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  1. Non solo Caravaggio. Alla scoperta dei capolavori di Santa Maria del Popolo

    Strano destino quello della meravigliosa basilica di Santa Maria del Popolo: ospitare una sublime e ineguagliabile rassegna di storia dell’arte italiana ed essere visitata da migliaia di turisti solo per i due capolavori di Michelangelo Merisi da Caravaggio, la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo, senza dimenticare l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci nella stessa cappella.

    Cappella Cerasi – Santa Maria del Popolo

    Ma, in vero, all’interno di questa chiesa posta all’ingresso Nord dell’Urbe, si possono ammirare opere di Raffaello, Gian Lorenzo Bernini, Sebastiano del Piombo, Andrea Bregno, Baccio Pontelli, Pinturicchio, Bramante, Francesco Salviati, Alessandro Algardi, Andrea Sansovino, Domenico Fontana, Carlo Maratta, Giuseppe Valadier.
    Questo edificio, che ha sempre avuto un ruolo centrale nelle vicende storiche della Città Eterna, fu costruita sulla tomba dell’imperatore Nerone, ospitò Martin Lutero nel suo soggiorno a Roma e conserva l’organo dove suonò il giovane Mozart. Insomma, un luogo e una storia straordinari.
    Il nucleo più antico della basilica, letteralmente inglobato nelle successive trasformazioni, è costituito dall’oratorio dedicato a Maria, costruito per volere del papa Pasquale II nel 1099.
    La tradizione vuole che Pasquale II fece costruire l’oratorio rispondendo alle richieste del popolo che voleva segno che esorcizzasse i luoghi infestati da streghe e diavoli che si davano appuntamento sulla tomba di Nerone e rendevano la vita ed il passaggio difficile ed insicuro.
    La legenda narra che Pasquale II abbia sognato Maria e che sia stata proprio la Madonna a dirgli di sradicare il pioppo, populus, sotto cui era seppellito Nerone, riesumarne i resti, bruciarli, disperderli nel Tevere ed edificare in quel luogo un oratorio a Lei dedicato.

    Alberici – Incisione del 1600 che riporta la leggenda medievale sulla fondazione del sogno di Pasquale II

    Pasquale II d’altra parte non era estraneo ai disseppellimenti. Aveva fatto altrettanto a Civita Castellana, dove aveva fatto disseppellire i resti di Clemente III e li aveva dispersi nel Tevere perché la tomba dell’antipapa era diventato oggetto di culto della popolazione locale, poiché si era diffusa la voce che da essa trasudasse un misterioso liquido profumato, attraverso il quale si potevano ottenere grazie e miracoli.
    Ma questa è un’altra storia.
    La legenda medievale legata alla fondazione della basilica di Santa Maria del Popolo ha un fondo di verità. Nell’immediatezze dell’oratorio, sulle prime propaggini del Pincio, sorgeva infatti il mausoleo dei Domizi Enorbarbi, la gens di Nerone, ed effettivamente l’odiato imperatore qui fu seppellito così come Svetonio ci riporta:
    Per i suoi funerali, che costarono duecentomila sesterzi, lo si avvolse nelle coperte bianche, intessute d’oro, di cui si era servito alle calende di gennaio. I suoi resti furono tumulati dalle sue nutrici Egloge e Alessandria, aiutate dalla sua concubina Acte, nella tomba di famiglia dei Domizi, che si scorge dal Campo di Marte sulla collina dei Giardini. Nella sua tomba fu collocato un sarcolago di porfido sormontato da un altare di marmo di Luni e circondato da una balaustra di pietra di Taso.

    Madonna in Trono con Bambino e Santi – Pinturicchio – Cappella Basso Della Rovere – Santa Maria del Popolo

    I motivi per costruire qui l’oratorio e dedicarlo a Maria pare, più realisticamente, che fossero altri. Proprio quando Pasquale II fu eletto papa, il 13 agosto del 1099, giunse a Roma la notizia della vittoria della Prima Crociata e che Gerusalemme era stata conquistata.
    Circa il nome della basilica non è ancora del tutto chiaro se quel complemento di specificazione “del Popolo” sia da intendersi un derivato dalla parola latina “populus”, il pioppo che pare fosse sulla tomba di Nerone, o sia da ricollegare al fatto che Pasquale II ebbe l’idea, dispose la costruzione dell’oratorio, ma il finanziatore dell’opera fu nella realtà il comune di Roma, e quindi, in ultima analisi, il popolo romano.
    L’iniziale cappella fu ampliata tra il 1227 e il 1241 da Gregorio IX, e poi definitivamente ingrandita e modellata nella sua forma attuale da Baccio Pontelli e Andrea Bregno per Sisto IV della Rovere. Bramante prolungò l’abside e infine Bernini, al momento di ornare la porta attigua, all’epoca di Alessandro VII Chigi, diede un’impronta barocca alla chiesa quanto alla facciata. A queste aggiunse le cornici ricurve laterali.

    Assunzione della Vergine – Pinturicchio – Cappella Basso Della Rovere – Santa Maria del Popolo

    Comunque la facciata resta un efficace esempio d’architettura del primo Rinascimento, con un ordine superiore a unica campata, dominata da un rosone e coronata da un timpano, mentre l’ordine inferiore a paraste su alto zoccolo è diviso in tre campate corrispondenti ai portali. Quello di centro è sormontato da un timpano e ornato da un rilievo della scuola di Andrea Bregno, raffigurante la Vergine. Quelli laterali sono sormontati da finestre centinate.
    L’interno è diviso in tre navate da fasci di robusti pilastri e semi colonne in pietra che reggono ampie arcate la cui sommità, all’epoca del restauro barocco del Bernini, avvenuto tra 1655 e il 1609, fu elegantemente impreziosita da statue in gesso disposte in coppie e raffiguranti Sante.
    Nelle navate laterali si aprono ampie cappelle che sono veri e propri scrigni di opere d’arte. La Cappella Basso Della Rovere, prima a destra, con le pitture del Pinturicchio Storie di San Girolamo e Adorazione del Bambino, con le tombe dei nipoti di Sisto IV, i cardinali Cristoforo e Domenico della Rovere eseguiti da Andrea Bregno, con la Madonna di Mino da Fiesole e il sepolcro del cardinal De Castro di Francesco da Sangallo.

    Immacolata Concezione tra Santi – Carlo Maratta – Cappella Cybo – Santa Maria del Popolo

    La Cappella Cybo, seconda a destra, è dedicata a San Lorenzo e fu fondata agli inizi del 1500 da Lorenzo Cybo, nipote di Innocenzo III. Al tempo della sua fondazione fu completamente affrescata da Pinturicchio, mentre gli artisti della bottega di Andrea Bregno si occuparono di realizzare il resto della decorazione. Oggi la cappella può essere ammirata dopo il rifacimento voluto dal cardinale Alderano Cybo e realizzato tra il 1680 e il 1687, rinnovamento che fu apportato da Carlo Fontana. La cappella è a croce greca, rivestita di marmi verdi, ospita sull’altare un olio su muro di Carlo Maratta, l’Immacolata Concezione tra i Santi, che ebbe un tale successo da essere replicato in mosaico e posto sull’altare del transetto destro di Sant’Ambrogio e San Carlo al Corso.
    Sul fondo della cappella Cybo trovano posto i due monumenti funebri dei cardinali Lorenzo e Alderano Cybo opere di Francesco Cavallini, autor ìe anche degli angeli in bronzo dorato che sostengono la mensa dell’altare.

    Nascita della Vergine – Sebastiano del Piombo – Cappella Chigi –

    Proprio di fronte alla cappella Cybo si trova la cappella Chigi. Essa fu concessa da papa Giulio II della Rovere al grande banchiere Agostino Chigi che chiamò Raffaello a realizzare il progetto. I lavori iniziarono nel 1513, proseguirono poi sotto la guida del Lorenzetto a causa della sopraggiunta morte di Raffaello, ma si protrassero, con molteplici interruzioni, fino al seicento tanto che la cappella venne completata dal Bernini tra il 1652 e il 1656.
    Nella cupola è possibile ammirare i mosaici realizzati su disegno di Raffaello, mentre sull’altare è collocato un affresco a olio su blocchi di peperino di Sebastiano dal Piombo, la Nascita della Vergine. Le sculture sono in parte del Lorenzetto e di Raffaello da Montelupo, mentre Abcuc e l’angelo Daniele e il leone sono del Bernino, così come è Bernono a terminare i monumenti funebri di Agostino e Sigismondo Chigi conferendo loro la forma di piramide.
    Nel presbiterio, sull’altar maggiore, è posta la tavola bizantina attribuita, dalla leggenda, a san Luca, raffigurante la Madonna del Popolo.

    Altare maggiore – Santa Maria del Popolo

    In realtà la tavola lignea è del XIII secolo, è attribuita al Maestro di San Saba e fu collocata sull’altare maggiore di Santa Maria del Popolo per volere di Gregorio IX. Sull’arcone stucchi dorati raccontano la leggenda della fondazione della chiesa così come la descrive la tradizione medievale.
    Nello spazio deputato al coro, dietro l’altare, sono i due capolavori di Andrea Sansovino: i sepolcri dei cardinali Girolamo della Rovere e Ascanio Sforza. Questi due sepolcri a foggia di arco trionfale rappresentano il punto di passaggio tra due stili, tra il quattrocento e il cinquecento. In entrambi i sepolcri, il defunto è raffigurato dormiente.
    L’ambiente del coro fu interamente progettato e realizzato da Bramante che chiamò a Roma Guillaume de Marcillat perché realizzasse le preziose vetrate dipinte a grisaille.
    Bramante realizzò l’opera su commissione del cardinale Ascanio Sforza in due fasi: una più antica corrispondente all’arcone a lacunari e all’abside con catino a conchiglia databile ai primi anni del suo soggiorno romano, 1500 circa, e una più tarda, riferibile al pontificato di Giulio II, verso il 1505-1509, in cui la volta a crociera originaria fu trasformata in volta a vela. Gli affreschi della volta sono del Pinturicchio.

    Sepolcro di Giovanni Battista Gilseni – Santa Maria del Popolo

    La cupola della chiesa è probabilmente la prima costruita a Roma, dopo il modello di tutte, rappresentato dal Pantheon. Accanto alla porta principale sta un curioso monumento funebre con il ritratto dipinto del defunto e una marmorea immagine della sua decomposizione, con il motto “neque hic vivus, neque illic mortuus”, cioè «Né qui vivo, né là morto».

    Roma, 29 gennaio 2017

  2. Santa Maria in Cappella e San Benedetto in Piscinula

  3. Santa Maria Antiqua, la riapertura dopo trent’anni di attesa

    Edificata nel VI secolo, sepolta da un terremoto nell’847, rinvenuta per caso nel 1900, chiusa definitivamente trentatré anni fa.IMG20140207190729292_900_700 Si tratta di Santa Maria Antiqua al Foro romano, una delle chiese più antiche e più importanti di Roma.
    Abbarbicata alle pendici nord occidentali del Palatino, Santa Maria Antiqua è una delle prime chiese di Roma consacrate alla Madonna, tanto da contendersi il primato con Santa Maria Maggiore e Santa Maria in Trastevere. La sua storia si collega a quella di altre chiese fondate intorno ai Fori, lungo la Via Sacra e al Palatino, in un periodo in cui la zona monumentale dell’Urbe aveva in gran parte perduto le sue antiche funzioni amministrative e di rappresentanza. Erano gli anni della dominazione bizantina e del papato di Gregorio Magno quando, proprio nel cuore del cuore di Roma, furono edificati tra il VI e il VII secolo nuovi luoghi di culto, tra cui le chiese dei Santi Quirico e Giulitta dietro il Foro di Nerva e dei Santi Apostoli a nord del Foro e dei mercati di Traiano. A queste si aggiunse Santa Maria Antiqua, edificata ripristinando le strutture del vestibolo del palazzo di Domiziano ai piedi del Palatino, in un luogo non distante dal Tempio di Vesta. L’originario edificio romano aveva una forma basilicale: aula rettangolare divisa da tre navate. Nello spessore del muro posteriore fu ricavata una piccola abside, e ai lati del presbiterio, le due piccole cappelle dei Santi Medici e di Teodoto.

    Cappella di Teodoto

    Cappella di Teodoto

    «Mentre 250 anni prima Costantino aveva evitato d’invadere con le testimonianze della nuova fede i Fori a causa delle loro connotazioni pagane» scrive il grande storico dell’arte Richard Krautheimer nel volume Roma, profilo di una città, «ora la Chiesa poteva erigere liberamente le chiese. Sia pure con due secoli e mezzo di ritardo, la trasformazione visuale e ideologica di quello che era stato il centro dell’impero si era compiuta».
    La chiesa palinsesto
    Nel corso degli anni si concentrarono su Santa Maria Antiqua le cure continue di diversi pontefici quali Martino I, Giovanni VII, Zaccaria, Paolo I e Adriano I. Fino a quando, nell’847, un terremoto fece franare sopra di essa parte dei palazzi sovrastanti. Papa Leone IV allora trasferì il titolo in una chiesa costruita ex novo: Santa Maria Nova, l’attuale Santa Francesca Romana. E sui ruderi di Santa Maria Antiqua fu edificata nel XIII secolo una chiesetta che, a sua volta, fu completamente ristrutturata nel 1617 col titolo di Santa Maria Liberatrice. Scavi fortuiti nel XVIII secolo e poi altri condotti in maniera più mirata alla fine del XIX, riportarono alla luce tracce di antichi affreschi. Si decise, allora, di abbattere l’edificio seicentesco per riportare alla luce l’antica Santa Maria Antiqua, trasferendo, nel 1909, il titolo di Santa Maria Liberatrice alla chiesa sorta al Testaccio.santa-maria-antiua
    In realtà, dopo il terremoto del IX secolo, la storia della chiesa ricomincia solo nel 1900, quando il vecchio edificio fu riscoperto in seguito a scavi sistematici proprio in quella zona del Foro. Dopo la rimozione di enormi quantità di terra e di detriti, gli archeologi ricostruirono le murature e le volte, mentre solo nel 1910 si procedette alla copertura della navata centrale per dare protezione ai dipinti. Ci si rese subito conto di cosa stava emergendo: i dipinti che stavano tornando alla luce avrebbero avuto conseguenze storiche e archeologiche di enorme importanza, tanto che molte teorie sullo sviluppo dell’arte tardo antica avrebbero dovuto essere riscritte completamente. Anche in considerazione del fatto che, in Oriente, a causa della crisi iconoclasta del 726, non era sopravvissuto praticamente nulla. Purtroppo le pitture furono trovate in uno stato di degrado talmente grave che i restauri dovettero proseguire ininterrottamente per decenni. Fino a che, nel 1980, si decise di chiudere definitivamente la chiesa al pubblico, salvo un accesso limitato agli studiosi e qualche apertura “spot” tra cui quelle del 2004 e del 2012.
    Santa Maria Antiqua, la pupilla dei ponteficisanta-maria-antiqua-fori-romani-774970
    Ma cosa sì potrà vedere nella prossima primavera? Degli originari mille metri quadrati di affreschi ne risultano ancora visibili 250, databili grazie alle informazioni fornite da cartigli e alla presenza di personaggi ritratti col nimbo quadrato usato per le persone viventi, tra il VI e l’VIII secolo. Le principali fasi di decorazione murale risalgono a papa Martino I (649-653) quando furono decorate le pareti del presbiterio e molte aree della navata centrale. Martino morì in esilio e fu martirizzato perché si oppose all’imperatore di Costantinopoli Costante II. A Martino seguì Giovanni VII (705-707), un papa particolarmente affezionato alla chiesa perché cresciuto sul Palatino come figlio del custode dei palazzi imperiali. Egli fece decorare nuovamente il presbiterio ed eseguire i nuovi cicli pittorici nella Cappella dei Santi Medici e in molte altre parti della chiesa. Dopo Giovanni VII, papa Zaccaria fece affrescare la cappella detta di Teodoto, dal nome del donatore, un nobiluomo romano che come ambasciatore del papa stabilì i primi contatti con la corte dei Franchi, futuri alleati nel distacco politico da Bisanzio. Teodoto, inoltre, da quello che si legge dall’iscrizione che accompagna il suo ritratto, era anche il primo degli avvocati di curia e dell’amministrazione civile delle diaconie di Roma. Infine, papa Paolo I (757-767) ordinò l’ultima decorazione dell’abside e fece eseguire estesi cicli pittorici lungo le pareti delle navate laterali.

    Cappella di Teodoto

    Cappella di Teodoto

    Attraverso Santa Maria Antiqua è possibile dunque ripercorrere interi capitoli di storia della Chiesa e di storia dell’arte. Basti pensare al caso della Crocifissione dipinta in una nicchia della Cappella di Teodoto: Gesù è raffigurato vestito e con i piedi non sovrapposti. In questo caso la tradizione bizantina si fonde con un nuovo linguaggio “autoctono” più accessibile al popolo, evidente in certi dettagli realistici come i paletti conficcati alla base della croce per puntellarla, il terreno su cui la Madonna e Giovanni poggiano, il dinamismo di due soldati romani, Longino con la lancia e l’altro con la spugna bagnata d’aceto. Gesù veste il colobium, la tunica smanicata indossata dai monaci.
    Seguono, sempre nella stessa cappella, le storie del martirio dei santi Quirico e Giulitta (VIII secolo), uno dei cicli più leggibili e completi della chiesa al Foro e uno degli episodi più significativi della pittura romana precarolingia: la sequenza degli episodi del martirio di Quirico e Giulitta è disposta in otto riquadri, mentre la parete meridionale è occupata dalla Vergine in trono con il Bambino affiancata da altri personaggi (Pietro, Paolo, Giulitta e il piccolo Quirico, Teodoto e papa Zaccaria). Nell’abside è invece ritratto Gesù con la Madonna, San Giovanni Crisostomo e san Basilio. Nella raffigurazione spicca un cartiglio contenente riferimenti al Concilio Lateranense del 659, quello che riaffermò la natura umana e divina di Gesù Cristo.
    Ma è la parete a destra dell’abside, detta anche la “parete palinsesto”, la più famosa di Santa Maria Antiqua: qui sono stati scoperti sette strati sovrapposti di affreschi dei quali cinque risultano dipinti mentre degli altri due restano soltanto tracce di colore. Tra tutti spiccano il frammento del VI secolo di Maria Regina in trono adorata da un angelo; altri due frammenti raffigurano il volto della Madonna e il celebre Angelo Bello la cui espressione di intenso naturalismo è assolutamente inaspettata per una pittura bizantina: insieme costituiscono un’Annunciazione, datata alla prima metà del VII secolo.Crucifixion_from_Santa_Maria_Antiqua
    Di notevole valore storico-artistico è anche la Cappella dei Santi Medici, identificata come diaconia, cioè il centro di carità per i poveri, gli ammalati e i pellegrini, tipico delle chiese bizantine. Il nome le deriva dal ciclo pittorico che presenta grandi figure di santianaegyroi, cioè guaritori che non accettavano ricompense. La cappella era destinata ai malati, i quali vi sostavano anche la notte in attesa di poter essere visitati. Restaurata nel 2003-2004, essa conserva parte delle pareti del periodo di Domiziano (81-96 a.C.) e i suoi affreschi raffigurano i santi medici Cosma e Damiano, Abbaciro e Panteleimon; al centro della parete ovest, invece, si staglia la figura del Cristo Pantrocratore, abbigliato con una tunica rossa e lunghi capelli ricci e barba folta.
    A questo punto, non resta che attendere la prossima primavera per andare in pellegrinaggio da Maria Vergine ai Fori, nel cuore di una città che non finisce mai di stupire.

  4. I linguaggi del medioevo. Terzo appuntamento: Santa Sabina

    Perfetto esempio di basilica del V secolo, e quindi venerabile ed ammirevole modello della

    Interno di Santa Sabina

    Interno di Santa Sabina

    primitiva e pura concezione del tempio cristiano, la basilica venne costruita dal prete Pietro d’Illiria, durante il pontificato di Celestino I, forse sulla casa di una matrona Sabina, confusa in seguito con l’omonima santa umbra. Vennero utilizzate 24 colonne di marmo ancirano del Tempio di Giunone Regina, che sorgeva nei pressi. Nel secolo IX vi furono aggiunte parti marmoree, parzialmente ancora esistenti: la schola cantorum, abilmente ricostruita ricomponendo gli antichi frammenti, gli amboni, l’iconostasi, la cattedra episcopale e il sedile marmoreo.
    Nel 1222, papa Onorio III, che risiedeva nell’attiguo castello Savelli, concesse la chiesa al proprio maestro di palazzo, Domenico di Guzman, all’atto di approvargli la regola del nuovo ordine domenicano. Ancora di quell’epoca sono il chiostro e il campanile, rimasto troncato verso la metà del Seicento. Domenico Fontana, nel 1587, trasformò l’aspetto interno della chiesa, facendole assumere una fastosa foggia manieristico-barocca.
    Dopo la soppressione dei monasteri, successiva al 1870, seguì un periodo di abbandono, durante il quale la chiesa e l’intero convento furono utilizzati come lazzaretto comunale. Finalmente, l’architetto e storico dell’arte Antonio Mugñoz, tra il 1914 e il 1937, tentò di recuperare l’aspetto originario della chiesa, con un’operazione sostanzialmente rispettosa e che ha dato notevoli risultati.
    A causa della sua particolare collocazione, con il fianco parallelo al ciglio del colle, la basilica presenta al visitatore il suo fianco sinistro, con la lunga fila delle ampie finestre a transenne di selenite e con un lineare portico quattrocentesco.

    Crocifissione - Portale ligneo di Santa Sabina

    Crocifissione – Portale ligneo di Santa Sabina

    L’atrio è reso prezioso dalla celeberrima porta d’ingresso, originaria del V secolo e intagliata finemente, oltre che con potenza espressiva, in legno di ciliegio. La porta è incompleta perché i pannelli scolpiti sono ridotti al numero di diciotto (otto grandi, verticali, e dieci più piccoli ed orizzontali). Essi sono montati, secondo un ordine che non è più quello originario, dentro fasce decorative che raffigurano motivi della vite. Di particolare risalto è il pannelletto che rappresenta la Crocifissione, una delle prime rappresentazioni di questa scena.
    Complessivamente ci troviamo di fronte ad uno dei massimi tesori dell’arte paleocristiana, ad una delle più importanti manifestazioni della potenza creativa della fede cristiana.
    Nel 1836 i pannelli del portale del V secolo furono restaurati e nel pannello dedicato al “Passaggio del Mar Rosso” le fattezze del Faraone che sta per annegare vennero modificate e sostituite con il volto di Napoleone, il che la dice molto lunga sull’odio che ancora si provava a Roma dopo quindici anni dalla morte.

    L'attraversamento del Mar Rosso - Portale ligneo di Santa Sabina

    L’attraversamento del Mar Rosso – Portale ligneo di Santa Sabina

    Di grande interesse è anche un affresco emerso durante restauri effettuati nel 2010 nel porticato della Basilica. L’affresco alto medievale rappresenta la Madonna con il Babino affiancata dai santi Pietro e Paolo, e alle estremità, dalle sante Sabina e Serafia che introducono a sinistra i due committenti, e a destra il papa regnante. Porprio le figure dei donatori indicati nell’iscrizione come l’arcipresbitero Teodoro e il presbitero Giorgio, identificati con i due legati papali al Concilio di Costantinopoli del 680, hanno permesso di datare l’opera tra la fine del VII e i promo anni dell’VIII secolo.
    Ma non sono solo queste opere a suscitare l’interesse di chi arriva fin sull’Aventino per visitare Santa Sabina.
    Voltando le spalle al magnifico portale ligneo si scorgerà una piccola finestra nel muro. Da lì si può avere una visione parziale del chiostro duecentesco. Ma l’occhio sarà inevitabilmente attratto da un albero di arance: secondo la tradizione quella è la prima pianta di arance arrivata in Italia dal Portogallo e portata proprio da San Domenico.
    Come tutto ciò che riguarda la tradizione questa è una pianta magica, poiché anche se secca continua a dare i suoi frutti attraverso altri alberi nati nel tempo sull’originale.
    La tradizione vuole pure che sa questa pianta Santa Caterina avesse preso cinque arance poi candite e donate all’impetuoso e violento papa Urbano VI nel 1379 per dimostrargli che pure un frutto aspro possa diventare dolce.
    Ritornando all’interno, come nella basilica di Santa Maria Maggiore, anche qui, con ogni probabilità, papa Sisto III, alla metà del V secolo, aveva fatto realizzare una decorazione musiva che si estendeva dalla controfacciata alla navata centrale all’abside.arance
    Oggi tuttavia ciò che rimane è solo parte del mosaico in controfacciata e l’opus sectile subito sopra le arcate della navata centrale. Durante il corso del restauro novecentesco, il Mugñoz si accorse che sopra questa decorazione le pareti della navata dovevano ospitare dei mosaici probabilmente raffiguranti le storie del nuovo e del vecchio testamento, la cui conclusione ideale era nell’abside, anch’essa in mosaico. E il tema era forse proprio quello presente tutt’oggi nell’affresco di Federico Zuccari, vale a dire: Cristo sul monte paradisiaco attorniato da figure di santi e di papi.
    Il tema del dipinto infatti sarebbe stato perfetto per un mosaico absidale il cui compito era quello di ricordare ai fedeli la fine dei tempi, il loro futuro.
    L’abside, la controfacciata e il portale in legno sono i punti in cui si concentra il “pellegrinaggio” del cristiano quando, passando attraverso la porta, simbolo della resurrezione e della speranza, compie il passaggio verso la salvezza che è Cristo stesso. La speranza si concretizza nel catino absidale, il luogo del compimento che rimane ben visibile per tutta la celebrazione.

    Madonna con Bambino - Affresco tardo medievale

    Madonna con Bambino – Affresco tardo medievale

    Al termine di questa, la comunità compie il percorso inverso; esce dalla casa di Dio e nel compiere questo tragitto ha un’altra visione escatologica: in alto era raffigurato il tetramorfo dell’Apocalisse, i principi degli apostoli Pietro e Paolo e, come si vede ancora oggi, l’iscrizione della fondazione fiancheggiata dalla raffigurazione delle due Ecclesie.
    La visita si propone come una lettura liturgica e simbolica delle decorazioni medievali della basilica, in particolare del rilievo del portale, un pezzo di storia medievale insostituibile e luogo di una delle prime rappresentazioni della Crocifissione.