbe stato realizzato il primo edificio per gli spettacoli, il Circo Massimo».
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