L’Urbe offre ai suoi visitatori più attenti un repertorio sconfinato di animali: uno zoo
delle meraviglie scaturito da un misterioso incantesimo quasi che un mago o una fata avessero trasformato in pietra creature a volte reali, o frutto della fantasia, buone o malvage. A volte si mostrano in tutta la loro fiera bellezza, altre volte si nascondono timidi. Leoni, delfini, salamandre, grifoni: sono loro gli incredibili abitatori delle strade, delle piazze, delle facciate dei palazzi, alcune volte dei tetti delle case e delle chiese, a popolare questo straordinario bestiario di pietra. Sempre raccontano una storia: l’incontro con un gatto o il volo di un uccello possono rappresentare un presagio.
Le formule magiche o propiziatorie evocano quasi sempre nomi di animali; essi sono per eccellenza le vittime dei sacrifici, simboleggiando l’alleanza con potenze invisibili per ottenere prosperità, gioia e fecondità. Spesso, non se ne accorge alcuno, ma attraversando piazze e vicoli, in fondo, non si è mai soli: statue e raffigurazioni di animali sono i muti testimoni di eventi storici, simboli di miti e di leggende. Ebbene, questo zoo di pietra non attende altro che essere raccontato.
E allora non si può non iniziare dalla Lupa Capitolina: oggi possiamo ammirarla, piccola, bronzea e leggiadra, sul lato sinistro della piazza del Capidoglio e dimora qui da oltre cinque secoli. La scultura bronzea in origine era nella facciata del Palazzo Laterano e fu donata nel 1471 dal Papa Sisto IV della Rovere al “Popolo Romano”, insieme ad altre sculture bronzee. La grande e importante piazza è condivisa con un secondo animale, molto più grande e possente: il cavallo di Marco Aurelio, voluto sul colle da Papa Paolo III nel lontano 1538. Oggi entrambe le statue esposte all’aperto sono copie. Le originali si possono ammirare all’interno dei Musei Capitolini, a pochi metri di distanza. E ancora, ai piedi della cordonata che sale al colle ci aspettano due leoni egizi in granito nero, nei tempi forati e trasformati in fontanelle. Durante le feste solenni gettavano vino dei castelli invece dell’acqua.
Tanti i leoni, come quelli che ornano molte fontane romane come quella di Piazza del Popolo, o quelli che accompagnano il visitatore nel salire le scale del Vittoriano, o ancora il leone che assale un cinghiale posto sull’angolo di un palazzo su via dell’Orso. La via parla dell’orso perché nel Medioevo la belva era stata riconosciuta come un orso e non come un leone. Ma ci sono orsi posti all’ingresso di Palazzo Savelli -Orsini a Monte Savello legati alla simbologia araldica familiare. Al pari dei leoni poi sono numerosi i cavalli come quelli celebri dei Dioscuri sulla Piazza del Quirinale;
In tutta Roma sono numerosi i fregi, le sculture, i mosaici e decori vari, di tutte le epoche, dal periodo classico romano sino al liberty, passando per il razionalismo, dedicate a una fauna estremamente simbolica. Farne un elenco completo sarebbe impossibile, le ritroviamo segnalate frequentemente anche nella toponomastica della città eterna: Via dell’Oca, Via del Gambero, Via della Scrofa, Via della Gatta, Piazza Mattei detta delle Tartarughe, Via dell’Orso, Via dei Serpenti, Via della Palomba e tantissime altre, distribuite in tutti i Rioni. Potremmo aprire una lunga battuta di caccia che incontrerebbe centinaia di animali di pietra.
Via della Gatta è famosa per il piccolo felino egizio posto in un angolo di un cornicione di Palazzo Grazioli, ritrovato a qualche metro di distanza nel vicino santuario dedicato a Iside. La leggenda racconta che nella direzione in cui guarda la gatta dovrebbe essere sepolto un tesoro, ancora nessuno è riuscito però a trovarlo…
I passanti frettolosi forse non notano, sopra la facciata della chiesa di Sant’Eustachio, una testa di cervo con la croce fra le corna che sovrasta la chiesa. Una leggenda medievale, narra la storia di Placido, un comandante dell’esercito romano, che fu battezzato cambiando il suo nome in Eustachio dopo aver visto l’apparizione di una croce con l’immagine di Cristo fra le corna del cervo che stava per uccidere.
Ma anche animali fuori dall’usuale come le tartarughe della fontana di Piazza Mattei, entrata nell’immaginario della città, tanto da essere utilizzata come modello per la realizzazione di altre fontane. La vasca superiore di questa fontana fu realizzata verso la fine del Cinquecento da Giacomo della Porta. La tradizione vuole che il duca Mattei volle dimostrare al padre della sua amata di essere un uomo potente,
contrariamente a quanto questi ritenesse, facendo erigere la meravigliosa fontana davanti alle sue finestre nell’arco di una sola notte. Le piccole tartarughe bronzee poste simmetricamente furono aggiunte solo più tardi, nel 1658, e la tradizione le attribuisce a Gian Lorenzo Bernini. Più volte trafugate ma sempre tornate al loro posto, furono oggetto di un ultimo furto nel 1981. In questa occasione la tartaruga rubata non fece ritorno al suo posto e per questo motivo le tre superstiti originali furono ricoverate nei Musei Capitolini e sostituite da copie.
A due passi dal Pantheon, di fronte alla magnifica chiesa di Santa Maria sopra Minerva troneggia un elefantino, chiamato familiarmente il “Pulcin della Minerva”, il nome sembra essere un ingentilimento della parola “porcin” dato dai romani alla statua perché ritenuta tozza. Il simpatico mammifero proboscidato in marmo, realizzato da Gian Lorenzo Bernini nel Seicento. Molti racconti beffardi ne sottolineano le sue terga ben in mostra verso le finestre di un palazzo che ospitava un architetto domenicano rivale del Bernini.
L’opera del Bernini s’ispira a un’illustrazione dell’Hypnerotomachia Poliphili, un romanzo d’amore del XV secolo, considerato una delle più belle opere prodotte da Aldo Manunzio, di cui il papa Alessandro Chigi possedeva una copia. In questo romanzo il protagonista, Polifilo, incontra un elefante che porta in equilibrio sulla groppa un elefantino. L’elefantino era considerato un simbolo di virtù ed equilibrio, qualità che ciascun credente doveva possedere, supportato dalla sapienza divina,
rappresentata dall’obelisco.
Lasciato l’elefantino, sulla facciata della chiesa di San Luigi dei Francesi troviamo due salamandre che eruttano fiamme. Questo animale ci riporta ad una leggenda asiatica secondo la quale la salamandra alimenta il fuoco benefico mentre spegne quello nocivo. Su di esse compaiono infatti due iscrizioni in latino: nutro ed estinguo e sarà la luce dei cristiani nel fuoco. Sebbene possa sembrare strano l’abbinamento salamandra-chiesa, questo ha ovviamente una valida spiegazione: sin dai tempi antichi, infatti, la salamandra fu associata alla capacità di far fronte alle avversità della vita e alla fede che non vacilla di fronte al fuoco del martirio o delle passioni terrene. Si era infatti convinti che questo animale avesse la capacità di non bruciarsi e addirittura di spegnere il fuoco. Ecco dunque la chiave di lettura cristiana legato alla salamandra: nutro il fuoco della fede e spengo quello delle passioni carnali; esempio inoltre di rettitudine durante le avversità. La corona posta sull’animale indica invece la regalità della casata francese, san Luigi fu infatti sovrano di Francia nel XIII secolo.
Poi le api. Un vero sciame di api ronza su Roma. Le api dello stemma della famiglia Barberini. Talvolta svolazzano alla luce del sole nella piccola Fontana delle Api del Bernini all’inizio di via Veneto e intorno alla Barcaccia a piazza di Spagna, o alla luce dei ceri nei quattro basamenti in marmo dell’Altare della Confessione nella Basilica di San Pietro, intrappolate nel calcare della Fontana delle Rane a piazza Mincio, talvolta all’ombra dei chiaroscuri degli affreschi di Palazzo Barberini o delle code dei delfini della Fontana del Tritone, ovviamente in piazza Barberini…
Dal centro storico di Roma, restando sullo stesso lato del Tevere, portiamo la nostra ricerca a Testaccio. Nel cuore del quartiere è da anni presente un grande spazio dedicato all’arte contemporanea. Per il Macro Testaccio è infatti stato restaurato e riorganizzato una grande parte del complesso che fu il Mattatoio di Roma. Il vastissimo complesso, oggi spartito tra Museo e diverse altre realtà culturali, fu progettato sul finire dell’Ottocento da Gioacchino Ersoch. Il nuovo Mattatoio era all’avanguardia per norme igieniche e per lo smaltimento. Un luogo della nostra città dove gli animali non ebbero mai vita facile. All’ingresso del Macro, ovvero di quello che era il Mattatoio, ancora si erige un muscoloso e misterioso toro. Di fronte al Macro, alzando lo sguardo in direzione di, Via Galvani, da un paio di anni è presente un grandissimo lupo, il Jumping Wolf realizzato dal famoso artista Roa. Al calare della sera, proprio in questa zona dell’ex Mattatoio, si possono incontrare molte carrozzelle trainate da stanchi cavalli che rientrano dopo aver trascorso la giornata in giro per la città, trasportando centinaia di turisti a visitare gli altri luoghi della città eterna, quelli citati in tutte le guide di viaggio.
Roma, 1 luglio 2018.
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