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Villa Farnesina: la poesia e l’amore
24 Luglio 2016 by Ornella Massa
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Passeggiando per colle Oppio: la basilica di San Pietro in Vincoli, le Sette Sale e le terme di Traiano
27 Maggio 2016 by Ornella Massa
Il colle Oppio che, insieme al Cispio e al Fagutale, è una delle tre alture che formano l’Esquilino, può essere considerato una sorta di giardino archeologico.
Ai tempi di Augusto la zona faceva parte della Regio III Isis et Serapis, così chiamata per la presenza di un tempio dedicato alle due divinità egizie, i cui resti sono ancora visibili in via Labicana. Qui, per buona parte, si estendevano la gigantesca Domus Aurea neroniana e le Terme di Traiano e di Tito. E sempre qui, in epoca cristiana, si stabilirono il titulus Eudoxiae e il titulus Equitii, su cui sarebbero sorte le basiliche di San Pietro in Vincoli e di San Martino ai Monti.
Per dare una degna cornice alle superbe rovine delle Terme di Traiano e di Tito, nel 1938 venne realizzato il Parco di Colle Oppio, arricchito all’epoca di portali d’accesso in travertino, fontane e opere di giardinaggio comprendenti 2.500 piante di rose e bellissimi pini dalle grandi chiome che andarono ad accrescere il fascino dell’ambiente, creando un ideale contrappunto alla visione dei ruderi superstiti. Oggi, purtroppo, il parco appare in uno stato di trascuratezza che però non compromette la bellezza di questo straordinario angolo di Roma.L’itinerario parte da San Pietro in Vincoli. Il grande piazzale solitario corrisponde alla cima del Fagutale, la vetta occidentale dell’Esquilino. Qui la moglie dell’imperatore Valentiniano III, Eudossia, fece costruire sopra precedenti edifici una chiesa per conservare quelle che la tradizione indica come le catene di san Pietro prigioniero a Gerusalemme. Consacrata nel 439, la chiesa, che porta anche il titolo di eudossiana, fu più volte restaurata e rifatta. Importanti lavori vi condusse il nipote di Sisto IV, il cardinale Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II. Infine, nei primi del Settecento la chiesa subì una profonda modifica ad opera di Francesco Fontana.
Dall’alto di un’ampia gradinata, domina la piazza, l’elegante portico a pilastri ottagonali, attribuito a Baccio Pontelli o, forse con maggior ragione, a Meo del Caprino: i capitelli recano l’insegna dei Della Rovere. Attraverso un bel portale marmoreo si entra nel vasto interno a tre navate, delle quali la centrale sembra ancora più ampia a causa del soffitto ligneo ribassato che racchiude il grande dipinto del Miracolo delle Catene di G.B. Parodi (1706).
Splendide sono le venti robuste colonne che sui due lati dividono le navate. L’arco trionfale è sostenuto da due antiche colonne di granito; qui ha ampiamente operato nel 1872 Virginio Vespignani, al quale si deve l’altar maggiore con baldacchino e la sottostante confessione in cui, attraverso due sportelli aperti, si vede l’urna dorata che contiene le catene di San Pietro.
La chiesa ha il suo punto focale nel michelangiolesco Mausoleo di Giulio II. Nonostante esso sia solamente la deludente attuazione del grandioso progetto voluto dal combattivo pontefice, e che sia persino privo delle sue spoglie sepolte anonimamente a San Pietro, la macchina scenica realizzata da un contrastatissimo Michelangelo emana un potere suggestivo enorme.
D’altro canto la sola gigantesca statua del Mosè basta a riscattare tutta la triste vicenda della tomba rimasta incompiuta: l’opera è una delle realizzazioni fondamentali di tutta la storia artistica, uno dei sommi capolavori di sempre e sarebbe sufficiente anche da sola ad assicurare gloria a Michelangelo.Attraverso una porta a sinistra del monumento si entra nell’antica sagrestia, riccamente adorna di marmi policromi e di dipinti del Domenichino e della scuola degli Zuccari.
Uscendo dalla basilica ci s’incammina lungo le Sette Sale, l’antica via che si snodava avvolgendo tutta la zona delle terme di Traiano. Il nome deriva da quello che appariva un tempo come un incomprensibile rudere e che era in realtà costituito da sette giganteschi ambienti, gli unici allora visibili dei nove che componevano il deposito d’acqua delle antiche terme. La parte superstite della strada serpeggia fra erte muraglie di antichi conventi e muriccioli che chiudono antiche aree verdi fino a sboccare nell’affascinante spettacolo delle terme di Traiano.
Della colossale costruzione realizzata da Apollodoro in appena cinque anni e inaugurata dall’imperatore Traiano nel 110 d.C. rimangono soltanto alcune esedre la cui imponenza testimonia la grandiosità dell’impianto, che introdusse un nuovo concetto di pubblico servizio polivalente per tutte le esigenze del tempo libero. Le terme erano tecnicamente molto avanzate, come dimostrano il sistema di tubazioni idriche che è stato rinvenuto. La straordinaria ricchezza di opere d’arte e ornamenti che caratterizzavano l’impianto termale, la si può dedurre dalla quantità di statue che vi sono state rinvenute e dai cornicioni e dalle colonne che nel 1594 vennero portati alla Chiesa del Gesù.Ma non tutte le emergenze archeologiche che caratterizzano il grande parco del Colle Oppio sono attribuibili alle rovine delle terme. Alcuni ruderi perimetrali appartengono infatti alla precedente Domus Aurea, salvatisi perché in posizione tale da non richiederne l’interramento, sorte subita invece dalla maggior parte dell’edificio, interramento sul quale venne ricavato il terrazzamento occorrente alle nuove costruzioni.
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L’otium dei grandi signori del Rinascimento: Villa Celimontana e il Ninfeo nascosto.
10 Aprile 2016 by Ornella Massa
È arduo parlare dell’aspetto dei giardini delle ville signorili e dei simboli e significati che questi hanno assunto nel corso dei secoli.
Non solo perché i luoghi sono profondamente cambiati, ma soprattutto perché sono mutati la cultura e lo stile di vita delle persone. Per l’uomo contemporaneo il giardino è uno spazio verde dove rilassarsi, stendersi su un prato, giocare, un luogo dove si può ancora godere della bellezza della natura e di alcuni momenti di libertà.
Quando invece le ville erano private, il giardino era uno spazio verde denso di significati profondi, una sorta di manifesto filosofico e politico che doveva raccontare ogni aspetto della vita del proprietario. Un luogo, cioè, immediatamente intellegibile a tutti quelli che, a vario titolo, vi erano ammessi anche in assenza del proprietario, allo scopo di meditare, di riflettere, di studiare.
Quando, con l’avvento di Napoleone, il giardino diventa pubblico, non perde di significato ma acquisisce anche un ruolo “educativo” e sociale: il giardino, in questo caso, è luogo d’incontro tra persone di livello sociale diverso, dove il borghese incontra il nobile ed il proletario, al cospetto di monumenti e di statue raffiguranti i personaggi illustri della nazione, “trasmettitori”, in questo caso, di spirito patriottico e coesione sociale.
Se è difficile cogliere oggi alcuni aspetti delle ville del passato giunte fino a noi, rappresenta quasi una sfida impossibile raccontare la storia di una villa rinascimentale praticamente scomparsa, inghiottita dal tempo come è Villa Celimontana al Celio. Edificata nella seconda metà del Cinquecento come residenza di rappresentanza della famiglia Mattei, una delle famiglie più in vista di Roma, doveva rappresentare e ribadire il ruolo preminente della nobile casata nella vita politica e sociale della città.
È per questo motivo che Giacomo Mattei acquista nel 1553 una vigna al Celio.La nuova proprietà presenta una forma irregolare con scarse possibilità di espandersi, considerata la vicinanza di chiese importanti quali Santa Maria in Domnica, San Gregorio Magno e i Santi Giovanni e Paolo. L’area acquistata dai Mattei ha comunque il grande pregio di godere della prossimità delle Terme di Caracalla e del Palatino, dove già la famiglia Farnese aveva allestito i celeberrimi Horti Farnesiani.
Il Celio è dunque il luogo giusto per creare una sorta di “Campidoglio” alternativo per affermare la continuità storica e politica della famiglia Mattei con la Roma imperiale. E in particolare, per stabilire l’identificazione di Giacomo Mattei con la mitica figura di Ercole. Per questo motivo, il ricco proprietario trasferirà in villa una splendida collezione di arte antica.
E il riconoscimento di tale continuità con l’impero e con i suoi miti fu ufficialmente attestato dal Comune di Roma che, nel 1582, farà dono alla famiglia Mattei dell’obelisco in granito rosso di Ramses II, che da molti anni si trovava alla base della scalinata dell’Aracoeli. L’obelisco è l’unico arredo della villa rinascimentale giunto fino a noi, anche se collocato, purtroppo, in luogo che lo rende privo di significato, negandogli, quindi, quella posizione centrale che invece aveva avuto nel XVI secolo. Sono scomparse, tra l’altro, tutte le opere della collezione d’arte antica dei Mattei che completavano non solo l’arredo del giardino ma che ne rendevano chiara la storia a cui era ispirato. Gran parte di queste opere sono confluite nelle collezioni vaticane ed in altre collezioni pubbliche e private di Roma, lasciando al giardino di Villa Celimontana pochi brandelli delle antiche meraviglie. I Mattei rimarranno a lungo proprietari di Villa Celimontana, dopodichè, agli inizi dell’Ottocento, cominceranno ad alternarsi diversi proprietari che imporranno i propri gusti estetici alla villa.I cambiamenti più sostanziali saranno realizzati alla fine dell’Ottocento, quando ciò che rimaneva dell’impianto rinascimentale sarà definitivamente cancellato per lasciare spazio ad un di tipo di giardino “paesistico” sulla scorta della moda inglese e francese. Ma anche di questa fase storica, purtroppo, non ci sono più tracce, salvo l’impianto geometrico del giardino, il mal conservato Tempietto neogotico e la attenta cura delle piante secondo antichi criteri botanici.
È innegabile, nonostante tutto, che ancora oggi la villa mantenga un suo fascino particolare, grazie alle varie essenze che colorano il giardino delle più svariate sfumature di verde. Un giardino che ricorda, a seconda degli ambienti, ora un bosco fitto e appartato ora una radura aperta e luminosa dove circola, soprattutto durante le infuocate estati romane, un’aria particolarmente fresca.
Da tempo la villa è oggetto di restauri che hanno consentito l’identificazione del Ninfeo dell’Uccelliera, definito così perché posto originariamente proprio sotto l’uccelliera andata distrutta nel 1700. È una delle poche strutture superstiti della villa rinascimentale, costruita tra il 1585 e il 1580 e che permetteva l’accesso diretto al circo soprastante, al cui centro era posizionato l’obelisco.L’ambiente è piccolo ma suggestivo, decorato ad affresco e mosaico, con frammenti di pomice, conchiglie e frammenti di madreperla, ispirato ai ninfei di epoca greco-romana. Un luogo, questo, dove in età rinascimentale i nobili potevano godere non solo del clima delizioso ma anche, grazie ai particolari sistemi idraulici in voga in quel tempo, dei fantasmagorici giochi d’acqua delle fontane.
Non è improbabile che la collocazione del Ninfeo al di sotto dell’Uccelliera consentisse di poter ascoltare il canto degli uccelli in essa collezionati: un’ulteriore suggestione capace di assecondare la meditazione, la ricerca dell’equilibrio interiore e del significato della natura per i fortunati che avevano la possibilità di essere ospiti della Villa Mattei. -
Villa Farnesina: il culmine del Rinascimento romano.
Se il Magnifico Chigi incontra il Divino Raffaello17 Gennaio 2016 by Ornella Massa
Villa Farnesina è la villa sontuosa, ma di raffinatissimo gusto, che il grande banchiere Agostino Chigi detto “il magnifico” si fece costruire fra via della Lungara, appena sistemata, e il Tevere.
Via della Lungara – detta anche “via santa” perché era uno dei percorsi dei pellegrini verso San Pietro – era stata riordinata all’inizio del Cinquecento da Giulio II, in parallelo alla creazione di via Giulia, sull’altra sponda del fiume.
Oggi la strada mantiene un certo carattere extraurbano, rarefatto e solitario, che le viene conferito dall’affascinante estensione dell’Orto Botanico, da Palazzo Corsini e, soprattutto, dalla bellissima Villa Farnesina, progettata da Baldassarre Peruzzi e affrescata da Raffaello, Giulio Romano, Sodoma, Sebastiano del Piombo e dallo stesso Peruzzi. La villa rappresenta il culmine del Rinascimento, alla vigilia della tragedia del Sacco di Roma del 1527. Agostino Chigi vi riceveva Leone X, cardinali, ambasciatori, principi e lo stuolo raffinato degli artisti e dei letterati cortigiani che si erano raccolti nella Roma spensierata dei Medici. Una nota narrazione tramanda che Agostino Chigi, dopo aver servito un pranzo in riva al Tevere, facesse gettare il vasellame d’oro e d’argento nel fiume (dove però una rete era stata predisposta per salvare i preziosi metalli).
L’edificio è a tre corpi, coronato da un cornicione con fregi. Al pianterreno, protetta da una vetrata, si trova la Galleria nella cui volta Raffaello e i suoi aiuti illustri rappresentarono la Favola di Psiche.Sulla sinistra della Galleria si accede alla Sala della Galatea, nel cui soffitto brillano le Costellazioni dipinte da Baldassarre Peruzzi. Altri dipinti sono di Sebastiano del Piombo, l’allievo prediletto di Michelangelo. Ma la regina del luogo è la divinità marina che dà il nome alla sala, la Galatea raffigurata da Raffaello in un quadro di delicata compostezza, vibrante di giovinezza e di terso colore.
Dalla destra della Galleria si accede ad un’altra stanza, distinta da un fregio mitologico di Baldassarre Peruzzi. E al piano superiore si trova il capolavoro della destrezza pittorica dello stesso Peruzzi, il Salone delle prospettive.Nel 1590 la villa passò dai Chigi ai Farnese, i quali progettarono la costruzione di un ponte per collegarla al loro palazzo oltre il Tevere e le lasciarono il nome che tuttora porta.
Nel corso della visita a Villa Farnesina, sarà possibile visitare la galleria delle Grottesche appena aperta al pubblico dopo il recente restauro: e questa è una delle novità recentemente emerse nel contesto della decorazione della Villa Farnesina. Il termine “grottesche” si deve alla casuale scoperta della celebre Domus Aurea. Infatti, intorno all’ultimo quarto del XV secolo, un giovane romano cadde in una fessura del Colle Oppio ritrovandosi in una grotta ricoperta da figure dipinte: erano le stanze dello sfarzoso palazzo di Nerone, eretto a Roma tra il Celio e l’Esquilino tra il 64 e il 68 d.C.Ben presto i giovani artisti nel Rinascimento vollero discendere negli ambienti per poter vedere le pitture dal vivo; tra questi Pinturicchio, Michelangelo e Raffaello. Così, e soprattutto dopo le celebri Logge che Raffaello dipinse in Vaticano tra il 1517 e il 1519, la decorazione a grottesca divenne rapidamente una vera moda artistica. Questo grazioso corridoio, che collegava la Sala delle Prospettive con le stanze di Francesca Ordeaschi e dei suoi figli, è infatti ricoperto da una volta a botte in legno che, simulando una copertura in muratura affrescata, è decorata con delicate grottesche a sfondo bianco. Molto simili a quelle che Raffaello aveva riprodotto nel 1516 nella Loggetta del Cardinale Bibbiena del Palazzo Apostolico, esse risalgono al periodo 15171518 e dunque ad un momento di poco successivo alla conclusione dei dipinti della Sala delle Prospettive. Tracce di cassettonati nei pressi dell’ascensore sono riferibili al periodo in cui una parte della galleria, suddivisa in tre settori distinti, fu destinata a cappella secondo quanto documentato da una pianta del 1560.