Con piacere riceviamo e pubblichiamo questo articolo di Paolo Ricciardi che analizza una delle scene più note della cinematografia italiana degli anni Settanta del Novecento. Quella in cui Fantozzi lancia il suo urlo liberatorio: “La Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!”
Provate a chiedere a qualcuno quali sono le scene memorabili del Cinema Italiano.
L’uccisione di Anna Magnani in Roma Città Aperta di Roberto Rossellini, Anita Ekberg che si bagna nella Fontana di Trevi nella Dolce Vita di Fellini, lo spogliarello di Sofia Loren in Ieri, Oggi e Domani di Vittorio De Sica…ma quasi tutti citeranno la scena in cui il Ragionier Ugo Fantozzi, dopo essere stato sottoposto, insieme ai suoi colleghi, all’ennesima visione del film La Corazzata Kotiomkin, libera il proprio urlo di ribellione: “La Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!” al quale fanno seguito…NOVANTADUE MINUTI DI APPLAUSI!!!
A ben vedere però, come sicuramente era negli intenti del geniale Luciano Salce, regista del Secondo Tragico Fantozzi, l’urlo del nostro ragioniere rappresenta il migliore omaggio che si poteva fare al geniale regista russo Sergei Ejzenstein.
Solo i pochi che hanno visto La Corazzata Potemkin e che hanno compreso gli intenti originari del regista, possono comprendere che il gesto di Fantozzi rappresenta il pieno successo di quello che Ejzenstein desiderava.
Ejzenštejn fu il regista che portò le idee sul montaggio al massimo sviluppo. Dopo aver lavorato in teatro, formulò la teoria delle attrazioni nel 1923, che l’anno successivo adattò al cinema, secondo il cosiddetto montaggio delle attrazioni. Con questo procedimento Ejzenštejn intendeva scuotere lo spettatore con una sorta di violenza visiva, che lo sollevasse dal torpore dell’assorbimento passivo della storia, suscitando emozioni e nuove associazioni di idee. Lo stesso anno girò “Sciopero”, dove montò pezzi brevissimi, spesso scelti tra inquadrature strane o incongruenti, ma sempre dure e violente, in maniera da rendere il clima di caos dell’evento rivoluzionario raffigurato.
Un’altra significativa teoria fu quella del cine-pugno, che mirava a scioccare lo spettatore, a colpirlo con le immagini, come primi piani improvvisi e molto ravvicinati, espressioni violente, azioni serratissime.
Queste teorie trovarono pieno compimento proprio ne La corazzata Potemkin, soprattutto nella famosa scena della scalinata di Odessa, con l’arrivo improvviso dei soldati che sparano sulla folla, di straordinaria e terribile violenza.
Se, come detto, l’intento di Ejzenstein era proprio quello di scuotere lo spettatore, di svegliarlo dal torpore nel quale si trovava, di indurlo alla ribellione, e a combattere il potere, possiamo affermare che tutto ciò si verifica in Fantozzi, vessato e umiliato dal terribile Guido Maria Riccardelli.
A forza di sentir dire, anche da Villaggio in persona, che la famosa scena prendeva in giro la cultura dei cineforum di sinistra, ci si è dimenticati che quello rappresentato nel film non è un cineforum di sinistra: è il cineforum della Megaditta, rivolto non a compagni ma a colletti bianchi “apolitici”.
Guidobaldo Maria Riccardelli non è un compagno né un intellettuale di sinistra: è anzi un dirigente della Megaditta, talmente organico a quest’ultima da presiedere la Commissione Assunzioni.
L’unico militante marxista che appare nel mondo di Fantozzi è la «pecora rossa» Folagra. Se nell’episodio del cineforum Villaggio, Salce e gli sceneggiatori avessero voluto prendere di mira gli «intellettuali di sinistra», e caratterizzare il cineforum stesso come «di sinistra», sarebbe stato naturale riproporre la figura di Folagra, già apparso nel primo film, e dargli un ruolo in quel contesto. Il secondo film è pieno zeppo di personaggi ripescati dal primo, tanto che oggi consideriamo entrambi, insieme ai successivi, sempre più brutti e banali, parte di un continuum, un unico flusso di storie dove appaiono Filini, Calboni, la signorina Silvani…
Invece no: al presunto “cineforum di sinistra”, manca proprio l’unico personaggio caratterizzato come di sinistra.
La corazzata Potemkin narra una rivolta, ma nel film di Salce, dove il titolo è storpiato in «Kotiomkin», quella rivolta è addomesticata,
disinnescata, la cornice del cineforum aziendale e la modalità di fruizione la sviliscono, e la visione stessa è sminuzzata, non c’è più l’insieme, solo dettagli svuotati di ogni senso: «L’occhio della madre… La carrozzella…»
Tutta la teoria critica radicale del dopoguerra, dalla Scuola di Francoforte ai situazionisti a Pasolini, aveva come premessa il fatto che il capitalismo mercificasse la rivolta e la rivoluzione stessa, e la borghesia recuperasse per proprio tornaconto le istanze rivoluzionarie.
Emblematico di questo processo, e pienamente calato nel periodo degli anni ’70 del Novecento, il destino del comunista Ejzenstein nel cineforum della Megaditta.
Nella Megaditta la parola «comunista» normalmente fa tremare i vetri, eppure un film sulla rivoluzione girato dal più noto cineasta rivoluzionario è proiettato più e più volte, senza che i vetri tremino, perché l’opera è stata recuperata e depoliticizzata. Villaggio mostra la parabola di un film rivoluzionario divenuto innocuo e addirittura tedioso per mano della cultura borghese, in un’azienda-che-si-fa-mondo, un’azienda il cui megapresidente si dichiara «non proprio comunista… Diciamo “medio-progressista”».
Lo “scatto”, il colpo di genio consiste proprio in questo: pur essendo stato cooptato, asservito, svilito, il film esplode in tutta la sua potenza rivoluzionaria, ispirando la medesima rivolta di cui tratta.
A insorgere sono infatti gli impiegati, e poiché regista e autori sanno il fatto loro, la rivolta contro il film ripete quella nel film.
Tutta la scena del cineforum può essere letta come un’allegoria, un remake del film di Ejzenstein:
– Il cineforum è la Corazzata;
– Fantozzi è il Marinaio che per primo denuncia cosa sta accadendo;
– I colleghi di Fantozzi sono gli altri marinai;
– Guidobaldo Maria Riccardelli rappresenta gli ufficiali della nave;
– La sala del Cineforum è la città di Odessa;
– La polizia che “si incazza davvero” sono i cosacchi che reprimono la rivolta;
– La famigerata partita Inghilterra – Italia, con la nostra nazionale che vince per 20 a zero (aveva segnato anche Zoff su calcio d’angolo), alla quale i dipendenti non possono assistere, e quindi partecipare, è la Rivoluzione Russa.
Siamo di fronte a una parodia colta e, al fondo, per nulla anti-intellettuale.
Chi non ha mai visto il film di Ėjzenštejn non può rendersene conto.
Se non tutti, svariati spettatori del film di Fantozzi, uscito nel 1976, lo avevano visto.
L’episodio, per il pubblico di allora, aveva una notevole carica critica, che però col tempo si è esaurita. Non poteva che esaurirsi: il contesto che rendeva l’episodio comprensibile in tutti i suoi aspetti e livelli – l’Italia degli anni Settanta, dei movimenti radicali, delle grandi lotte operaie -, quel contesto non c’è più.
Cosa rimane di quella critica, oggi, nell’interpretazione corrente del film e della famosa scena? Pressoché nulla.
L’episodio, tolto dal suo contesto, rivisto e ri-rivisto da solo, quando non ridotto alla sola scena madre, citata e stracitata come semplice gag, col tempo ha cambiato significato: oggi è evocato per rigettare la cultura stessa e tutto ciò che è «difficile», in nome del parla-come-magni (detto quasi sempre da gente che mangia malissimo) e del solito «E fattela ‘na risata!»
L’eterna ripetizione della gag ha diffuso l’idea che La corazzata Potëmkin duri molte ore (in realtà dura solo 75 minuti) e altri miti che il film manda in frantumi, se solo si supera il pregiudizio. Ma il pregiudizio c’è ed è inutile negarlo.
Oggi l’obbligo contro cui ribellarsi non è quello di guardare La corazzata Kotiomkin.
Semmai, al contrario, è quello di non prendere mai nulla sul serio. Il «farsi una risata» come risposta a tutto, l’essere sempre ironici per non mostrarsi mai troppo coinvolti in nulla, perché coinvolti equivale a vulnerabili, e dunque ironia sempre, cinismo e disincanto, non devi dare mai l’impressione di credere fino in fondo a quel che dici.
Soprattutto, far vedere che non si sopportano gli «intellettuali».
Risulta molto più facile se adotti l’espediente di chiamare «intellettuali» tutti quelli che ti fanno sentire vulnerabile. Chiama «pippone» qualunque cosa scrivano o dicano.
In un simile clima culturale, un film come quello di Ėjzenštejn, che mostra la fratellanza nella rivolta e a volte fa sarcasmo sul potere ma mai ironia sulla rivolta stessa, deve per forza essere considerato una «cagata pazzesca», banalizzando e decontestualizzando l’episodio fantozziano.
Un’ultima curiosità: non essendo possibile utilizzare scene originali de La corazzata Potëmkin, in fase di sceneggiatura si decise di farne una parodia. Il nome del regista venne opportunamente modificato: Sergej M. Ėjzenštejn divenne “Serghei M. Einstein”, così come lo stesso titolo, trasformato ne “La Corazzata Kotiomkin”.
Le scene della scalinata Potëmkin di Odessa visibili nel film, quando gli impiegati, dopo aver bruciato l’unica copia del “Kotiomkin”, sono costretti a far rivivere il film sotto la direzione di Riccardelli, “ogni sabato pomeriggio, fino all’età della pensione”, con Fantozzi nei panni del bebè in carrozzina che cade rovinosamente sulle scale,furono girate dal regista Luciano Salce sulla Scalea Bruno Zevi, di fronte alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, nel medesimo luogo che, pochi anni prima, era stato teatro degli scontri che avevano inaugurato il lunghissimo sessantotto italiano.
La mirabolante sovrapposizione tra la scalinata di Odessa e quella di Valle Giulia, lo sconfinamento fantozziano della Rivoluzione d’ottobre in quella degli studenti italiani che avrebbero volentieri imposto Ejzenštejn al resto del paese, resta tra i gesti artistici più raffinati, perfidi e iperbolici della nostra cultura popolare.
E anche di questo dobbiamo ringraziare Paolo Villaggio e Luciano Salce.
Roma, 2 marzo 2019
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