«L’arabesco si organizza come una musica», dichiara Matisse nel 1952. Ma il suo amore per il fluire armonico delle linee tipiche delle decorazioni islamiche e orientali
risale a molto più indietro nel tempo. Da quando il suo maestro gli faceva studiare le miniature indiane e definiva l’arabesco «un’idea immaginifica, quasi esclusivamente plastica». O da quando lasciava gli antichi maestri, al Louvre, per ammirare incantato le preziose ceramiche persiane che a partire dal 1905 erano in mostra al Pavillon de Marsan.
«La révélation m’est venue d’Orient», scrive ancora il grande artista al critico Gaston Diehl. E forse, malgrado i viaggi compiuti in Marocco e in Algeria o nella Spagna moresca, la rivelazione prende forma soprattutto in occasione della straordinaria mostra allestita a Monaco di Baviera nel 1910 dedicata ai «Capolavori dell’arte musulmana».
La rivelazione di Monaco
Da quei viaggi, infatti, Matisse non sembra tornare entusiasta: «Alle sei del mattino il tempo è bello, troppo bello, ferocemente bello. Un tempo così splendente, così aperto che si direbbe mezzogiorno. E allora, ve l’assicuro, mette paura. Si è terrorizzati da tutta una giornata che comincia con un sole splendente e non cambierà fino al tramonto. È come se la luce s’immobilizzasse per sempre. È come se la vita si pietrificasse in una posa magnifica»,
scriveva a proposito del suo viaggio a Tahiti. Al contrario, la mostra di Monaco, con il suo modernissimo allestimento “neutro” che per la prima volta tratta e inquadra i manufatti orientali come vere e proprie opere d’arte, produce su di lui una enorme impressione.
Qui ha finalmente modo di osservare da vicino un gran numero di oggetti di estrema bellezza, proveniente da musei e collezioni private di tutto il mondo, e di apprezzare appieno alcuni dei tratti specifici della concezione orientale dell’arte.
Primo fra tutti il fatto che, essendo vietato agli artisti musulmani di rappresentare la figura umana, quegli “arabeschi” che nella mentalità occidentale sono soprattutto ornamenti che circondano e incorniciano l’immagine principale, diventano nei disegni islamici i veri protagonisti dell’opera, che si riempie di intrichi di piante e fiori a formare rosoni o semplicemente a invadere lo spazio con viluppi che tendono all’infinito.
Intuizioni e legami
«Bisogna canalizzare lo spirito dello spettatore» scrive per esempio Matisse al genero, Georges Duthuit, negli anni venti «in modo che si appoggi al quadro ma che possa anche pensare a tutt’altro, che non all’oggetto particolare che hai voluto dipingere: trattenerlo senza istupidirlo; portarlo a provare la qualità del sentimento che hai voluto esprimere. Non bisogna che lo spettatore analizzi».
È il concetto bergsoniano dell’intuizione, come spiega Eric de Chassey nel 1997: «Per Matisse quel che conta nell’opera non è di ordine intellettuale, ma non è nemmeno solo di ordine fisico, perché il singolo oggetto deve essere dimenticato: a essere essenziale è solo il legame stabilito, e questo deve essere un legame tra un sentimento e un altro (quello dell’artista e quello dello spettatore), o in altre parole da un’interiorità all’altra».
Vestirsi d’arte
Il secondo elemento che si impone immediatamente all’attenzione nell’arte orientale è il suo legame con gli oggetti d’uso. Raramente le opere d’arte sono fatte unicamente per essere ammirate. Nella maggior parte dei casi si tratta di elementi di arredo o addirittura di utensili per la casa: piastrelle, tendaggi, stoffe; e poi ancora vasellame, acquamanili e naturalmente tappeti. Opere d’arte che entrano a far parte della vita quotidiana, opere nelle quali si può persino abitare, come le meravigliose tende del Cairo decorate con la tecnica degli appliqués (che non a caso ricorda da vicino la tecnica dei papiers découpés che diventa una delle cifre stilistiche del grande artista francese).
Teli favolosi, progettati per realizzare veri e propri palazzi itineranti, che Matisse amava al punto da farsi ritrarre davanti a uno di essi in quella che è probabilmente la sua foto più famosa, scattata da Henri Cartier-Bresson. O tende e paraventi, ricamati e traforati a riprodurre le favolose grate indiane e moresche, tutte volute e fiori stilizzati, come quello che è al centro del Paravento moresco. O ancora, i drappeggi di tessuti orientali, che diventano gli autentici protagonisti del suo Coin de l’Atelier, o le stoffe arabescate indossate dalla sua Zorah.
E come in Oriente ci si veste d’arte, così Matisse veste di Oriente i suoi dipinti, riempiendoli dei colori squillanti e dei fantasiosi ghirigori di quelle sete e di quei tappeti. È il caso del celebre La Desserte (Harmonie en Rouge), in cui il decoro si spande dalla tovaglia alla carta da parati investendo l’intera stanza e trasformandola in un giardino fiorito. O delle sue tante Odalisque che quasi scompaiono, avvolte come sono nei ghirigori degli “arredi di scena” in gran parte costituiti da tende, drappeggi e tessuti buttati qui e là a costituire il vero soggetto del dipinto.
Lezione di arabesco
Gli arabeschi in Matisse non sono dunque una cornice, un abbellimento finalizzato a inquadrare e a far risaltare il tema centrale, ma diventano protagonisti della scena. Sono l’elemento unificatore dello spazio esterno e di quello interno,
che si confondono e sembrano addirittura scambiarsi di posto. Oltre alla Desserte, dove il “giardino” creato dalla tovaglia e dalla carta da parati sembra più reale di quello che si intravede dalla finestra, lo vediamo per esempio in Leçon de piano (1916), dove l’arabesco della ringhiera e quello del leggio collegano e quasi confondono lo spazio “esterno” del balcone con quello intimo e domestico in cui si svolge la lezione.
«Se ho potuto riunire nel mio dipinto quel che è esterno» dice ancora Matisse «per esempio il mare, e quel che è interno, è perché l’atmosfera del paesaggio e quella della mia camera formano un tutt’uno… Non ho bisogno di avvicinare interno ed esterno, i due sono riuniti nella mia sensazione. Ho potuto associare la sedia che ho accanto nello studio alla nuvola in cielo, al fremito della palma sul bordo dell’acqua, senza sforzarmi di distinguere i luoghi, senza dissociare i diversi elementi del mio motivo che sono un tutt’uno nella mia mente».
La mostra
La bellissima mostra «Matisse-Arabesque», allestita alle Scuderie del Quirinale (5 marzo -21 giugno 2015) affianca alle oltre cento opere di uno dei massimi artisti della storia moderna una selezione di antichi manufatti orientali (dall’Iran all’India, dall’Uzbekistan al Giappone) provenienti dai maggiori musei del mondo.
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