Sebastiano Scavo ha studiato a lungo letteratura e cultura russa, vivendo per lunghi periodi a Mosca e in altre città di quel bellissimo paese che è la Russia. E’ con piacere che pubblichiamo un suo pezzo su Čechov, il suo teatro e il Teatro d’arte di Mosca.
Potete leggere altro di Sebastiano sul suo blog, qui.
Imboccando il vicolo Kamergeskij, una delle ultime traverse della Tverskaja prima di
arrivare al Cremlino, si nota a destra il monumento ad Anton Čechov, eretto qui nel 1998, anno del centenario della fondazione del Teatro d’Arte di Mosca, la cui sede storica sorge proprio di fronte alla statua del celebre scrittore. Mi sono spesso domandato perché lo scultore Anikuškin abbia raffigurato così Čechov, elegante ma fragile, dalle gambe insicure, che guarda nella direzione del Teatro cui è legato il suo nome, pur senza osservarlo direttamente. Penso che Anikuškin abbia voluto porre l’accento sulla precarietà della salute dello scrittore, e sul suo contraddittorio rapporto con questo Teatro, per il quale scrisse alcune tra le sue pièce più famose.
Addirittura Il gabbiano, portata al successo dalla compagnia del Teatro d’Arte due anni dopo il suo disastroso debutto, diede origine al simbolo di questa istituzione. Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko, primi direttori del Teatro d’Arte, resero celebri i lavori di Čechov: le messe in scena da essi realizzate, oltre ad essere state le prime in assoluto, hanno fatto scuola in tutto il mondo, legando spesso alla loro peculiare lettura l’interpretazione dell’opera čechoviana.
Sono numerosi nella corrispondenza dello scrittore di Taganrog i riferimenti ai contrasti con i due artisti, persino vere e proprie invettive che li accusavano di stravolgere lo spirito delle pièce o di misinterpretare il ruolo dei personaggi. Contrasti causati, probabilmente, dalla sottile linea che nei lavori di Čechov esiste tra il tragico e il comico, tra il prosaico racconto della vita di provincia e l’aspirazione dei personaggi ai sentimenti più elevati. Il più conosciuto di questi contrasti, chiaro rivelatore della diversità di vedute tra l’autore e i due registi, è legato a Il giardino dei ciliegi, del quale la compagnia di Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko diede una lettura nostalgica, quasi da fin de siècle, circondando di commovente patetismo le figure dei due possidenti e caratterizzando invece in maniera comica il personaggio di Lopachin, l’uomo nuovo, portatore di valori e ideali moderni, interpretato da Stanislavskij stesso.
In realtà la caratterizzazione pensata da Čechov per i suoi personaggi era del tutto antitetica, poiché egli vedeva nei nuovi valori, emergenti all’alba del 1900, una via d’uscita per la profonda crisi della società russa, valori di cui egli stesso, nipote di un servo emancipato e figlio di un mercante, medico fra i forzati di Sachalin, era portavoce e rappresentante. Čechov rifiutava per Il giardino dei ciliegi l’etichetta di “dramma”:
Perché nei manifesti e negli annunci dei giornali ci si ostina a chiamare «dramma» la mia pièce? Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko vedono nella mia commedia qualcosa di completamente diverso da ciò che ho scritto, e sono pronto a scommettere che né l’uno né l’altro l’hanno letta almeno una volta attentamente. (1)
Ma se si dà uno sguardo alle correnti artistico – culturali dominanti a quell’epoca non è difficile capire perché il Teatro d’Arte aveva dato al copione una certa lettura, e perché divenne subito tanto popolare. Personaggi come Stanislavskij, Nemirovič-Dančenko o il loro patron Savva Morosov, principale finanziatore del Teatro, critici come Vasilij Stasov, molti pittori del circolo dei Peredvižniki (gli “Ambulanti”, pittori come Vasnecov, Valentin Serov, Repin e Kramskoj), i musicisti kučkisti (2)(Musorgskij, Rimskij-Korsakov e gli altri del “Gruppo dei Cinque”), furono imbevuti di quelle idee che videro nell’ “andata al popolo”, nell’esaltazione dei valori popolari nazionali, la via preferenziale per ritrovare la smarrita anima russa. Da queste idee, condivise e materialmente sostenute anche da famosi esponenti della nuova classe mercantile di Zamoskvoreč’e (3), ricchissimi mecenati come Mamontov e Tret’jakov, o il già citato Morosov, nacque un fenomeno come quello dei celebri Ballets Russes di Djagilev, o il peculiare “style moderne” che coniugò l’europea Art Noveau con i motivi popolari russi. Scrive Orlando Figes nel suo bellissimo La danza di Nataša, a proposito dello “stile moderno”:
Lo si può ammirare nella prodigiosa rinascita dell’architettura della città alla svolta del secolo, e forse soprattutto nella splendida dimora progettata da Fëdor Šechtel’ per Stepan Rjabušinskij, nella quale ci troviamo di fronte all’originale combinazione di uno stile semplice, perfino austero, con i lussi moderni che non potevano mancare nella casa di un ricco industriale. Discretamente celata rispetto all’ostentato «style moderne» dei locali di soggiorno, c’era una cappella della vecchia fede realizzata nell’antico stile moscovita. Essa esprimeva alla perfezione l’identità schizofrenica di questa casta di mercanti, che da una parte guardava al passato, addirittura al Seicento, e dall’altra, si stava rapidamente lanciando nel XX secolo. Era il paradosso di Mosca[…] (4)
Lo stesso Fëdor Šechtel’, con l’aiuto di Ivan Fomin e Aleksandr Galeckij, si occupò, a titolo assolutamente gratuito, dell’ adattamento del teatro Lianozov al numero 3 del vicolo Kamergeskij, che dal 1902 divenne la sede del Teatro d’Arte. Nel 1903 uno degli ingressi, quello di destra, fu abbellito da ceramiche di Abramcevo (5) e da un altorilievo della giovane scultrice Anna Golubkina (il cd. “Nuotatore” o l’ ”Onda”), raffigurante la lotta di un uomo con un’onda, sovrastati da un gabbiano.
Nelle intenzioni dell’autrice e di Stanislavskij, che approvò i disegni, l’altorilievo rappresenta la nuova direzione nella ricerca artistica intrapresa dal Teatro.
Note
(1) Citato in Ripellino, Il teatro di Čechov, saggio introduttivo al volume Čechov, Capolavori, Einaudi, pag. XVII.
(2) da Mogučaja kučka, il “possente mucchietto”, adattato in italiano in il “Gruppo dei Cinque”. L’espressione fu tratta da un articolo del critico Vladimir Stasov del 1867.
(3) Quartiere a sud del fiume Moskva, abitato dalle nuove classi sociali in ascesa.
(4) Orlando Figes, La danza di Nataša, Einaudi, pag 175.
(5) Villaggio a 70 km. da Mosca, appartenuto agli Aksakov, dove il mecenate Savva Mamontov creò una sorta di “comune dell’arte” in cui si raccolsero numerosi artisti slavofili.
Roma, 2 settembre 2017
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