Per la monumentale basilica, l’appellativo “Maggiore” sta ad indicare l’importanza di quella che probabilmente fu, con Santa Maria in Trastevere e Santa Maria Antiqua, tra le prime chiese romane a essere dedicata alla Vergine Maria.
Ma nei secoli furono usati anche altri nomi per indicarla, soprattutto quelli di basilica Liberiana e Santa Maria ad Nives, entrambi legati alla leggenda della miracolosa nevicata del 5 agosto 356.
Come molte chiese di Roma, anche Santa Maria Maggiore affonda le sue radici architettoniche e storiche nelle vestigia della Roma imperiale conservate per secoli sotto la struttura attuale, e tornate alla luce negli scavi condotti tra il 1966 e il 1971, durante i quali si rinvennero resti di un complesso di età augustea, se non addirittura di epoca precedente, poi ricostruito in epoca adrianea e costantiniana.
Per i visitatori stranieri e per i romani che transitano tra Via Merulana e Piazza di Santa Maria Maggiore, la basilica quasi si nasconde dietro al fronte di laterizio e travertino di Ferdinando Fuga, che lascia solo intravedere l’antica facciata, il gioiello medievale conservato al suo interno.
La parte più antica è legata alla committenza di Sisto III, il quale, secondo il Liber Pontificalis, fece fare la vasta decorazione musiva della navata centrale e dell’arco trionfale tra il 432 e il 440. A confermare la datazione e la committenza – anche se non tutti gli studiosi sono concordi – sta l’iscrizione al culmine dell’arco: Xystus Episcopus Plebi Dei, nella quale il Vescovo di Roma dedica la chiesa al popolo di Dio.
La decorazione, che ha una specifica lettura dettata da ragioni teologiche e simboliche, parte dalla narrazione di episodi dell’antico testamento che confluiscono nel arco trionfale dove sono rappresentati i fatti della nascita e infanzia di Cristo, compimento storico del peregrinare del popolo eletto. L’abside non appartiene a questa prima decorazione ma a una più tarda, realizzata da Jacopo Torriti (1295), compiuta dopo la distruzione e l’arretramento dell’abside originale voluto da Niccolò IV (1288-1292). La Vergine qui è incoronata tra angeli, santi e committenti in una profusione di girali d’acanto. Questo ciclo decorativo è l’unico, tra quelli delle basiliche patriarcali, ad aver conservato un aspetto simile a quello originale,
e lo si può considerare eccezionale per più di una ragione: per la vastità e il carattere intellettuale del suo programma ideologico; per il largo uso della tecnica musiva – tra le più preziose e durature – che solo qui si estende anche alla navata (contrariamente alle altre basiliche romane, dove per consuetudine si impiegava l’affresco); infine, perché è il primo ciclo monumentale romano di committenza ecclesiastica in un momento in cui la Chiesa di Roma, anche attraverso questa superba committenza, si affermava come nuovo potere ormai autonomo rispetto all’Impero, ormai prossimo alla fine.
La visita si propone come una lettura a più livelli di questo straordinario documento storico e artistico che parla una lingua lontana ma ben comprensibile attraverso gli strumenti dei significati simbolici iconografici e liturgici.
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