“Gianicolo” è nome legato alla tradizione più antica della fondazione della città di Roma. Qui, secondo fonti, tra cui Virgilio, vi si
praticava il culto di Giano, antico re del Lazio. Costui qui avrebbe fondato la sua città, ove avrebbe accolto e nascosto Saturno cacciato dal cielo, prima che questi si costruisse una rocca al Campidoglio.
Di fatto, di tale prima fondazione non vi è alcuna traccia, così come non vi è attestata nessuna presenza di un tempio dedicato a Giano, se si eccettuano i resti di un piccolo sacello dedicato a suo figlio Fons, presso cui la tradizione poneva anche il sepolcro di Numa.
Esiste poi la possibilità, attestata da almeno tre epigrafi, che sul colle ci fossero, prima della fondazione di Roma, septem pagi, cioè sette villaggi, sopraffatti poi dagli Etruschi. Gli abitanti dei sette insediamenti avrebbero poi attraversato il Tevere, raggiungendo la riva sinistra, contribuendo così alla fondazione della città sui colli. Secondo Plutarco questi septem pagi erano sette villaggi che Romolo avrebbe conquistato nella guerra contro i Veienti, e con essi anche l’accesso e il controllo delle Saline presso la foce del Tevere.
Secondo il grammatico romano Sesto Pompeo Festo, il nome “Gianicolo” deriverebbe invece da ianua, cioè porta, per via del suo ruolo di raccordo e passaggio per l’Etruria. È noto che il colle e la pianura di Trastevere appartennero per qualche tempo agli Etruschi, e quando il Gianicolo fu conquistato dalle tribù latine, Anco Marcio — secondo la tradizione riportata da Livio — vi costruì una rocca dalla quale, issando un drappo rosso, veniva segnalato tempestivamente alla città l’arrivo dei nemici. In questa maniera si aveva il tempo di opporre una prima resistenza, a cui seguiva l’efficace difesa delle tribù sull’altra riva del Tevere.
Il presidio militare veniva rafforzato quando nel Campo Marzio si tenevano i comizi centuriati ai quali partecipavano tutti gli uomini atti alle armi, e la città rimaneva, per questo motivo, senza difesa.
Quest’accorgimento non impedì tuttavia i ripetuti attacchi da parte degli Etruschi alla città, il più noto dei quali è quello che vide Orazio Coclite combattere gli Etruschi di Chiusi guidati dal loro lucumone Porsenna sul ponte Sublicio, mentre questo veniva smontato alle sue spalle.
Ma anche quando il pericolo etrusco cessò, dopo la presa di Veio, nel 396 avanti Cristo, il Gianicolo mantenne ugualmente la sua funzione strategica.
Durante le guerre civili, che segnarono la fine della Repubblica, i partiti se ne contesero il possesso e di lì Mario e Lucio Cornelio Cinna intrapresero l’assalto a Roma, che si concluse con le stragi dei sillani.
Quando divenne concreta la minaccia dei barbari, Aureliano, il costruttore delle imponenti mura, incluse anche il Gianicolo nel sistema difensivo della città. Nel caso del Gianicolo, il sistema difensivo iniziava dal ponte di Agrippa, attuale ponte Sisto, correva poi parallelamente all’attuale via Garibaldi, saliva fino all’attuale porta San Pancrazio, una volta detta Aurelia, e quindi scendeva congiungendosi alla Porta Portese antica, situata ad un centinaio di metri più avanti da quella attuale.
Questo sistema difensivo, che aveva il compito di proteggere anche Trastevere, rimase inalterato fino al 1642, quando Urbano VIII volle fortificare ulteriormente queste strutture difensive a seguito dell’esito negativo della guerra di Parma contro i Farnese. In questa occasione le mura vaticane furono collegate con queste del Gianicolo e quindi alla Porta Portese, che nel frattempo venne arretrata e spostata nella posizione attuale.
Si hanno testimonianze molto chiare del fatto che il Gianicolo sia stato sempre scarsamente abitato e questa condizione viene messa in relazione con il fatto che sul colle scarseggiava l’acqua potabile.
Augusto, nel 2 avanti Cristo infatti costruì un acquedotto che trasportava l’acqua Alsienita, ovvero quella del lago di Martignano, citata erroneamente anche nell’iscrizione del Fontanone. Si trattava di acqua non potabile, utilizzata solo per irrigare gli orti, in particolare quello di Cesare.
Nel 109 dopo Cristo, Traiano fece costruire un nuovo acquedotto che proveniva da Bracciano: aveva una mostra dell’acqua all’altezza dell’attuale Villa Sciarra e faceva arrivare in città, in particolare a Trastevere, acqua potabile. Questa stessa acqua alimentava i mulini e diverse attività artigiane che, a partire dal governo di Traiano, caratterizzarono l’area di Trastevere.
Quando i barbari di Vitige e Belisario tagliarono gli acquedotti, anche quello di Traiano venne interrotto e l’acqua non alimentò più né Trastevere, né i mulini. Nel Medioevo la vita della città si addensò lungo il corso del fiume e anche i mulini si trasferirono sul Tevere, caratterizzando il paesaggio romano fino alla costruzione dei muraglioni, quando vennero tutti smantellati. I mulini rimasero quindi in uso fino alle fine dell’Ottocento.
Sebbene non sia mai stato identificato il tempio dedicato a Giano, altri luoghi sacri erano presenti sul colle, ad esempio il bosco della Furrina, in cui Caio Gracco si fece uccidere dal suo servo, e sul quale, probabilmente, verrà edificato il Tempio Isiaco che oggi si può vedere nell’area di Villa Sciarra.
Nel Medioevo si afferma un’altra indicazione per il Gianicolo: esso fu denominato mons aureus dal colore degli strati affioranti di sabbia dorata. È possibile che questa caratteristica sia ricordata anche nell’itinerario di Einsidieln, un testo risalente all’VIII secolo dopo Cristo ad uso e consumo dei pellegrini che dovevano muoversi all’interno della città di Roma. L’estensore attraversa il Gianicolo per raggiungere San Cosimato e San Giovanni della Malva, e indica il colle con il nome di mica aurea.
Il toponimo Montorio, fa quindi riferimento all’origine geologica del monte: può sorprendere infatti sapere che circa 2 milioni di anni fa qui lo spazio era occupato dal mare. Sulle argille azzurre depositate dalla sedimentazione marina si sono poi andate ad accumulare arenarie e sabbie di duna, che testimoniano il progressivo ritiro del mare. La natura del luogo lentamente cambia diventando quella di una formazione prima costiera e quindi continentale. Ancora oggi è possibile notare gli affioramenti delle sabbie originarie ad esempio sotto le mura proprio in prossimità della chiesa di San Piero in Montorio, all’interno dell’Orto Botanico o dentro Villa Lante.
Questa iniziale formazione geologica verrà poi quasi completamente coperta dalle lave delle eruzioni del vulcano Sabatino, ovvero dei monti Volsini e Cimini, e dei Colli Albani, che si trasformeranno nel tufo, uno dei principali materiali da costruzione utilizzato a Roma.
Sulle lave dei due sistemi vulcanici, la cui vicinanza alla città può essere facilmente verificata affacciandosi dal piazzale Garibaldi, poi sedimenteranno ancora le ghiaie e le sabbie portate a valle dall’antico corso del Tevere.
La lunga formazione geologica che è stata brevemente descritta dà conto del particolare aspetto a terrazzamenti del colle: la piazza antistante San Petro in Montorio, quella più in alto del Fontanone, il Piazzale Garibaldi sono dei naturali balconi che si sono venuti a formare sulla cima delle dune di sabbia.
Questa particolare natura geologica è però anche causa della instabilità dei versanti del colle, e poiché essa è comune al Campo Vaticano e a Monte
Mario, fu una delle cause che concorsero al crollo delle torri della basilica di San Pietro e che furono motivo di onta per Bernini.
Le argille azzurre risalenti a 2 milioni di anni fa affioranti venivano utilizzate nelle fornaci disseminate ai piedi del colle del Gianicolo.
Dalle cave ai piedi del Gianicolo a partire dal II secolo avanti Cristo verrà cavato il tufo di Monteverde, detto anche cappellaccio. Con questo tufo furono edificati alcuni importanti edifici della Roma antica tra quali alcuni tratti delle Mura Serviane, oppure nella costruzione di alcune parti del teatro di Ostia antica.
Ma il Gianicolo, per la sua vicinanza al Campo Vaticano, intreccia la sua storia con quella del martirio e della crocifissione di San Pietro. Non è nota la parte più antica della tradizione e come questa si sia stabilita nel tempo, quello che è noto è che a lungo il Gianicolo è stato ritenuto il luogo del martirio di Pietro.
Analogamente non è nota in dettaglio la storia della piccola chiesa sorta su una delle terrazze naturali. Ne viene per la prima volta ricordata l’esistenza nel Liber Pontificalis nel IX secolo dopo Cristo. Si sa poi che nel 1130 con
una bolla di Innocenzo VIII, il monastero e la chiesa vengono inglobati nei possedimenti dei monasteri benedettini di San Pancrazio e San Clemente. Prima del 1280 passa ai Celestini e quindi, in epoca non precisata, ai Fratelli Ambrosiani, i quali, una volta trasferitisi a San Pancrazio, la cedettero alle monache benedettine, le quali si estinsero nel corso del XV secolo.
Sisto IV con una bolla del 1472 e poi con una successiva del 1481 concesse la chiesa, il convento e un ampio pezzo di terreno al beato Amedeo Menez da Silva e alla sua congregazione francescana detta degli Amadeiti, dal nome Amedeo. Sarà Amedeo Menez da Silva che, visto lo stato di completa fatiscenza di chiesa e convento, a partire proprio dal 1481, provvide ad opere di restauro che compresero l’abbattimento della vecchia chiesa e la ricostruzione della nuova.
Vasari afferma che la ricostruzione della chiesa venne fatta da Baccio Pontelli, ma di ciò non c’è alcuna altra testimonianza. L’impegno economico fu di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, e saranno proprio i reali di Spagna a chiamare Bramante a costruire il tempietto lì dove, secondo la tradizione quattrocentesca, era avvenuto avvenuto il martirio di San Pietro.
Roma, 13 novembre 2019