Quando Goethe arriva a Roma in incognito nel novembre 1786 inizia a tenere un diario, un taccuino di appunti. Proprio il 1 novembre scrive:
“Si, sono arrivato finalmente in questa capitale del mondo! […] Eccomi ora a Roma, tranquillo, e, a quanto sembra, acquietato per tutta la vita. Poter contemplare con i propri occhi tutto un complesso, del quale già si conoscevano interiormente ed esteriormente i particolari, è direi quasi come incominciare una vita nuova. Tutti i sogni della mia giovinezza ora li vedo vivi; le prime incisioni di cui mi ricordo (mio padre aveva collocato in un’anticamera le vedute di Roma), ora le vedo nella realtà, e tutto ciò che da tempo conoscevo in fatto di quadri e disegni, di rami o di incisioni in legno, di gessi o di sugheri, tutto ora mi sta raccolto innanzi agli occhi e dovunque io vada, trovo un’antica conoscenza in un mondo forestiero. Tutto è come immaginavo, e tutto è nuovo. [….]”
In queste poche righe si può leggere un riassunto di tutto ciò che Piranesi era riuscito a mettere in campo nel suo breve periodo di attività. Breve perché Giovan Battista Piranesi muore a 58 anni, nel 1778, e la parabola di questo visionario architetto si era già compiuta da otto anni quando Goethe arriva a Roma.
Goethe ci dice che sentì l’irresistibile necessità di venire a Roma, e quindi a Napoli, e di compiere quello che era chiamato il Grand Tour, quasi costretto dalla visione, che dobbiamo immaginare quotidiana, delle incisioni di Roma che il padre aveva collocato in un’anticamera e sotto il continuo stimolo di quelle che ovunque andasse, nelle case borghesi e nobili dell’epoca, certamente aveva modo di vedere.
Le immagini di Roma, e non solo, che Piranesi incisore aveva creato, infatti, erano oggetto di collezionismo e intere camere erano arredate con esse. Le incisioni, tutte di grande formato, acquistate per comodità in fogli sciolti venivano poi raccolte in album, da sfogliare e commentare insieme agli amici nelle lunghe serate dell’inverno del Nord.
Ma queste immagini avevano anche un potere che Goethe ben descrive: inducevano quelli che le osservavano ad intraprendere il Viaggio, venire a Roma, per vedere con i propri occhi e vivere in prima persona quell’esperienza, di sentimento ed emozione, che già la visione dell’incisione aveva iniziato.
Piranesi è quindi l’inventore e il motore principale del Grand Tour della seconda metà del Settecento, ma non solo. E’ anche l’inventore di una nuova visione di Roma, e non solo della Città Eterna, e delle rovine archeologiche tanto che, come scrive Goethe,“tutto è come immaginavo, e tutto è nuovo”. L’antico che improvvisamente assume un valore moderno. L’antico così ben conosciuto, perché visto più volte su libri e quadri, che improvvisamente diviene nuovo.
Colpisce nelle parole di Goethe l’assenza dell’esplicito riferimento a Piranesi eppure in città, nel 1786, esisteva ancora la bottega del grande artista ereditata dai suoi figli, di cui Francesco era anche molto noto.
Questo fa comprendere come Piranesi fosse stato un lucido visionario sempre un passo avanti agli altri, per questo scarsamente compreso e accettato a Roma dai suoi colleghi e dagli altri intellettuali.
Un arista profondamente neoclassico ed illuminista nel rigore della misura e del rilevamento dei dati, che impedirà, insieme ad altri architetti dell’epoca l’evoluzione della Roma barocca in Roma rococò, indirizzandola fortemente verso il neoclassicismo, ma che, contemporaneamente, darà vita ad un immaginario assolutamente romantico, molto tempo prima forse del romanticismo stesso, che cambierà profondamente stili di vita e mode soprattutto del Nord Europa e in particolare nella lontana Inghilterra. Sulla scorta delle immagini di Piranesi, ad esempio, diventerà di moda il giardino romantico all’inglese, che conviveva o che addirittura soppiantava il giardino neoclassico nelle bellissime dimore sparse nella campagna inglese.
L’invidia dei colleghi e degli altri intellettuali del tempo, che non gli perdonavano la verve perennemente polemica, fece circolare il sospetto, dopo la sua morte, che le sue competenze in termini di architettura e di archeologia non fossero poi un gran che. In fondo come architetto Piranesi aveva realizzato una sola opera, che è quel piccolo gioiello di Santa Maria del Priorato sull’Aventino. Ma i suoi detrattori tacevano sulle influenze determinanti che Piranesi aveva avuto, ad esempio, sugli architetti inglesi che presso di lui si erano formati e che una volta tornati in patria avevano realizzato opere dal carattere e dall’impianto decisamente piranesiano.
Si taceva sul fatto che Piranesi aveva inventato il “pastiche” ovvero la rielaborazione del reperto archeologico per dare vita ad una nuova opera che aveva elementi antichi ed elementi moderni in contemporanea. Di pastiche vivranno il Cavaceppi e Vincenzo Pacetti, che impareranno entrambi il mestiere proprio da Piranesi, prima di lavorare alle dipendenze dalle famiglie Borghese e Torlonia.
Il mercato dei pastiche che dalla bottega di Piranesi s’irradiava verso il Nord Europa era fiorentissimo e aveva sostituito completamente il mercato di arte antica che ormai si era ristretto al massimo da quando era stato inaugurato il Museo Pio Clementino e l’esportazione dei pezzi antichi, veri e propri, era diventata operazione complessa se non proprio impossibile.
Piranesi sarà anche tra i primi a prestare attenzione agli arredi e ai complementi di arredo che gli scavi archeologici effettuati con un nuovo rigore scientifico stavano portando alla luce. Anche questo aspetto dell’antico verrà indagato con fare illuministico e la conoscenza minuziosa permetterà la creazione di elementi di arredo che di nuovo verranno collocati soprattutto sul mercato inglese.
Alla morte di Piranesi i detrattori riusciranno nel tempo a far perdere le tracce di quest’artista quasi completamente, ma la sua lezione decorativa e artistica riemergerà rivelando il suo potere immaginifico.
Uno dei riscopritori di Piranesi sarà ad esempio Escher, che collezionerà incisioni piranesiane durante la sua permanenza in Italia, che vedrà la fine con l’emanazione delle leggi razziali fasciste, e le userà come fonte d’ispirazione per i suoi intricati disegni. E come non vedere il segno di Piranesi nelle porcellane che Gio Ponti negli Anni Venti del Novecento creerà per Richard Ginori, e come non riconoscere la fascinazione di Marguerite Youcenar per le sue incisioni, tale che la scrittrice acquistò alcune tavole del grande incisore. E ancora, come non vedere l’influsso della visione immaginifica piranesiana nel mondo del fumetto dalla Gotham city degli anni Quaranta del Novecento alle più recenti gothic novel o in alcune delle tavole di Moebius o in alcuni film da Metropolis di Friz Lang al Castello Nel Cielo di Miyazaki.
Tutte queste sfaccettature della personalità di Piranesi emergono chiare e prepotenti visitando la mostra che Palazzo Baschi gli dedica.
Attraversando le sale e ammirando le tavole certamente emerge il Piranesi incisore e dalle numerose acqueforti esposte si può cogliere il suo personale sentimento, la grande emozione che provava quando traduceva in immagine fissa quella che per lui era architettura vivente. Ma non si può non cogliere il particolarissimo punto di vista di Piranesi che attraverso l’uso di tagli prospettici arditi o magnificazioni opportune delle dimensioni riesce a dare dei luoghi più noti di Roma, tante volte riprodotti, una visione nuovissima, dirompente e mai uguale a se stessa. Ma emerge pure il Piranesi archeologo, l’architetto, il creatore di moda di arredamento, oggi diremmo designer, il fervente polemista che con rigore tecnico e scientifico discute con competenza questioni archeologiche con le voci più autorevoli del tempo.
Roma, 24 settembre 2017
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