Via Giulia è il primo rettilineo della Roma rinascimentale, progettato dal Bramante e voluto da papa Giulio II nel primo decennio del 1500.
Nelle intenzioni del pontefice questa doveva diventare una strada di rappresentanza, di pubbliche relazioni, di collegamento tra commercio e foro giudiziario, tra “banchi” e mercati. Anche se il progetto originario non fu mai portato a termine, lungo via Giulia si allinearono i “blasoni” più importanti dell’epoca, favoriti anche dagli interventi del nuovo pontefice, il fiorentino Leone X Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Via Giulia si trasforma così in un quartiere residenziale abitato soprattutto da ricche famiglie fiorentine. Non è un caso che qui si trovi anche San Giovanni dei Fiorentini, la chiesa madre della Signoria a Roma.
Tra gli splendidi palazzi che ancora oggi si allineano lungo la strada, anche il bellissimo Palazzo Falconieri, all’altezza dell’Arco dei Farnese che collega i due versanti della strada, creando un punto di riferimento emblematico della zona. Affiancato alla chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte, è sede dell’Accademia d’Ungheria. Esso sorge sui resti di un antico porto fluviale, posto sulla riva sinistra del Tevere, distrutto molto probabilmente in seguito alla sistemazione urbanistica voluta da Giulio II all’inizio del XVI secolo, il porto è oggi parzialmente conservato nei sotterranei dell’edificio.
Il palazzo fu costruito nel 1576 dalla famiglia Odescalchi. Originariamente aveva otto finestre e un portone decentrato a bugne rustiche con i gigli dei Farnese nella chiave e un cornicione con i simboli degli Odescalchi sulla facciata principale. Agli Odescalchi molti furono i proprietari che si avvicendarono: Francesco Cenci, padre della sventurata Betarice, la famiglia Sforza, il cardinal Giovanni Vincenzo Gonzaga e il cardinal Montalto.
Non sappiamo molto di più della storia più antica del palazzo, ma, certamente, la sua epoca d’oro ebbe inizio quando fu comprato dalla ricchissima famiglia fiorentina Falconieri per accogliere il figlio prodigo della famiglia, Orazio Falconieri con la sua giovane sposa, Ottavia Sacchetti. Conosciamo bene i tratti del volto di entrambi, poiché il loro monumento funebre ornato di bassorilievi si trova in fondo a Via Giulia, nell’abside proprio della chiesa della nazione fiorentina, realizzati da Domenico Guidi su disegno di Francesco Borromini. E fu proprio la giovane coppia a incaricare il maestro Borromini di trasformare il vecchio edificio gotico, lasciando volare liberamente la sua straordinaria fantasia, decorando le sale e i corridoi con stucchi meravigliosi. Il genio non si smentì: gli esperti sostengono che qui, in palazzo Falconieri, egli abbia realizzato una delle sue opere mondane più magnifiche.
La scelta dell’architetto ticinese non fu solo di carattere tecnico o economico. Orazio Falconieri e Francesco Borromini, infatti, erano anche legati da una solida amicizia e reciproca stima, rafforzate da affinità culturali e religiose.
L’artista dovette subito confrontarsi con le aspettative del committente, operando attraverso un’attenta esecuzione. Oltre all’architettura, il palazzo fu ampliato e portato dalle originali otto campate a undici, l’artista pensò anche alla decorazione del piano nobile, rivelando così un’anima profondamente artistica, quasi pittorica.
Abbellì le volte con ornamenti a stucco caratterizzate da raffigurazioni complesse, basate su immagini simboliche che uniscono agli elementi araldici dei Falconieri, raffigurazioni botaniche, emblemi tratti da antichi testi cinquecenteschi, simboli massonici e forme geometriche.
Le quattro stanze degli stucchi si differenziano per i colori rosso, azzurro e verde e mostrano una varietà di elementi affascinanti e suggestivi. Con questi soffitti sapientemente trattati a stucco policromo e dorato, l’architetto realizza una maniera decorativa tra le più sorprendenti del barocco romano. Così nella stanza Rossa si trova il motivo simbolico del mondo come nesso spirito-materia, raffigurato con tre cerchi d’oro che rappresentano lo spirito, la materia e l’anima, con il sole raggiante nel punto d’intersezione. Nella stanza Azzurra, l’artista ha rappresentato l’Universo con l’occhio veggente, l’urobolo, l’axis mundi, il globo terrestre.
Nei pennacchi compaiono squadre, compassi, cornucopie e altri uccelli. Lo stesso Borromini a proposito scriverà «La serpe disposta in circolo nell’atto di mangiarsi la coda indica la perennità dell’Universale Sostanza. Così l’avevo dipinta al centro di una cornice ovale, insieme al Globo terrestre, lo Scettro e all’Occhio-che-tutto-vede»; la squadra invece potrebbe rimandare anche all’abaco che letto da dieci parti forma sempre il numero trentaquattro. Nelle ultime due stanze, quelle Verdi, assistiamo a una composizione più misurata, quasi classicheggiante, con foglie d’acanto, palme ed altri elementi vegetali, che formano una sorta di fregio continuo. Nelle lunette invece compare il falco, simbolo della famiglia. Anche sui pilastri laterali della facciata l’artista ha riportato l’emblema di due falconi anche in riferimento ad Horus, antico dio egizio, oltre che simbolo della famiglia proprietaria. Singolari le teste di falco poste come lesene o cariatidi, splendide realizzazioni del suo spirito visionario.
Alle aule piene delle decorazioni di stucchi, stupefacenti per il colore e per la ricchezza delle forme si accosta degnamente la particolare loggia costruita sul tetto del palazzo, dove la terrazza che offre un panorama vertiginoso è circondata da una transenna di balaustre arricchita a sua volta dalla presenza delle teste di Giana-Giano, di effetto drammatico. Anche queste realizzate con la tecnica degli stucchi.
Con il passare dei secoli la famiglia dei Falconieri si unì con quella dei princìpi Carpegna. Il palazzo fu perciò per lo più a cardinali, ma per tre anni, dal1815, Palazzo Falconieri fu abitazione della madre di Napoleone Bonaparte, Maria Letizia Ramolino.
Nel 1890 il palazzo fu venduto al generale Giacomo Medici, strenuo difensore della Repubblica Romana a Porta San Pancrazio, eccellente soldato garibaldino che per gli straordinari meriti durante le lotte per l’unificazione d’Italia fu onorato dal re Vittorio Emanuele II con il titolo di marchese e con il prenome ‘del Vascello’, attributo che egli conferì alla villa che sorge sul Gianicolo che era stata teatro delle sue gesta e di quelle dei suoi uomini nel 1849.
Il generale Medici offrì il Palazzo Falconieri a Luigi, suo nipote, e lo Stato Ungherese lo acquistò dai suoi eredi, nel 1927, con l’appoggio personale del primo ministro Benito Mussolini.
Le istituzioni che vi si trovano, l’Accademia d’Ungheria (Collegium Hungaricum) con mansione scientifica e culturale, e l’Istituto Pontificio Ungherese, devono molto alla forza attrattiva delle opere meravigliose di Borromini. Lo Stato Ungherese infatti ha una cura particolare di quest’edificio, si occupa della manutenzione, del restauro necessario, permette le visite guidate agli interessati. E cerca di contribuire anche alla maggiore conoscenza dell’opera intera di Borromini.
Roma, 31 agosto 2018
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