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  1. Gianicolo e Montorio, due nomi per un unico colle. Storia e arte di un luogo incantato.

    “Gianicolo” è nome legato alla tradizione più antica della fondazione della città di Roma. Qui, secondo fonti, tra cui Virgilio, vi si

    Panorama di Roma dal Gianicolo. Sullo sfondo a sinistra si scorge il sistema dei monti Sabini – Lucretili, al centro i monti Tiburtini – Prenestini e sulla destra i Colli Albani.

    praticava il culto di Giano, antico re del Lazio. Costui qui avrebbe fondato la sua città, ove avrebbe accolto e nascosto Saturno cacciato dal cielo, prima che questi si costruisse una rocca al Campidoglio.
    Di fatto, di tale prima fondazione non vi è alcuna traccia, così come non vi è attestata nessuna presenza di un tempio dedicato a Giano, se si eccettuano i resti di un piccolo sacello dedicato a suo figlio Fons, presso cui la tradizione poneva anche il sepolcro di Numa.
    Esiste poi la possibilità, attestata da almeno tre epigrafi, che sul colle ci fossero, prima della fondazione di Roma, septem pagi, cioè sette villaggi, sopraffatti poi dagli Etruschi. Gli abitanti dei sette insediamenti avrebbero poi attraversato il Tevere, raggiungendo la riva sinistra, contribuendo così alla fondazione della città sui colli. Secondo Plutarco questi septem pagi erano sette villaggi che Romolo avrebbe conquistato nella guerra contro i Veienti, e con essi anche l’accesso e il controllo delle Saline presso la foce del Tevere.

    San Pietro in Montorio – Facciata.

    Secondo il grammatico romano Sesto Pompeo Festo, il nome “Gianicolo” deriverebbe invece da ianua, cioè porta, per via del suo ruolo di raccordo e passaggio per l’Etruria. È noto che il colle e la pianura di Trastevere appartennero per qualche tempo agli Etruschi, e quando il Gianicolo fu conquistato dalle tribù latine, Anco Marcio — secondo la tradizione riportata da Livio — vi costruì una rocca dalla quale, issando un drappo rosso, veniva segnalato tempestivamente alla città l’arrivo dei nemici. In questa maniera si aveva il tempo di opporre una prima resistenza, a cui seguiva l’efficace difesa delle tribù sull’altra riva del Tevere.
    Il presidio militare veniva rafforzato quando nel Campo Marzio si tenevano i comizi centuriati ai quali partecipavano tutti gli uomini atti alle armi, e la città rimaneva, per questo motivo, senza difesa.
    Quest’accorgimento non impedì tuttavia i ripetuti attacchi da parte degli Etruschi alla città, il più noto dei quali è quello che vide Orazio Coclite combattere gli Etruschi di Chiusi guidati dal loro lucumone Porsenna sul ponte Sublicio, mentre questo veniva smontato alle sue spalle.
    Ma anche quando il pericolo etrusco cessò, dopo la presa di Veio, nel 396 avanti Cristo, il Gianicolo mantenne ugualmente la sua funzione strategica.
    Durante le guerre civili, che segnarono la fine della Repubblica, i partiti se ne contesero il possesso e di lì Mario e Lucio Cornelio Cinna intrapresero l’assalto a Roma, che si concluse con le stragi dei sillani.

    Primo itinerario di Einsiedeln.

    Quando divenne concreta la minaccia dei barbari, Aureliano, il costruttore delle imponenti mura, incluse anche il Gianicolo nel sistema difensivo della città. Nel caso del Gianicolo, il sistema difensivo iniziava dal ponte di Agrippa, attuale ponte Sisto, correva poi parallelamente all’attuale via Garibaldi, saliva fino all’attuale porta San Pancrazio, una volta detta Aurelia, e quindi scendeva congiungendosi alla Porta Portese antica, situata ad un centinaio di metri più avanti da quella attuale.
    Questo sistema difensivo, che aveva il compito di proteggere anche Trastevere, rimase inalterato fino al 1642, quando Urbano VIII volle fortificare ulteriormente queste strutture difensive a seguito dell’esito negativo della guerra di Parma contro i Farnese. In questa occasione le mura vaticane furono collegate con queste del Gianicolo e quindi alla Porta Portese, che nel frattempo venne arretrata e spostata nella posizione attuale.
    Si hanno testimonianze molto chiare del fatto che il Gianicolo sia stato sempre scarsamente abitato e questa condizione viene messa in relazione con il fatto che sul colle scarseggiava l’acqua potabile.

    Tempietto del Bramante

    Augusto, nel 2 avanti Cristo infatti costruì un acquedotto che trasportava l’acqua Alsienita, ovvero quella del lago di Martignano, citata erroneamente anche nell’iscrizione del Fontanone. Si trattava di acqua non potabile, utilizzata solo per irrigare gli orti, in particolare quello di Cesare.
    Nel 109 dopo Cristo, Traiano fece costruire un nuovo acquedotto che proveniva da Bracciano: aveva una mostra dell’acqua all’altezza dell’attuale Villa Sciarra e faceva arrivare in città, in particolare a Trastevere, acqua potabile. Questa stessa acqua alimentava i mulini e diverse attività artigiane che, a partire dal governo di Traiano, caratterizzarono l’area di Trastevere.
    Quando i barbari di Vitige e Belisario tagliarono gli acquedotti, anche quello di Traiano venne interrotto e l’acqua non alimentò più né Trastevere, né i mulini. Nel Medioevo la vita della città si addensò lungo il corso del fiume e anche i mulini si trasferirono sul Tevere, caratterizzando il paesaggio romano fino alla costruzione dei muraglioni, quando vennero tutti smantellati. I mulini rimasero quindi in uso fino alle fine dell’Ottocento.
    Sebbene non sia mai stato identificato il tempio dedicato a Giano, altri luoghi sacri erano presenti sul colle, ad esempio il bosco della Furrina, in cui Caio Gracco si fece uccidere dal suo servo, e sul quale, probabilmente, verrà edificato il Tempio Isiaco che oggi si può vedere nell’area di Villa Sciarra.

    Cristo alla colonna – Sebastiano del Piombo – San Pietro in Montorio.

    Nel Medioevo si afferma un’altra indicazione per il Gianicolo: esso fu denominato mons aureus dal colore degli strati affioranti di sabbia dorata. È possibile che questa caratteristica sia ricordata anche nell’itinerario di Einsidieln, un testo risalente all’VIII secolo dopo Cristo ad uso e consumo dei pellegrini che dovevano muoversi all’interno della città di Roma. L’estensore attraversa il Gianicolo per raggiungere San Cosimato e San Giovanni della Malva, e indica il colle con il nome di mica aurea.
    Il toponimo Montorio, fa quindi riferimento all’origine geologica del monte: può sorprendere infatti sapere che circa 2 milioni di anni fa qui lo spazio era occupato dal mare. Sulle argille azzurre depositate dalla sedimentazione marina si sono poi andate ad accumulare arenarie e sabbie di duna, che testimoniano il progressivo ritiro del mare. La natura del luogo lentamente cambia diventando quella di una formazione prima costiera e quindi continentale. Ancora oggi è possibile notare gli affioramenti delle sabbie originarie ad esempio sotto le mura proprio in prossimità della chiesa di San Piero in Montorio, all’interno dell’Orto Botanico o dentro Villa Lante.

    Decorazioni barocche della bottega del Bernini nel tempietto del Bramante.

    Questa iniziale formazione geologica verrà poi quasi completamente coperta dalle lave delle eruzioni del vulcano Sabatino, ovvero dei monti Volsini e Cimini, e dei Colli Albani, che si trasformeranno nel tufo, uno dei principali materiali da costruzione utilizzato a Roma.
    Sulle lave dei due sistemi vulcanici, la cui vicinanza alla città può essere facilmente verificata affacciandosi dal piazzale Garibaldi, poi sedimenteranno ancora le ghiaie e le sabbie portate a valle dall’antico corso del Tevere.
    La lunga formazione geologica che è stata brevemente descritta dà conto del particolare aspetto a terrazzamenti del colle: la piazza antistante San Petro in Montorio, quella più in alto del Fontanone, il Piazzale Garibaldi sono dei naturali balconi che si sono venuti a formare sulla cima delle dune di sabbia.
    Questa particolare natura geologica è però anche causa della instabilità dei versanti del colle, e poiché essa è comune al Campo Vaticano e a Monte

    Un convoglio passa sul ponte ferroviario della Valle delle Fornaci.

    Mario, fu una delle cause che concorsero al crollo delle torri della basilica di San Pietro e che furono motivo di onta per Bernini.
    Le argille azzurre risalenti a 2 milioni di anni fa affioranti venivano utilizzate nelle fornaci disseminate ai piedi del colle del Gianicolo.
    Dalle cave ai piedi del Gianicolo a partire dal II secolo avanti Cristo verrà cavato il tufo di Monteverde, detto anche cappellaccio. Con questo tufo furono edificati alcuni importanti edifici della Roma antica tra quali alcuni tratti delle Mura Serviane, oppure nella costruzione di alcune parti del teatro di Ostia antica.
    Ma il Gianicolo, per la sua vicinanza al Campo Vaticano, intreccia la sua storia con quella del martirio e della crocifissione di San Pietro. Non è nota la parte più antica della tradizione e come questa si sia stabilita nel tempo, quello che è noto è che a lungo il Gianicolo è stato ritenuto il luogo del martirio di Pietro.
    Analogamente non è nota in dettaglio la storia della piccola chiesa sorta su una delle terrazze naturali. Ne viene per la prima volta ricordata l’esistenza nel Liber Pontificalis nel IX secolo dopo Cristo. Si sa poi che nel 1130 con

    Una delle fornaci in funzione fino ai primi anni Sessanta del Novecento.

    una bolla di Innocenzo VIII, il monastero e la chiesa vengono inglobati nei possedimenti dei monasteri benedettini di San Pancrazio e San Clemente. Prima del 1280 passa ai Celestini e quindi, in epoca non precisata, ai Fratelli Ambrosiani, i quali, una volta trasferitisi a San Pancrazio, la cedettero alle monache benedettine, le quali si estinsero nel corso del XV secolo.
    Sisto IV con una bolla del 1472 e poi con una successiva del 1481 concesse la chiesa, il convento e un ampio pezzo di terreno al beato Amedeo Menez da Silva e alla sua congregazione francescana detta degli Amadeiti, dal nome Amedeo. Sarà Amedeo Menez da Silva che, visto lo stato di completa fatiscenza di chiesa e convento, a partire proprio dal 1481, provvide ad opere di restauro che compresero l’abbattimento della vecchia chiesa e la ricostruzione della nuova.
    Vasari afferma che la ricostruzione della chiesa venne fatta da Baccio Pontelli, ma di ciò non c’è alcuna altra testimonianza. L’impegno economico fu di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, e saranno proprio i reali di Spagna a chiamare Bramante a costruire il tempietto lì dove, secondo la tradizione quattrocentesca, era avvenuto avvenuto il martirio di San Pietro.

    Roma, 13 novembre 2019

  2. Sant’Onofrio al Gianicolo e la memoria di Torquato Tasso

    Giacomo Leopardi si recò a Roma nel novembre del 1822 e vi soggiornò sino all’aprile del 1823 senza mai gioire davvero di questa

    Giacomo Leopardi – A. Ferrazzi – 1820 circa.

    parentesi romana; anzi Roma deluse molto il giovane Poeta, e da tutti i punti di vista: lo delusero le persone, i parenti, i luoghi. Giacomo portò con sé un solo bel ricordo della Città Eterna: la visita alla tomba del grande poeta Torquato Tasso ospitata nella chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo. In una lettera al fratello Carlo scrive: «…fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma».
    Qualche secolo prima, un altro gigante, questa volta di santità, era solito salire fino alla bellissima chiesa-romitorio di Sant’Onofrio: era san Filippo Neri. Così racconta il vedutista Giuseppe Vasi nel 1761: «San Filippo Neri per allettare la gioventù alla parola di Dio, e altresì per allontanarla dalle lusinghe del secolo, soleva nell’alto del giardino di quello convento andare a spasso con li suoi penitenti, e con bella grazia vi introdusse alcune conferenze spirituali, con altri devoti trattenimenti. Perciò i Preti dell’Oratorio ad imitazione del loro santo Fondatore seguitano in ogni festa di precetto dopo il vespro, principiando dal secondo giorno di Pasqua di Resurrezione fino alla festa di s. Pietro Apostolo, a venirvi con gran concorso di uomini devoti, e vi fanno de’ sermoni accompagnati con pii trattenimenti. A tal fine hanno eretto nel medesimo

    Torquato Tasso – Jacopo Bassano.

    luogo, che frequentava s. Filippo tutto il comodo con sedili in forma di teatro, inalberando però sulla cima il segno della s. Croce». Qui fu ospitato François-René de Chateaubriand e Johann Wolfgang von Goethe vi saliva spesso nel corso del suo soggiorno romano. Addirittura Giuseppe Garibaldi, nel 1849, salva la più piccola delle tre campane della chiesa detta “la campana del Tasso”.
    Meta dunque per secoli di poeti, santi e pellegrini, oggi la bellissima chiesa di Sant’Onofrio appare solitaria e semi sconosciuta. È situata in uno dei più straordinari punti di veduta che ci siano a Roma.
    Edificata nel 1419 dal beato Niccolò da Forca Polena grazie alle offerte dei benefattori, tra cui papa Eugenio IV e di facoltose famiglie romane. Fu affidata nel 1466, ai Padri eremiti di san Girolamo. Proprio in quell’anno si tracciò, grazie al gerolamino Jacobelli, la Salita di Sant’Onofrio per raggiungere l’eremo, divenuto intanto santuario, più comodamente dai pellegrini: prima, infatti, si utilizzava uno scosceso e pericoloso sentiero – corrispondente probabilmente a via di Sant’Onofrio – che si inerpicava su quella parte del Gianicolo denominata “Monte Ventoso”. Quando Sisto V nel 1588 elevò la chiesa a titolo presbiteriale sistemò anche la strada, poi lastricata per volere di papa Clemente VIII nel 1600 in occasione del

    Terrazza del Chiostro di Sant’Onofrio al Gianicolo – Albert Eichhorn.

    Giubileo, grazie anche al contributo di alcuni fedeli, fra i quali il cardinale Alessandro Peretti e Camilla Peretti, rispettivamente nipote e sorella di Sisto V.
    Il complesso monumentale di Sant’Onofrio è dunque una delle tappe imperdibili di Roma: è preceduto da un cortile delimitato su due lati da un elegante portico, decorato all’inizio del 1600 dal Domenichino con una serie di affreschi con episodi della vita di San Girolamo. Sul fondo del portico si apre la Cappella della Madonna del Rosario eretta da Guido Vaini per la propria famiglia, di cui si vede lo stemma con leone rampante sopra la porta, con facciata barocca realizzata nel 1620 ed impreziosita dalla serie di Sibille affrescate da Agostino Tassi.
    Accanto al portale di accesso della chiesa invece, incastonata nella parete, si può ammirare la raffinata pietra tombale del beato Nicola da Forca Palena, opera attribuita ad un anonimo artista toscano in cui però si può ben notare l’influsso di Donatello.

    Sant’Onofrio al Gianicolo – Interno.

    Prima di entrare in chiesa, interessante è soffermarsi sul campanile perché si racconta che la campana più piccola abbia a lungo suonato nel 1595, accompagnando Torquato Tasso nei suoi ultimi momenti di vita. Il poeta giunse infatti a Roma da Napoli proprio in quell’anno, dietro la promessa fatta da papa Clemente VIII Aldobrandini dell’incoronazione a poeta in Campidoglio, come era stato secoli prima anche per il Petrarca. Il Tasso però si ammalò gravemente e morì prima di poter presenziare alla cerimonia, proprio qui in una cella del convento, dove aveva trovato riparo e conforto.
    In quella che fu la sua stanzetta è oggi allestito un piccolo museo a lui dedicato che conserva manoscritti, antiche edizioni delle sue opere, la maschera funebre e la pietra tombale che sovrastava l’originario luogo di sepoltura, prima della costruzione del monumento vero e proprio

    Sant’Onofrio al Gianicolo – Baldassarre Peruzzi – Particolare.

    realizzato all’interno della chiesa – grazie alle donazioni degli ammiratori del poeta – dallo scultore Giuseppe De Fabris che lo iniziò nel 1827 completandolo molti anni dopo.
    La chiesa, piccola nelle dimensioni, è a navata unica con cinque cappelle laterali, abside poligonale ed essendo stata costruita tra il periodo tardo medievale e quello rinascimentale/barocco, presenta interessanti soluzioni architettoniche, come per esempio la volta a crociera riferibile alla fase più antica e il sontuoso apparato decorativo ascrivibile invece ai successivi interventi.
    Non mancano i grandi nomi e tra le opere più importanti meritano una menzione gli affreschi con le Storie di Maria ritenuti opera giovanile di Baldassarre Peruzzi; la pala d’altare con la Madonna di Loreto di Annibale Carracci; l’Annunciazione di Antoniazzo Romano e ancora il raffinato monumento funebre dell’arcivescovo di Ragusa Giovanni Sacco, attribuito alla scuola di Andrea Bregno, artista molto attivo a Roma tra 1470 e 1500, posto accanto alla porta della sacrestia.
    Ciò che forse colpisce maggiormente è però la straordinaria decorazione dell’abside con gli affreschi che raccontano gli episodi della vita di Maria, realizzati a due mani: nella parte superiore dal Pinturicchio, Incoronazione, Apostoli, Sibille, Angeli e tondo con Padre Benedicente, in quella inferiore dal Peruzzi, Sacra Conversazione, Adorazione dei Magi e Fuga in Egitto.
    Dal 1946 i Frati Francescani dell’Atonement risiedono presso il convento.

    Roma, 27 ottobre 2019

  3. Quartieri

    Il Mandrione: da baraccati a cittadini  

    Storia di un riscatto

    14._Roma_borgata_Mandrione

    Il Mandrione come appariva negli anni sessanta del nocevento

    Schiacciata tra la linea ferroviaria e i resti imponenti degli Acquedotti, il Mandrione è una strada conosciuta quasi solo dagli automobilisti che vogliono svicolare velocemente dalle trafficatissime via Tuscolana e via Casilina. Eppure, un occhio più attento potrebbe notare sotto gli archi dell’Acquedotto Felice le tracce di quella che è stata una delle più grandi borgate di Roma, nata subito dopo i bombardamenti del quartiere San Lorenzo del 1943. Gli archi accolsero molti di coloro che erano rimasti senza casa e che proprio lì andarono a costruire le loro baracche. continua…

  4. La piccola chiesa di Santa Passera alla Magliana

    L’area, molto popolata, situata tra la riva destra del Tevere e via della Magliana è quotidianamente intasata di traffico. Nulla a che vedere con la desolazione di qualche decennio fa. Qui, nel 1966, Pasolini, insieme

    La piccola chiesa di Santa Passera alla Magliana.

    con Totò e Ninetto Davoli, girò quel miracolo di poesia che fu Uccellacci e Uccellini. E sempre qui, da secoli, resiste un gioiello sconosciuto, una delle tante rarità che Roma – quasi sempre quando e dove meno te lo aspetti – ti regala spunta la chiesetta di Santa Passera, che, piccola e discreta, si affaccia su via della Magliana.
    È meglio subito togliersi il pensiero: il nome. Ai soliti buontemponi sembrerà uno scherzo. O un doppio senso. Anche perché una santa di nome Passera non è inclusa in alcun calendario liturgico e nemmeno Passio in cui vengono narrate le vicende dei primi martiri cristiani. Insomma, le fonti tacciono. E a ragione, perché una santa con questo nome non è mai esistita.
    Si tratterebbe allora della corruzione del nome di un certo Abbas Cyrus, vale a dire Ciro d’Alessandria, santo medico veneratissimo a Napoli e in tutto Meridione.
    Sul tracciato dell’antica via Campana, che in età arcaica correva più o meno su quello dell’odierna via della Magliana, intorno al III secolo dopo Cristo, esisteva un sepolcro, con molta probabilità appartenente a una famiglia

    Chiesa di Santa Passera alla Magliana – Interno.

    agiata, in cui, verso il IV – V secolo, si innestò un oratorio cristiano dedicato alle martiri Prassede e Pudenziana. In questo luogo di culto, secondo alcune fonti durante il V secolo, secondo altre, più verosimilmente, in epoca altomedievale, furono traslate le reliquie dei martiri Ciro e Giovanni di Alessandria, portate a Roma dall’Egitto, per essere preservate dal pericolo imminente di un’invasione da parte degli Arabi.
    Come mai, durante la fase di traslazione, fu scelto un luogo di culto così piccolo e isolato per preservare i sacri resti di Ciro e Giovanni? Alcuni studiosi hanno voluto trovare una correlazione tra l’antica ubicazione delle reliquie martiriali in Egitto e la chiesetta di Santa Passera. In Egitto i resti dei due santi erano stati trasferiti in un santuario che si trovava nella città di Canop, corrispondente più o meno all’odierna città di Abukir, la quale sorgeva sul ramo occidentale del Nilo a 25 km circa da Alessandria. La tradizione narra che questo santuario si trovava in prossimità del fiume proprio come accade alla chiesetta di Santa Passera, la quale, non a caso, è ubicata a poca distanza dal Tevere. Si è quindi ipotizzato che essa sia

    Chiesa di Santa Passera alla Magliana – Affreschi dell’abside.

    probabilmente stata individuata come sede delle reliquie proprio dai monaci che effettuarono la traslazione delle reliquie, al fine di ricordare l’antico santuario in terra d’Egitto che sorgeva nei pressi del Nilo. Curiosa, tra l’altro, anche l’origine del toponimo arabo Abukir nel quale è evidente una reminiscenza del nome Abbas Cyrus.
    Ma torniamo alla nostra Santa Passera: il piccolo luogo di culto, nell’VIII secolo, venne quindi ampliato e restaurato e dedicato alla memoria dei due martiri. Il nome di San Ciro sopravvisse nel tempo in relazione alla chiesa ma avrebbe conosciuto numerose volgarizzazioni che lo avrebbero mutato dal greco Abbas Cyrus, padre Ciro, in Abbaciro, Appaciro, Appàcero, Pàcero, Pàcera e infine Passera, da cui deriverebbe il nome odierno dell’edificio cultuale.
    Le reliquie martiriali dei due santi, in epoca tardomedievale, sarebbero state nuovamente traslate prima nel rione Trastevere, dove esisteva una chiesa dedicata a Sant’Abbaciro, e successivamente a Napoli, città da cui, a partire dal XVII secolo, si irradiò in tutto il Meridione il culto di San Ciro, veneratissimo santo patrono di Portici.

    Santa Passera – San Ciro d’Alessandria.

    La chiesa di Santa Passera, seppur posta in ubicazione suburbana, mantenne un’importanza rilevante come si può evincere dalle pitture che decorano l’unica aula absidata da cui è composto l’edificio. Tra queste ricordiamo l’affresco raffigurante i padri della chiesa orientale, realizzate con molta probabilità dagli stessi pittori bizantini, rifugiatisi a Roma durante il periodo dell’iconoclastia, che decorarono la chiesa di Santa Maria Antiqua nell’ VIII secolo.
    Anche il catino absidale presenta degli affreschi di pregevole fattura, purtroppo giunti fino ai nostri giorni in condizioni non totalmente perfette. Le pitture, divise in due livelli distinti, uno superiore e uno inferiore, risalgono a due diverse epoche storiche: quelli della parte superiore, probabilmente databili a un periodo medievale, rappresentano il Cristo trionfante tra le palme del martirio affiancato dai santi Pietro, Paolo, Giovanni Battista, a sinistra, e Giovanni Evangelista, a destra con una coppa in mano.
    Nella parte inferiore invece, le raffigurazioni sono databili al XIV secolo: la figura centrale è una rappresentazione della Vergine Oδηγήτρια – Odighítria, colei che indica la strada, tema ricorrente nell’iconografia bizantina. Alla sua destra l’Arcangelo Michele, protettore della Cristianità, e sull’estrema destra, un’altra bellissima raffigurazione di Cristo

    Santa Passera – Padri della Chiesa Orientale.

    Παντοκράτωρ – Pantocrator, in trono tra i santi titolari dell’edificio cultuale, Ciro, con la barba, e Giovanni, rappresentati come medici. Sull’estrema sinistra si notano altre due figure di santi non presenti nell’iconografia di ambiente orientale. Nella figura con il saio è riconoscibile San Francesco d’Assisi mentre alla sua sinistra è riconoscibile San Giacomo.
    Curiosa è poi la presenza di altre due raffigurazioni, di dimensioni più piccole, poste ai piedi dei due santi, che corrispondono probabilmente ai committenti dell’opera. È stato ipotizzato che nella figura femminile ai piedi del poverello di Assisi si possa identificare Jacopa de Settesoli, vedova del nobiluomo Graziano Frangipane, che, nel 1213 ospitò proprio San Francesco all’interno della Torre della Moletta al Circo Massimo mentre nella figura maschile, il di lei figlio Giacomo, protetto appunto dall’omonimo santo. Probabilmente la chiesa di Santa Passera doveva un tempo essere connessa alle proprietà dei Frangipane e la nobildonna Jacopa volle farsi effigiare assieme al figlio sotto la protezione dei santi a cui erano fortemente devoti.

    Santa Passera – Cristo Pantocratore tra i santi Ciro e Giovanni.

    Ma la chiesa di Santa Passera possiede la particolarità di aver conservato anche i due ambienti precedenti e sotterranei rispetto all’aula cultuale cristiana. A un livello più basso si trova infatti l’antica camera sepolcrale trasformata in oratorio e sotto di essa un ambiente pagano preesistente che presenta addirittura tracce di pitture. In epoca Medievale, si ritiene intorno all’anno 1000, nel livello di mezzo venne aperto un ingresso sopra il quale ancora oggi campeggia una bellissima epigrafe che ricorda l’avvenuta traslazione nella chiesa di Santa Passera dei martiri Ciro e Giovanni dalla città di Alessandria d’Egitto.

    Si ringrazia “Allontanarsi dalla linea gialla” per il testo e per alcune delle fotografie.

    Roma, 13 ottobre 2019