Caio Plinio Cecilio Secondo, è detto il Giovane per distinguerlo da suo zio, Plinio il Vecchio, che si occupò di lui alla morte dei genitori, lo fece studiare e, grazie alle sue risorse economiche, gli garantì una veloce carriera politica.
Alla morte dello zio, avvenuta nel 79 dopo Cristo durante la disastrosa eruzione del Vesuvio, che è proprio Plinio il Giovane a descrivere minuziosamente, questi si ritrovò unico erede di un’immensa fortuna. L’opera letteraria per cui Plinio il Giovane è più noto è certamente l’Epistolario, e tra le lettere in esso raccolte presentiamo qui quella in cui egli descrive all’amico Gallo la sua villa Laurentina.
La villa di Plinio il Giovane, i cui resti oggi si ritiene siano dentro la tenuta presidenziale di Castel Porziano, è stata a lungo identificata con i resti di una villa che si trovano in località Palombara. Questa villa oggi si pensa sia appartenuta ad Ortensio, oratore vissuto ai tempi di Cicerone.
E’ noto che essa era una delle tante ville residenziali romane nella macchia mediterranea tra Palombara e Torvaianica, una zona dove divenne di moda possedere una villa e che si sviluppò in tal senso quando fu costruita la via Severiana che velocizzava il collegamento di Ostia con Terracina.
La descrizione che Plinio il Giovane fa della sua villa, nell’episola XVII del libro II, resta però una delle testimonianze più interessanti dell’esistenza di queste ville andate per la maggior parte perse.
La descrizione della villa è talmente minuziosa che nel tempo tantissimi sono stati gli architetti, tra cui Luigi Canina e Karl Friedrich Schinkel, che si sono esercitati nel tentativo di darne una veritiera ricostruzione. Presentiamo qui il testo corredato da alcuni disegni di Hans Dollgast (1891 – 1974).
Caro Gallo,
ti meravigli perché io tanto mi diletti della mia Laurentina o, se preferisci, Laurento; avran termine le tue meraviglie quando avrai conosciuto l’amenità della villa, la comodità del luogo, l’ampiezza della spiaggia.
Dista diciassettemila passi dalla città, sì che, compiuto quanto ti tocca di fare, dopo aver sfruttato interamente la giornata, puoi ritirarti qui per la notte.
Vi si accede non da una sola via; poiché puoi servirti sia della Laurentina come della Ostiense, ma la Laurentina devi lasciarla al quattordicesimo miglio, l’Ostiense all’undecimo. Dall’una e dall’altra parte, si incontra una strada in certi punti arenosa, un po’ molesta e lunga per le pariglie, corta e buona per chi vada a cavallo. Vario qua e là il paesaggio; giacché a tratti il cammino è stretto a cagione dei boschi che ti vengono incontro, a tratti si attarda e si allarga in vastissime praterie; molte greggi ovine, molte mandrie di cavalli e armenti bovini, che cacciati dai monti dall’inverno si ingrassano in quei pascoli al tepore della primavera.
La villa, sufficiente alle necessità, non richiede una costosa manutenzione. Sul davanti vi è un atrio semplice, ma non senza eleganza, segue un portico che in forma di una D racchiude una corte, piccola ma graziosa. L’insieme offre un eccellente ricovero per il cattivo tempo, giacché è protetto dalle vetrate e soprattutto dalle grondaie dei tetti. Nel suo mezzo un gaio cavedio, poi una stanza da pranzo abbastanza bella aperta sulla spiaggia, sì che quando il vento dell’Africa rigonfia il mare, essa viene dolcemente spruzzata dalle ultime onde già infrante. Tutt’intorno la sala ha delle porte, o delle finestre non meno grandi delle porte, e così lungo i lati e di fronte essa sembra affacciarsi su tre mari, mentre a tergo guarda il cavedio, il portico, la corte, di nuovo il portico, poi l’atrio, i boschi e più in lontananza i monti.
A sinistra della sala, un po’ arretrata, vi è un’ampia camera da letto, poi una più piccola, ove una finestra lascia entrare il sole nascente, un’altra trattiene quello che tramonta; anche da quest’ultima si gode la vista del mare sottostante, ma un po’ più da lontano e con minor rischio. La camera da letto da una parte e la sala da pranzo dall’altra si incontrano formando un angolo, ove si concentrano e si rafforzano i raggi incontaminati del sole. È questo il quartiere d’inverno ed è anche il luogo di riunione delle mie genti: qui ogni vento tace, a eccezione di quelli che recano le nuvole e tolgono il sereno, ma non il godimento di quel luogo. A quest’angolo si congiunge una camera da letto di forma ellittica, che segue dalle varie finestre il corso del sole. In una delle due pareti è inserito un armadio, in guisa di biblioteca, che raccoglie dei libri destinati non già alla lettura, ma alla consultazione. Pure a un lato è un’altra camera da letto separata da un corridoio sopraelevato e attraversata da tubi che in giusta misura distribuiscono il calore e assicurano ai diversi ambienti il predisposto calore. Il resto di questo lato della casa è destinato all’uso degli schiavi e dei liberti e per la maggior parte così ben sistemato da poter ricevere anche degli ospiti.
Dall’altro lato vi è una piccola camera da letto elegantissima; poi una grande camera o piccolo tinello, che riluce per il molto sole e per il molto mare; dietro questo locale una camera da letto con anticamera, adatta all’estate per la sua altezza, all’inverno perché ben protetta, riparata com’è da tutti i venti. Una comune parete congiunge a questa un’altra camera con la sua anticamera.
Segue la sala dei bagni freddi, grande e spaziosa, dalle cui opposte pareti come sbalzate sporgono due vasche, fin troppo capaci, se pensi alla vicinanza del mare. Vi è contiguo il locale per ungersi, l’ipocausto, il propnigeon del bagno, poi due camerette più eleganti che sontuose; annessa è una magnifica piscina riscaldata, dalla quale chi nuota può vedere il mare; non lungi lo sferisterio che nelle giornate più calde è esposto al sole solo nel tardo pomeriggio. Qui presso si eleva una torre, che ha nella parte inferiore due stanze, altrettante di sopra e inoltre una sala per cenare che domina il vastissimo mare, l’amplissimo litorale e delle amenissime ville. V’è anche un’altra torre, nella quale è situata una camera da letto, ove si scorge il nascere e il tramontare del sole; dietro è un vasto magazzino e una dispensa; sotto si trova una sala da pranzo, in cui non arriva del mare agitato che il fremito e il sussurro delle onde, e pur questo già languido e smorzato; si affaccia sul giardino e sul viale che lo racchiude.
Il viale è cinto da piante di bosso e, dove manca il bosso, di rosmarino (giacché il bosso là dove i fabbricati lo proteggono verdeggia rigoglioso; a cielo scoperto e in piano gli spruzzi del mare, ancorché lontani, lo inaridiscono); lungo la parte interna del viale corre un pergolato ancor giovane e ombroso, il cui terreno è molle e cedevole anche a piede nudo. Il giardino è ricoperto da molti gelsi e fichi, ai quali questo terreno è particolarmente favorevole, mentre non vale nulla per le altre specie.
Una sala da pranzo appartata dalla spiaggia gode della vista sul giardino non inferiore a quella della marina; a tergo sono sistemate due camere dalle cui finestre si domina il vestibolo della villa e un altro pingue giardino. In questa parte si sviluppa una galleria che sembra quasi un monumento pubblico. Sui due lati finestre, parecchie verso il mare, alcune verso il giardino: di queste ce n’è una per ogni due sull’altro lato. Esse, quando il tempo è sereno e calmo, possono essere aperte tutte senza inconvenienti,; quando qui o là è turbato per i venti, si aprono solo dalla parte dove questi non soffiano. Davanti alla galleria è una terrazza profumata dalle viole. La galleria aumenta il calore dei raggi del sole che la investono, riflettendoli, e come essa trattiene il sole, così si oppone e tiene lontano il vento del nord; quanto è calda sul davanti altrettanto è fresca sul retro. Si oppone pure allo scirocco, e in tal modo arresta e doma i venti più opposti, gli uni da un lato gli altri dall’altro. Se tale è il conforto della galleria d’inverno, lo è ancor di più d’estate. Infatti prima di mezzodì la terrazza, nel pomeriggio il tratto più vicino del giardino e del viale sono resi freschi dall’ombra della galleria, giacché, secondo che il giorno cresca o cali, essa pure si stende or più corta or più lunga. La galleria stessa non è mai così priva di sole, come quando più cocente esso cade a piombo sopra il suo tetto. E poi dalle finestre aperte lascia entrare e circolare il ponentino, e pertanto l’ambiente non è mai molesto per aria pesante e stagnante.
In fondo alla terrazza, e quindi alla galleria e al giardino, vi è un padiglione, la mia passione, sì proprio la mia passione. L’ho posto là io.
Vi si trova una stanza per prendere il sole, che si affaccia da una parte sulla terrazza, dall’altra sul mare, da ambedue ricevendo il sole; e una camera da letto che per una porta si affaccia alla galleria e per una finestra al mare. Dirimpetto, in mezzo a una parete, si interna graziosamente una alcova che, aprendo e chiudendo dei vetri e dei tendaggi, ora può venire riunita alla camera, ora separata. Vi trovan posto un letto e due seggiole; ai piedi ha il mare, a tergo le ville, dietro il capo i boschi; questi diversi aspetti del paesaggio ti appaiono distinti e riuniti a un tempo da altrettante finestre. A lato vi è una camera adatta per la notte e il sonno: qui non arriva né la voce degli schiavi, né il mormorio del mare, non il fremito delle tempeste, non il chiarore dei fulmini e quasi non ti accorgi che sia giorno se le finestre non sono aperte. La cagione di un così alto e profondo isolamento è un locale di passaggio posta fra la parete della camera e il giardino che li separa, e smorza in quell’interposto vuoto ogni rumore. Adiacente alla camera è un piccolo ipocausto, che da una stretta bocca diffonde o trattiene, a piacimento, il calore che vien dal basso. Poi un’anticamera e una camera da letto si avanzano verso il sole, che, ricevuto al suo nascere, vi permane nel pomeriggio, sia pur di scorcio. Quando mi ritiro in questo padiglione, mi sembra d’ esser lungi perfino dalla mia villa e godo una gran beatitudine, soprattutto durante i Saturnali, quando il restante fabbricato risuona della follia e dei clamori di quei giorni di festa; poiché io non disturbo l’allegria della mia gente, né essi i miei studi.
A questi comodi, a queste delizie fa difetto l’acqua corrente, ma vi sono dei pozzi, direi piuttosto delle sorgenti, poiché l’acqua è a fior di terra. E da ogni verso è meravigliosa la natura di quella spiaggia; ovunque tu scavi il terreno, l’acqua ti viene incontro ben fornita, e anche pura e per nulla inquinata dalla così grande vicinanza del mare. I vicini boschi ti danno legna in abbondanza; in quanto alle altre necessità la città di Ostia vi provvede. A uno poi che non abbia tante pretese basta anche la borgata, che da una sola villa mi è disgiunta. Vi sono ivi tre bagni a pagamento, il che è un gran comodo, quando non ti convenga o per un improvviso arrivo o per una breve sosta, scaldare il bagno di casa.
La spiaggia è ornata con una piacevolissima varietà di fabbricati di ville, or contigue or distanziate, che offrono l’aspetto di una serie di borgate, sia che tu te la goda dal mare o dal litorale stesso; questo è talvolta morbido dopo un lungo periodo di calma, ma più sovente si indurisce per il frequente cozzar delle onde. Il mare, in verità, non abbonda di pesci pregiati, fornisce però delle sogliole e dei gamberi eccellenti. Quanto alla mia villa essa offre anche tutti i prodotti della terra, il latte innanzi tutto; giacché qui si raccolgono le greggi che scendono dai pascoli, alla ricerca d’acqua e d’ombra.
Non ti par dunque che io abbia delle buone ragioni per essermi stabilito, per dimorare, per preferire questo ritiro? E tu sei troppo incallito cittadino se non te ne invaghisci. Voglia il cielo che te ne invaghisca! Così ai tanti e tanto grandi pregi della mia villetta, si aggiunga il massimo pregio della tua compagnia. Addio.
Roma, 7 febbraio 2017
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