Atmosfera rarefatta, verde diffuso, silenzio. Via di Porta Latina è tutto questo: un’area di Roma incantata, salvaguardata dalle costruzioni che invece sono cresciute
al di là delle mura Aureliane, che in questo tratto – tra le porte Metronia, Latina e San Sebastiano – si sono conservate splendidamente.
L’antica porta che dà il nome alla strada fu ristrutturata dall’imperatore Onorio, 384-423, ampliando quella originaria di Aureliano. Nell’elemento centrale dell’arco esterno si nota il monogramma di Cristo. In quello dell’arco esterno, la croce greca inscritta in un cerchio. Siamo in un’area di grande fascino, a due passi dal Sepolcro degli Scipioni, dalla Casa del Cardinal Bessarione e dal colombario di Pomponio Hylas.
Appena oltrepassata Porta Latina, si erge, un elegante tempietto ottagonale isolato: è l’Oratorio di San Giovanni in Oleo, eretto dal prelato francese Beniamino Adam, auditore della Sacra Rota per la Francia al tempo di Giulio II, 1509, restaurato sotto Alessandro VII per cura del cardinale Francesco Paulucci, 1658, e sotto Clemente XI,1716. Sorge sul luogo ove, secondo tradizione, l’evangelista Giovanni uscisse illeso dal supplizio dell’olio bollente, il che gli valse salva la vita con l’esilio a Patmos. Una notizia trasmessa da Tertulliano, dice:
«Quando gli apostoli dopo la Pentecoste si separarono, lui [Giovanni Evangelista] andò in Asia, dove fondò molte chiese. Quando l’imperatore Domiziano venne a conoscenza della sua fama, lo fece venire a Roma e lo fece buttare in un recipiente di olio bollente, immediatamente davanti alla porta Latina: ma Giovanni ne uscì illeso, come era rimasto estraneo alla corruzione della carne. L’imperatore, visto che anche così non desisteva dalla predicazione, lo mandò in esilio nell’isola di Patmos dove nella completa solitudine scrisse l’Apocalisse».
L’attuale costruzione, rifatta sull’antica, è ritenuta di Bramante, ma l’elegante coronamento, con decorazione classicheggiante, e la sistemazione dell’interno è di Borromini. Sopra la porta che guarda verso Porta Latina è inserito emblema araldico di Alessandro VII Chigi; la porta del lato opposto reca lo stemma del prelato francese, col motto: AU PLAISIR DE DIEU, 1509.
Di fronte, al di là del muro del Collegio Missionario dei padri Rosminiani, ecco un grosso nucleo di sepolcro antico. Dietro il collegio sorge, preceduta da un pittoresco e raccolto sagrato ombreggiato da un grande cedro e con un pozzo medievale tra due colonne, l’antica chiesa di San Giovanni a Porta Latina fondata da Gelasio I nel V secolo: la tradizione trova conferma nelle tegole del vecchio tetto, che portano stampigli dell’epoca di Teodorico, 495-526.
Riedificata da Adriano I nel 772, fu restaurata nel 1191, anno in cui, sotto Celestino III, furono traslate qui le reliquie dei Ss. Gordiano ed Epimaco. Dei tempi di Adriano I è il parapetto esterno del pozzo che si trova nel sagrato, ornato di una rozza decorazione formata da due serie di infiorescenze che corrono orizzontalmente per tutto il corpo del pozzo. Sull’orlo, tutto intorno, appare un’iscrizione latina, certamente di epoca posteriore all’VIII secolo, che recita: «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». E le parole del profeta Isaia: «O voi tutti che avete sete venite alle acque». E contrassegnata dal nome dell’incisore: «Io Stefano».
Originariamente la chiesa era tenuta da una congregazione spirituale dedita alla povertà ma nel tempo passò sotto diverse amministrazioni. Nei primi anni del Novecento, quando veniva amministrata dalle suore di clausura, le Suore Turchine della Ss. Annunziata, furono rinvenuti affreschi medioevali che diedero l’impulso ad un’opera generale di ripulitura.
Un restauro fortemente voluto negli anni Quaranta dai Missionari Rosminiani, che hanno tuttora in carico sia la chiesa che il tempietto, ha ridato alla chiesa il suggestivo aspetto medioevale. Sul fronte, un portico a cinque arcate su antiche colonne marmoree e di granito con capitelli ionici, è addossato alla facciata, su cui, in alto si aprono tre finestre ad arco; incluso nel portico, a sinistra, si alza lo slanciato campanile romanico a sei piani con trifore. Sotto il portico e nell’interno del campanile, sono esposti lapidi e frammenti romani, lastre paleocristiane di recinto presbiteriale e resti di affreschi medioevali.
L’interno conserva la semplice ed antica armonia di forme originaria, diviso in tre navate da due file di cinque colonne ciascuna di marmo diverso, sulle quali poggiano archi semicircolari. Intorno all’altare sono conservati avanzi di un pavimento cosmatesco a disegno geometrico mentre nella predella dell’altare stesso spicca in lettere capitali romane l’antico “titolo” della Chiesa, ritrovato durante gli ultimi restauri: “TIT. S.IOANNIS ANTE PORTAM LA(TINAM)”.
Il ciclo di affreschi del XII secolo che decorano la navata centrale, rinvenuti durante il restauro del 1940, rappresentano 46 differenti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento e rivestono una straordinaria importanza per lo studio dell’arte medioevale a Roma. Insieme con il salone gotico nel Monastero dei Santi Quattro Coronati, il ciclo di San Giovanni a Porta latina rappresenta uno degli esempi maggiori di pittura medievale a Roma, realizzati precedentemente all’importante periodo del Cavallini e della sua Scuola Romana.
Al centro dell’arco trionfale è raffigurato il Libro dei Sette Sigilli, indice dei segreti nascosti di Dio, che doveva essere sorretto da una cattedra sormontata da croce gemmata; ai lati, due angeli in atteggiamento riverente e, dietro di essi, i simboli dei quattro Evangelisti. Sui peducci dell’arco sono dipinte due figure santi, identificate con Giovanni Evangelista, a destra, e Giovanni Battista. Il personaggio sulla destra sorregge un volume con l’iscrizione in principio erat Verbum, l’incipit del Vangelo di Giovanni. In alto corre una greca multicolore e prospettica interrotta da riquadri, nei quali si affacciano busti di angeli dalle mani velate. Una ghirlanda avvolta da un nastro chiude verticalmente i lati corti dell’arco. Le pareti laterali del presbiterio
ospitano i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse, genuflessi in direzione dell’abside e disposti su due file di sei. Tutti reggono corone gemmate sulle mani velate. In basso quattro edicole, estremamente lacunose, inquadravano gli Evangelisti. Di esse rimangono solamente i tituli e i simboli inseriti in timpani. Le iscrizioni consentono l’identificazione di Marco e Matteo a sinistra e di Luca e Giovanni a destra. I lati corti sono bordati dallo stesso motivo decorativo dell’arco absidale, mentre il fregio che in alto delimita la decorazione, è costituito da mensoloni abitati da elementi zoomorfi, fitomorfi e da esseri mostruosi. L’iconografia delle pitture dell’arco e del presbiterio è basata sull’Apocalisse (4-5), i cui prototipi figurativi sono da riconoscere nella pittura romana di V-VI secolo.
A Porta Latina, la traduzione figurata del tema è però caratterizzata da una contaminazione tra fonti diverse, rintracciabili non solo in esempi di pittura monumentale paleocristiana, ma anche nella produzione miniata di VI-X secolo. Inoltre, l’ipotesi di Richard Krautheimer, che vuole la chiesa fondata nel V-VI secolo, e la notizia di un suo rifacimento nell’VIII, inducono a ritenere che i soggetti apocalittici dell’Adorazione dei Viventi e dei Vegliardi, dei due Giovanni e degli Evangelisti, fossero già stati illustrati sulle pareti del presbiterio prima del XII secolo. Del tutto innovativa è la presenza degli evangelisti nelle pareti del presbiterio, in prossimità dell’altare. Lungo le pareti della navata centrale le scene vetero e neotestamentarie si succedono con un andamento anulare che consente una lettura continua dei cicli scena dopo scena, senza ‘percorsi ciechi’ che obblighino a ritornare, passando da un registro all’altro, al punto di partenza. La sequenza delle scene della Genesi ha inizio sulla parete destra con la Creazione del Mondo, e
prosegue – dall’abside verso la controfacciata – con le Storie dei Progenitori, di Caino e Abele, di Noè, di Abramo e di Giacobbe, per terminare con il Sogno di Giuseppe. Il ciclo continua sulla controfacciata e, successivamente, sulla parete sinistra fino all’abside.
Il programma neotestamentario segue lo stesso percorso, ma si sviluppa lungo i due registri inferiori delle pareti della navata centrale senza interessare la controfacciata. Comprendeva originariamente 30 scene a partire dall’Annunciazione per concludersi con l’Apparizione sul lago di Tiberiade. Dal momento che il ciclo delle storie veterotestamentarie scorre parallelo a quello delle storie neotestamentarie che occupa i due registri più bassi, vengono a crearsi degli accoppiamenti che non sembrano affatto casuali. Emblematico è quello tra la scena della Cacciata dal Paradiso e la Crocefissione correlate dal titulus che corre al di sotto dell’episodio veterotestamentario e al di sopra di quello neotestamentario: «Inmortalem decus per lignum perdidit hoc lignum». Dove la perdita dello splendore del Paradiso, la parola “decus”, splendore, sottintende “coeli”, a causa del legno dell’albero della Conoscenza verrebbe riscattata dal legno salvifico della croce.
Il primo registro della controfacciata ospita le seguenti scene veterotestamentarie: Il Lavoro dei Progenitori, Il sacrificio di Caino e Abele, l’Uccisione di Abele, La condanna di Caino. Nel registro inferiore, separata dalle sovrastanti scene bibliche da una larga cornice a fasce ondulate, è una versione abbreviata del Giudizio con Cristo Giudice tra gli angeli. Ai lati del Salvatore, assiso entro un clipeo, stanno gli arcangeli con globo e cartigli, sui quali gli storici dell’arte leggono versi rivolti ai beati e ai dannati, rispettivamente “Venite benedicti fratres” e “Ite maledicti”. Due angeli per parte chiudono il registro. In basso, sotto i piedi del Cristo, è posto un altare con gli Strumenti della Passione. Nel catino absidale si trova un affresco realizzato nel 1715 da Antonio Rapreti sulla base di cartoni preparatori lasciati dal cavalier d’Arpino. L’affresco – che raffigura San Giovanni trascinato in giudizio dinanzi all’imperatore Domiziano – è stato riportato alla luce soltanto nel 2007 giacchè era stato ricoperto per proteggerlo dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e se ne era persa la memoria.
Il portico medioevale e le navate della basilica sono sostenuti da colonne di spoglio appartenenti, probabilmente, ad un tempio di Diana, parzialmente spogliate a favore del Laterano alla fine del 1700.
Al bel sito è legato un episodio dell’ Inquisizione: varie notizie riportano la storia di un gruppo di portoghesi che verso il 1578 aveva fondato una sorta di confraternita, e usava questa chiesa – all’epoca in stato di quasi abbandono, con il titolo lungamente vacante, per essere stata praticamente espropriata del proprio patrimonio dall’arcibasilica di San Giovanni in Laterano – per celebrare i propri riti. Secondo una versione si trattava di marrani rifugiati in Italia. Quel che è certo è che per questa storia furono eseguite, a Porta Latina, non meno di sette condanne a morte per rogo. Così riportano Ludwig von Pastor, nella Storia dei Papi e Michel de Montaigne nel suo Journal de Voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne (en 1580 et 1581).
Roma, 28 ottobre 2018
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