La Bocca della Verità, l’antica e grossolana scultura murata nella parete del pronao della chiesa di Santa Maria in Cosmedin – probabilmente il chiusino che, al centro del tempio a cielo aperto dedicato a Ercole Vincitore, convogliava le acque piovane alla cloaca – è assurta con il favore della fantasia popolare a
toponimo di un’area che ha ben altri titoli di gloria da vantare. Su di essa infatti insisteva il Foro Boario, l’antico mercato dei buoi, esteso tra il porto fluviale dell’antica Roma e l’Emporio ai piedi dell’Aventino. Era questo un luogo di vivaci traffici e di sontuosi edifici sacri, destinato a presentare la fronte di Roma verso gli approdi fluviali qui mantenutisi fino a Claudio e a Traiano. Da questi approdi, già dall’VIII secolo a.C., si può considerare nata la città arcaica presto affermatasi come luogo d’incontro tra genti di aree culturali diverse, specie le etrusche, quelle della Grecia e della Magna Grecia.
Poi, durante il regno di Servio Tullio, l’area acquisì una certa monumentalità con la sistemazione della zona commerciale, ma anche la costruzione di alcuni grandi santuari, come quello dedicato alla Fortuna e alla Mater Matuta.
L’area fu soggetta a numerose calamità e intorno al 212 a.C. vennero riedificati tutti i santuari ed eretto il tempio di Portuno. Venne ricostruita anche l’Ara Maxima Herculis, un’ara antichissima legata da un lato alle gesta di Ercole e dall’altra ad una divinità fenicia, Melqart, assimilabile allo stesso Ercole.
La zona d’altra parte è strettamente legata alla mitologia della fondazione di Roma e alle gesta di Ercole.
L’area pianeggiante del Velabro è collocata proprio sotto il Palatino e prima di essere bonificata,
soprattutto grazie alla costruzione della Cloaca Massima, era paludosa e soggetta alle inondazioni del Tevere. Qui affluivano al grande fiume molti torrenti e corsi d’acqua. Così la tradizione sceglie questo luogo come quello più adatto all’incagliarsi della cesta che stava trasportando Romolo e Remo verso il loro destino.
Proprio sulle pendici del Palatino, che guarda verso il Velabro, è stata identificata la grotta che ospitava il Lupercal, il santuario da cui partivano i sacerdoti-lupi che vestiti di pelli di capra facevano il giro della collina per purificarla ritualmente.
Inoltre qui esisteva un guado in legno che si dice fu restaurato da Ercole e che il re Anco Marzio più tardi sostituì con il Ponte Sublicio, anch’esso rigorosamente in legno per poter essere smontato in caso di attacco nemico.
Ancora la mitologia colloca proprio qui il luogo in cui Ercole uccise il gigante Caco, che viveva sulle pendici dell’Aventino e che aveva rubato ad Ercole i buoi di Gerione custoditi a Pallantea, la città che Evandro, re degli Arcadi, aveva fondato sul Palatino.
I greci in questa zona quindi erano di casa già in epoca antichissima, come narra Virgilio nell’Eneide. Le testimonianze archeologiche in parte confermano che la zona era oggetto di una frequentazione assidua da parte di commercianti greci già molto prima di Roma. E proprio sull’area che vide le gesta di Ercole che fu
eretta l’Ara Maxima Herculis dedicata ad Ercole. Nel blocco di tufo dell’ara venne poi scavata la cripta di Santa Maria in Cosmedin.
E non sarà un caso che uno dei vertici della città quadrata fondata da Romolo cadesse proprio presso l’Ara Maxima Herculis, come riporta Tacito.
Nel II secolo a.C. a sottolineare ulteriormente il legame dell’area con Ercole fu costruito il tempio circolare dedicato ad Ercole Vincitore, a lungo indicato come tempio di Vesta.
Più avanti si incontra poi il Foro Olitorio, cioè il mercato delle verdure, i cui tre templi repubblicani, Spes, Iuno e Sospita sono oggi inglobati nella chiesa di San Nicola in Carcere, e ancora più avanti il Teatro di Marcello e il Portico d’Ottavia.
Banchieri e cambiavalute svolgevano le loro attività nell’area pianeggiante del Velabro, nel punto in cui si erge il bellissimo Arco degli Argentari addossato alla chiesa di San Giorgio al Velabro.
A partire dal II secolo a.C. le strutture portuali e le relative infrastrutture furono spostate più a valle, sotto l’Aventino (Emporium), e il loro posto fu occupato da abitazioni private ed insule, mentre le attività commerciali connesse al Foro Boario vero e proprio si mantennero in vita fino al IV secolo d.C., quando venne costruito l’arco di Giano, probabilmente eretto da Costantino.
Caduto l’Impero e iniziata la dominazione bizantina, fu questo il centro della colonia greca – ne conserva memoria l’attuale via della Greca – con una fiorente cultura che si espresse soprattutto nelle arti decorative. E sempre greci erano i monaci scampati alle guerre iconoclaste d’Oriente, che qui si rifugiarono attorno ai secoli VI e VII impiantandovi le diaconie, ambienti che oggi chiameremmo centri d’accoglienza per i poveri e i pellegrini bisognosi di vitto, alloggio e cure mediche. Accanto alle diaconie sorsero poi le chiese dedicate a santi greci in cui si officiava con il rito bizantino, quali Santa Maria in Cosmedin, Santa Anastasia, San Giorgio al Velabro, San Nicola in Carcere e San Teodoro. E a proposito di quest’ultima, proprio nel solco dell’antico rapporto con il mondo greco, nel luglio del 2004 papa Giovanni Paolo II ne concesse l’uso al patriarca ecumenico di Costantinopoli e alla comunità greco-ortodossa di Roma.
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