La Basilica di San Clemente: il registro archeologico dell’Urbe

San Clemente sorge lungo l’antica via di San Giovanni, via stretta, tortuosa e fiancheggiata da siepi fino alla sistemazione che le diede Sisto V.

San Clemente – Mosaico dell’abside.

La via era chiamata ‘Strada maggiore’ o ‘sacra’ o ‘papalis’ perché costituiva il normale percorso delle processioni pontificie verso la basilica di San Pietro. Fino alla fase della moderna edificazione, prospettavano su di essa solamente chiese e conventi, come la chiesa di San Giacomo de Culiseo con cimitero, distrutta nel 1815, o i conventi di San Clemente e dei Santi Quattro Coronati e gli annessi dell’Ospedale di San Giovanni. Per quanto piuttosto banalizzata da molta edilizia moderna senza linea, la strada – osservata per esempio dal Colle Oppio – rivela ancora i suoi vecchi caposaldi pittoreschi nella severa massa delle costruzioni raggruppate attorno alla Chiesa dei Santi Quattro Coronati.
Pare che il corteo papale evitasse in antico la prima parte della strada, quella che passa nei pressi del Colosseo, dirottando piuttosto per la via dei Santi Quattro Coronati a causa delle voci popolari che a questa zona collegavano lo scandaloso evento di un inopinato parto durante il corteo papale, attribuito alla papessa Giovanna, un leggendario racconto dell’Alto Medioevo.
E proprio da via di San Giovanni si accede alla basilica minore di San Clemente, una delle mete assolutamente imperdibili di Roma: una vera e propria propria stratigrafia delle varie epoche non solo dell’edificio sacro, ma della stessa storia di questa zona dell’Urbe.
La chiesa attuale si affaccia con un piccolo protiro e con l’atrio del XII secolo sulla via di San Giovanni. Essa è il risultato della ricostruzione promossa dal grande papa

San Clemente – I tre livelli di visita.

Pasquale II nel 1108, dopo la decisione di abbandonare e interrare l’edificio precedente che era stato devastato dai Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084, quando dalla vicina Porta Asinaria essi avevano fatto irruzione in soccorso a Gregorio VII, appiccando incendi e applicando una dura legge di guerra alla città.
Nonostante i rimaneggiamenti interni degli inizi del Settecento, e il relativo soffitto, a cassettoni dorati, la chiesa presenta sostanzialmente la sua struttura medievale: pianta basilicale a tre navate divise da due file di sette colonne di spoglio, i cui capitelli appartengono però al restauro barocco, la schola cantorum, con elementi provenienti dalla chiesa più antica, i due amboni e il candelabro, un recinto marmoreo che separa il presbiterio e il pavimento cosmatesco. Nel presbiterio stesso c’è un ciborio a quattro colonne di pavonazzetto del XII secolo che corrisponde alla cripta con il corpo di San Clemente; nella semicalotta dell’abside risplende nelle sue dimensioni grandiose il mosaico del “Trionfo della Croce” della prima metà del secolo XII. Altri mosaici, però del secolo successivo, sono nell’arcone trionfale.
A questo livello della chiesa vanno osservate alcune belle cappelle aggiunte. In primo luogo la Cappella di Santa Caterina, a destra dell’ingresso, voluta dal cardinale Gabriele Condulmer, poi papa Eugenio IV, il quale commissionò il ciclo di affreschi a Masolino da Panicale, eseguiti prima del 1431, forse con un intervento di Masaccio: si tratta di una delle prime testimonianze della pittura rinascimentale in Roma e nel complesso della basilica sono esposte anche le sinopie rinvenute nel restauro del 1956.

Morte e riconoscimento di Sant’Alessio.

Sono da osservare alcuni bei sepolcri, di cui quello del cardinale Venerio attribuito alla scuola di Mino da Fiesole e quello del cardinale Roverella, forse opera di Andrea Bregno e Giovanni Dalmata. La Cappella di San Giovanni, del Quattrocento, ha una bella statua del santo e un altare, entrambe opere moderne di Raoul Vistoli. Nel 1886 fu costruita la cappella dedicata ai Santi Cirillo e Metodio, che ulteriormente sottolinea il legame della basilica di San Clemente con i popoli Slavi.
Una cappella posta al lato destro dell’altare conserva una Madonna del Sassoferrato. Nella Cappella di San Domenico sono conservate opere di Sebastiano Conca, 1715, che raccontano la vita del santo.
Al di sotto di questa chiesa si trova la primitiva basilica di San Clemente, risalente al 385, portata alla luce dagli scavi inizialmente condotti nel 1857 da padre Mulloly, dei religiosi irlandesi che hanno in custodia il complesso. L’edificio del IV secolo, sempre a pianta basilicale, assai più largo del successivo era preceduto da un nartece. Vi si accede dalla sagrestia percorrendo una scala lungo le cui pareti sono raccolti i reperti marmorei antichi ritrovati in loco.
Questa chiesa primitiva, gradualmente messa in luce dagli scavi voluti dai successivi rettori irlandesi della chiesa, si presenta oggi ingombra dei muri di sostegno della chiesa superiore e dei supporti creati durante i lavori di liberazione e in sostituzione del pietrame di costipazione che è stato eliminato. Una fila di colonne originarie è incapsulata in uno dei muri.

Iscrizione nell’affresco del miracolo di San Clemente con Sisinno.

La basilica di San Clemente del IV secolo prende vita dalla trasformazione di edifici pre-esistenti e raccoglie in se documenti storico – artistici di notevole pregio. Tra questi l’affresco che racconta della morte e del riconoscimento di Sant’Alessio,che è datato all’epoca del papato di Leone IV tra l’847 e l’855, e un ciclo di affreschi piuttosto esteso e ben riconoscibile che invece narra vari momenti della vita di San Clemente e che conserva una delle prime documentazioni del passaggio dalla lingua latina al volgare.
Il documento è costituito da una serie di iscrizioni inserite in un affresco che rappresenta un frammento della Passio Sancti Clementis, in cui il patrizio Sisinnio è nell’atto di ordinare ai suoi servi, Gosmario, Albertello e Carboncello, di legare e trascinare san Clemente. I servi, accecati come il loro padrone, trasportano invece una colonna di marmo. Si leggono queste espressioni, la cui attribuzione ai singoli personaggi è incerta: Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!», San Clemente: «Ob duritiam cordis vestrum, saxa trahere meruistis». Traduzione: Sisinnio: «Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo», San Clemente: «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi». La prima parte è tutta in volgare, con chiare influenze romanesche.

Il vicus negli scavi di San Clemente.

Da notare che le espressioni de le e co lo sono già preposizioni articolate, che non esistevano nella lingua latina. La seconda parte è scritta in latino, ma vi sono varie stranezze; duritiam, ad esempio, è un accusativo, ma dovrebbe essere un ablativo: è un chiaro segnale che ormai non si usino più i casi latini, ma ci si affidi a un caso unico. Inoltre, in luogo del latino trahere si nota la caduta dell’h, traere.
La basilica del IV secolo venne realizzata al piano superiore di un horreum, ovvero un magazzino di epoca romana, già a sua volta modificato in precedenza. Dalla basilica del IV secolo perciò è possibile scendere a un livello di scavo ancora più basso dove si trovano due edifici principali separati da un vicus della larghezza di circa 70 cm che gli scavi archeologici hanno reso percorribile.

L’horreum è un edificio dalle spesse murature in tufo la cui costruzione viene fatta risalire all’epoca flavia. Esso era interpretato, soprattutto per la sua prossimità con il Colosseo, come un magazzino connesso con questa struttura e con i giochi che in esso prendevano vita. Ma una nuova ipotesi si è fatta più concreta: questo grandissimo magazzino può infatti per dimensione e per collocazione essere la Zecca Imperiale, qui trasferita nel IV secolo dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo. Questa ipotesi sarebbe confermata dal ritrovamento di epigrafi databili al 115 dopo Cristo che i funzionari e gli operai della Zecca avevano dedicato ad Apollo, Ercole e Fortuna.
Il secondo edificio è un mitreo realizzato tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo in alcuni ambienti di un’insula più antica. Di queste tre stanze quella datata al III secolo, con volte a botte, è interpretata come “Scuola Mitraica”, la seconda stanza

Il mitreo di San Clemente.

è il vestibolo del mitreo e si presenta ornata di stucchi, mentre la prima è il mitreo vero e proprio, coperta da una volta a botte molto bassa, presenta lungo le pareti undici aperture, costituenti i simboli astrologici legati al culto di Mitra. Lungo le pareti sono disposti anche i sedili di pietra.
Al centro di questa stanza è disposta un’ara sulla quale si può chiaramente distinguere la scena di Mitra nell’atto di sacrificare il toro.
Durante gli scavi che hanno portato alla luce questi ambienti è stato necessario creare una canalizzazione che permettesse il drenaggio delle acque di un lago che si era formato sotto la basilica di san Clemente. Questa canalizzazione è stata aperta attraverso un’insula di abitazioni, preesistenti all’incendio neroniano, e in quest’occasione si è trovata anche una piccola zona catacombale del V o del VI secolo dopo Cristo, riferibile al periodo successivo all’invasione di Alarico, quando cominciò a essere disatteso il divieto di seppellimento dentro la linea del pomerio.

Roma, 2 settembre 2018


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