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  1. Satire ed Epigrammi

    Come si vive a Roma

    di Giovenale e Marziale.

    In occasione della visita guidata all’Insula dell’Ara Coeli, il 10 febbraio alle 16.00, proponiamo una lettura classica: le satire di Giovenale e gli epigrammi di Marziale che descrivono con precisione e arguzia le condizioni nelle quali si viveva a Roma tra

    Insula romana – ricostruzione.

    il I e il II secolo dopo Cristo. Entrambi i poeti si trovano a vivere in una Roma affollata e caotica, che corrisponde per Marziale alla Regio VII, dove, nella contrada detta “al Pero”, sulle prime propaggini del Quirinale oggi corrispondente all’area da Via Rasella a Piazza Barberini, si trovava l’insula in cui era situata la sua abitazione, mentre per Giovenale lo scenario dove si trovava la sua abitazione era un’insula all’interno della Suburra.  

    Giovenale Satira III.239-267: “Il caos ed i pericoli di Roma. Il giorno”
    Quando il ricco è chiamato (a svolgere) i suoi obblighi, la folla (gli) cede
    il passo e la smisurata liburna corre sopra le teste
    e nel frattempo all’interno (egli) legge o scrive od anche dorme;
    poiché la lettiga con la tenda chiusa induce il sonno.
    Nondimeno arriverà prima: a me l’onda della folla che mi precede
    impedisce d’andar velocemente, e l’intero popolo radunato

    continua…

  2. Gli antichi luoghi di culto a Trastevere: basilica e titulus di San Crisogono

    La visita alla basilica di San Crisogono e ai suoi sotterranei è momento essenziale per comprendere le trasformazionisubite dal quartiere di Trastevere. Forse oscurata dalle sublimi Santa Maria in

    San Crisogono – Cappella Arcivescovile di Ravenna.

    Trastevere, Santa Cecilia e San Francesco a Ripa, San Crisogono è  altrettanto rilevante. Il titulus Crysogoni è il più antico di Trastevere e tra i più importanti di Roma  insieme al titulus Callisti e al titulus Ceaciliae. Edificato su  due o forse tre domus romane del II e III secolo, prima di assumere la definitiva pianta basilicale intorno al IV secolo, sotto papa Silvestro I, e dedicata a san Crisogono di Aquileia, città i cui il santo fu martirizzato e sepolto nel IV secolo.
    A onor del vero quale sia il Crisogono a cui la basilica venne dedicata resta ancora oggi una questione da chiarire, poiché le notizie sulla vita di Crisogono, il cui nome di origine greca vuol dire “nato dall’oro”, sono assai contradditorie e diverse sono le tradizioni riportate.
    Si sa che un certo Crisogono, soldato convertitosi alla fede cristiana fu fatto martirizzare e quindi uccidere da Diocleziano nel IV secolo ad Aquileia. Questo episodio è descritto in una passio a lui dedicata dove si dice: “Nello stesso giorno il natale di san Crisogono Martire, il quale, dopo aver lungamente sofferto catene e prigionia per la costantissima fede di Cristo, per ordine di Diocleziano fu condotto ad Aquileia, e finalmente, decapitato e gettato in mare, compì il martirio”.
    Secondo un’altra fonte Crisogono effettivamente sarebbe vissuto a Roma e Diocleziano lo avrebbe confinato nella casa di un certo Rufino che fu poi convertito insieme a tutta la sua famiglia. Mentre Crisogono si trovava costretto nella casa di Rufino avrebbe intrattenuto uno scambio epistolare con Anastasia grazie all’intermediazione di una anziana donna. Anastasia era figlia di Pretestato e moglie di Publio che avversava drasticamente la sua fede in Cristo, impedendole di aiutare i cristiani che in quel periodo non potevano svolgere alcun mestiere, arrivando a

    Santa Anastasia di Sirmio.

    segregarla in casa e a maltrattarla. Alla morte del marito Anastasia godette per un breve periodo di tempo di libertà e quando Crisogono fu trasferito ad Aquileia lei lo accompagnò nel suo viaggio. Qui Diocleziano riconoscendo il valore di Crisogono, gli offrì la prefettura e il consolato, a patto che abiurasse la sua fede in Cristo, ma Crisogono rifiutò e Anastasia assistette al suo interrogatorio, al suo martirio e alla sua morte per decapitazione avvenuta il 24 novembre 303 alle Aquae Gradatae, località a circa dodici miglia da Aquileia. Il suo corpo fu abbandonato sulla riva del mare, nei pressi di una proprietà detta Ad Saltus, dove abitavano tre sorelle cristiane Agape, Chionia, Irene, le quali con l’aiuto del santo Zoilo, gli diedero in un loculo sotto la casa dello stesso Zoilo.
    Anastasia morì successivamente arsa viva sempre a causa della sua fede cristiana a Sirmio, da dove il suo culto si diffuse prima a Costantinopoli e poi a Roma. Altre fonti ancora narrano che Crisogono fosse un vescovo di Aquileia. Dati storici tramandano che tra la fine del III e l’inizio del IV secolo vissero in quella città due vescovi con il nome di Crisogono.
    E’ anche possibile che un Crisogono sia stato proprietario di una o più domus che oggi insistono sotto la basilica in Trastevere e che solo successivamente il suo nome sia stato assimilato a quello del santo di Aquileia. Ad ogni modo, la chiesa trasteverina conserva la reliquia di una mano e della calotta cranica attribuite a san Crisogono, la reliquia giunse alla basilica nel XV secolo. La reliquia fu portata via per la prima volta nel 1806 e restituita nel 1850. Successivamente il prezioso reliquiario fu rubato negli anni Sessanta del Novecento. Le reliquie furono ritrovate dopo pochi giorni nei pressi della basilica di Santa Maria in Trastevere prive del prezioso reliquiario.
    La basilica di San Crisogono a cui si accede oggi dal viale Trastevere, non

    San Crisogono in un’incisione di Giuseppe Vasi del 1747.

    corrisponde all’iniziale chiesa, la cui esistenza viene documentata per la prima volta nel 499, quando il titulus, viene per la prima volta inserito nell’elenco dei tituli invitati a partecipare al Concilio di Roma. In questo caso i presbiteri del titulus Crysogoni vengono invitati a partecipare al Concilio indetto da papa Simmaco. Questa chiesa era stata probabilmente eretta nel IV secolo su una domus privata del II secolo e i suoi resti sono stati ritrovati nel corso di uno scavo risalente al 1907 a circa sei metri più in basso rispetto all’attuale chiesa.
    L’edificio risalente al 499 fu restaurato una prima volta nel 731 per volere di Gregorio III che ne fece riparare il tetto e adornare l’abside con affreschi. Quest’antica chiesa vide anche l’elezione di papa Stefano III nel 768. Successivamente, a causa delle frequenti inondazioni del Tevere e probabilmente perché le strutture di questa chiesa dovevano apparire molto deteriorate, nel 1126 il cardinale titolare Giovanni da Crema, colui che aveva fatto arrestare l’antipapa Baudino e che era stato legato in Inghilterra e Scozia alla corte di David I, decise di avviare la costruzione di una nuova chiesa di forme basilicali, e a questo momento è certamente ascrivibile il campanile romanico che ancora oggi si erge sulla destra della chiesa attuale.
    I due edifici ecclesiastici, quello citato nell’elenco dei tituli e quello attuale, non sono completamente sovrapposti, ma la nuova costruzione è spostata leggermente sulla destra rispetto a quella più antica e la usa parzialmente come fondazione.

    San Crisogono – Soffitto a lacunari. Si ringrazia vigoenfotos per la fotografia.

    Nel 1157 il cardinale Guidone Bellagio arricchì la chiesa di un nuovo altare, mentre nel 1480 i canonici di San Salvatore, che fino ad allora avevano abitato nel convento di pertinenza della chiesa, dovettero lasciare la loro casa a favore dei Carmelitani i quali vi rimasero fino al pontificato di Pio IX, quando furono sostituiti dai Trinitari.
    Si accede alla chiesa attuale attraversando un portico la cui costruzione risale al 1626, coeva alla facciata, entrambe realizzate grazie all’interessamento di Scipione Borghese, fatto che viene ricordato da un’iscrizione posta sull’architrave del portico e sottolineato dalla presenza dei simboli araldici della famiglia: il drago alato e l’aquila.
    Il 1626, d’altro canto, è l’anno in cui la chiesa fu profondamente restaurata dall’architetto Giovan Battista Soria, che realizza anche il ciborio definito dalle quattro colonne di alabastro, probabilmente di spoglio. L’interno mantiene la sua forma absidale con tre navate separate da ventidue colonne di granito che probabilmente provengono dalle Terme di Settimio Severo e decorato a soffitto da uno dei più bei lacunari dipinti della città d Roma che ospita al centro una copia della tela del Guercino La Gloria di San Crisogono. L’originale fu trafugato nel 1808 e venduto in Inghilterra, dove può ancora essere ammirato.
    L’interno della basilica ospita anche la cappella del Santissimo Sacramento che è opera del Bernini, alcune opere attribuite al Cavallini, come ad esempio il mosaico absidale, e un bel pavimento cosmatesco.

    Pianta delle due basiliche di San Crisogono.

    Dalla sacrestia, percorrendo una scala moderna, si può accedere alla chiesa più antica, quella che fu eretta sul titulus Crysogoni. La prima struttura che appare dell’antica basilica è l’abside e di essa ben conservata è la parte inferiore, riccamente decorata a imitazione delle sontuose stoffe del VIII secolo e che risalirebbero quindi alle decorazioni volute da papa Gregorio III. L’abside appare serrata tra due ambienti diversi per funzione e dimensioni.
    Sulla destra è visibile un ambiente quadrato, detto secretarium, che serviva probabilmente per riporre le vesti sacre, documenti e arredi liturgici, ha un pavimento a tessere marmoree con disegni di fiori. A un certo punto l’uso di questo locale cambiò, come testimonia la presenza di un sarcofago a motivi marini che fu ritrovato in loco.
    L’ambiente sulla sinistra dell’abside ha, invece, dimensioni maggiori e poiché contiene una struttura bassa e circolare che ricorda una vasca per il battesimo viene oggi interpretato come battistero. La vasca circolare è visibile solo per metà, poiché l’altra metà è ostruita da un muro traversale, questo perché intorno al X secolo il battesimo cominciò a essere somministrato per aspersione e non più per immersione, e il battistero circolare cadde in disuso. Il battistero della basilica più antica deriverebbe a sua volta, da una precedente fullonica che si trovava nel medesimo posto, come indicato dai reperti rivenuti in una più recente campagna di scavo e costituiti da recipienti per l’acqua intercomunicanti e canali di scolo che immettevano in una fogna a cappuccina. Alla fullonica si accedeva da Via di San Gallicano.
    L’abside era ed è percorribile mediante un corridoio processionario che conduceva i

    San Crisogono che guarisce il lebbroso – San Crisogono – Basilica paleocristiana.

    fedeli alla fenestella confessionis attraverso la quale essi potevano venire in contatto con le reliquie dei santi: in questo caso, come si è detto, con una mano e la calotta cranica di San Crisogono. Qui è possibile ancora ammirare affreschi risalenti all’VIII secolo e che raffigurano i santi Crisogono, Rufino e Anastasia, sia Rufino che Anastasia, come si è detto, secondo una delle tradizioni relative a San Crisogono ebbero un ruolo nella vita del santo. Anche questi affreschi farebbero parte dell’apparato decorativo voluto da Gregorio III.
    Dall’abside si diparte l’aula basilicale a navata unica, oggi divisa in due ambienti a causa della presenza del muro di fondazione della basilica superiore. Proprio in questa sorta di finta navata è possibile ammirare degli affreschi risalenti al X – XI secolo: San Benedetto che guarisce un lebbroso, il salvataggio di San Placido, San Silvestro che cattura il drago e San Pantaleone che guarisce un cieco.
    La basilica antica termina nel nartece, il vestibolo, spesso esterno, delle basiliche paleocristiane dove i catecumeni e i penitenti dovevano fermarsi per seguire la liturgia.
    Lungo il decorso dell’altra parete è possibile ammirare affreschi che vengono datati tra il VI e il VII secolo, che riportano scene del Nuovo Testamento, ma solo una di queste è ancora ben leggibile.

    Roma, 14 gennaio 2018

  3. Aventino, il colle solitario e la basilica di Santa Sabina

    La sua perdurante relativa solitudine – nonostante gli insediamenti residenziali del secolo passato – ricorda il destino d’isolamento che contrassegnò questo colle dal più lontano passato. Fino all’epoca dell’imperatore Claudio esso fu mantenuto all’esterno del pomerio urbano e il luogo fu piuttosto considerato come

    Romolo traccia il solco – Bartolomeo Pinelli.

    particolarmente propizio al culto e alla religiosità, sicché vi furono costruiti molti edifici sacri. In particolare fu qui insediato un Tempio di Diana che, come quello di Giove sul Monte Cavo, ebbe un carattere federativo per le genti latine. Soprattutto all’epoca di Augusto, le pendici dell’Aventino accolsero le popolazioni popolari della gente di fatica del Porto Fluviale.
    L’Aventino ha un ruolo chiave nella storia fondativa delle città di Roma. E’ qui, infatti, che Remo si colloca per osservare il volo degli uccelli, mentre Romolo sceglierà il Palatino. Sarà quindi dall’Aventino che Remo vedrà per primo sei avvoltoi mentre Romolo ne vedrà dodici, solo dopo di lui sul Palatino. Sarà la furia cieca di Romolo a farne quindi il fondatore della città a discapito di Remo, il quale però una sua città alternativa, Remuria, pare fosse comunque riuscito a fondarla.
    Ad ogni modo, il particolare carattere del monte vi attrasse gradualmente le residenze dei mercanti forestieri, dei plebei arricchiti con il commercio e, infine, di coloro che operavano nel sottostante Emporium, nelle strutture connesse e nei relativi traffici e commerci. Con il concentrarsi qui delle abitazioni dei plebei, l’Aventino assunse il carattere di residenza alternativa a quella del Palatino abitata prevalentemente da patrizi.
    Nel 494 avanti Cristo si aprì inoltre il conflitto tra patrizi e plebei, passato alla storia come “secessione dell’Aventino” perché è su questo monte che i plebei decisero di dare origine a organismi di governo propri, visto che essi non avevano fino a quel momento alcuna rappresentanza politica. Venne così indetta un’assemblea generale che poteva prendere decisioni con valore vincolante per la plebe e furono istituite le figure dei tribuni della plebe.

    Fortezza dei Savelli sull’Aventino (l’orto circostante dal 1933 è il giardino degli Aranci) – Peter Paul Mackey, British School at Rome Archive.

    A questo primo conflitto altri ne seguirono, e l’insieme di queste lotte si estese almeno fino al 287 avanti Cristo.
    La creazione del Porto di Claudio e di Traiano, allontanò dall’Aventino molte abitazioni popolari che vennero rimpiazzate sempre più da residenze signorili e da impianti termali. Così durante l’epoca imperiale, sorsero sull’Aventino le case di grandi personaggi, si pensa che vi sorgesse anche la domus privata di Traiano, e un numero sempre maggiore di templi.
    Il Cristianesimo trovò su questo colle, nella Casa di Aquila e Prisca, ricordate da san Paolo, uno dei primi luoghi di riunione e gradualmente sostituì agli antichi templi della nuova fede. Accanto ad essi si ebbero importanti insediamenti monastici, dai quali partirono missionari per il Nord e per l’Est dell’Europa. Verso l’Anno Mille, il colle – dal quale si poteva controllare il movimento mercantile che si svolgeva sul Tevere nel fronteggiante approdo di Ripa Grande – divenne una roccaforte in funzione delle lotte imperiali e cittadine. Esso rimase un centro di forza della famiglia dei Savelli fino al secolo XIII, quando l’Aventino venne abbandonato al salmodiare dei conventi, fino all’epoca attuale.

    Basilica di Santa Sabina – Interno.

    La solitudine dell’Aventino – che si è parzialmente serbata fino ad oggi, custodita dal carattere puramente residenziale dell’insediamento edilizio che vi è sorto a partire dal primo dopoguerra – viene sottolineata in un passo del diario romano del Gregorovius, nel 1872, quando afferma, dopo una visita al luogo: “si deve prendere commiato da queste calme colline; la loro solitudine e il loro magico incanto verranno fra poco distrutti. Vogliono ricoprirle di edifici…”. Lo stesso Gregorovius afferma in un altro passo di aver avuto la fortuna di poter lavorare e studiare a Roma durante gli ultimi lustri della vita antica della città, godendo di un silenzio che era stato un fattore determinante del successo delle sue ricerche archivistiche sul medioevo.
    La basilica di Santa Sabina è un perfetto esempio di basilica del V secolo, e quindi venerabile e ammirevole modello della primitiva e pura concezione di tempio cristiano, la chiesa venne costruita dal prete Pietro d’Illiria – durante il pontificato di Celestino I – forse sulla casa di una matrona Sabina, confusa in seguito con l’omonima santa umbra.
    Vennero utilizzate 24 colonne di marmo ancirano del Tempio di Giunone Regina, che sorgeva nei pressi. Nel secolo IX vi furono aggiunte parti marmoree, parzialmente ancora esistenti: la schola cantorum, ricostruita ricomponendo gli antichi frammenti, gli amboni, l’iconostasi, la cattedra episcopale e il sedile marmoreo da Antonio Munoz agli inizi del 1900. Finalmente, nel 1222, papa Onorio III, che risiedeva nell’attiguo palazzo Savelli, concesse la chiesa al proprio maestro di palazzo, San Domenico di Guzman, all’atto di approvargli la regola del nuovo ordine domenicano. Ancora di quell’epoca sono il chiostro e il campanile, rimasto troncato verso la metà del Seicento.

    Gesù, gli Apostoli e i Santi sepolti nella basilica – Taddeo Zuccari.

    Domenico Fontana, nel 1587, trasformò l’aspetto interno della chiesa, facendole assumere una fastosa foggia manieristico – barocca.
    Dopo la soppressione dei monasteri, successiva al 1870, seguì un periodo d’abbandono, durante il quale la chiesa e l’intero convento vennero utilizzati anche come lazzaretto comunale. Finalmente Antonio Muñoz tentò, con lavori realizzati nel 1919 e nel 1936-38 (quando con lui collaborò anche il domenicano padre Gillet), di recuperare l’aspetto originario della chiesa, con un’operazione sostanzialmente rispettosa e che ha dato notevoli risultati.
    Dall’atrio antistante la chiesa si scorge il famoso albero di arancio amaro che la leggenda vuole piantato verso il 1220 da San Domenico: esso sarebbe la prima pianta di questa specie introdotta in Roma.
    Comunque l’atrio è prezioso per la presenza della celeberrima porta in ingresso, originaria del V secolo e intagliata finemente, oltre che con potenza espressiva, in legno di ciliegio. La porta arriva incompleta perché i pannelli scolpiti, in origine ventotto, sono oggi solo diciotto. Essi sono montati dentro fasce decorative che raffigurano motivi della vite. Di particolare risalto è il pannelletto che riproduce la Crocifissione, considerata la più antica rappresentazione della Crocifissione di Cristo. Solo nel Medioevo si affermerà infatti la rappresentazione del simbolo della crocifissione. Complessivamente ci troviamo di fronte ad uno dei massimi tesori dell’arte paleocristiana, a una delle più dimostrative manifestazioni della potenza creativa della nuova fede.

    Roma, 17 novembre 2017

  4. Articolo

    Non risparmiò né Roma né il popolo

    Marta Sordi

    L’episodio dell’incendio di Roma del 64 dopo Cristo è uno degli episodi che si trova sospeso tra tradizione e storia reale, tra letteratura e pettegolezzo. Pubblichiamo su questo argomento un articolo di Marta Sordi comparso nel 2004 sul mensile 30Giorni. 

    Fatta eccezione per Tacito (Annales XV, 38), che accanto alla versione dell’incendio provocato dolosamente da Nerone (dolo principis) conosce anche la versione di coloro che attribuivano al caso (forte) l’incendio stesso, tutte le fonti antiche lo

    L’incendio di Roma – Robert Hubert.

    attribuiscono con certezza a Nerone, dal contemporaneo Plinio il Vecchio, che è probabilmente alla base della tradizione successiva (Naturalis historia XVII, 1, 5), all’autore senechiano dell’Octavia, a Svetonio (Nero, 38), a Dione (LXII, 16, 18). Scoppiato il 19 luglio del 64, l’incendio durò, secondo Svetonio, sei giorni e sette notti, ma riprese subito, partendo dalle proprietà di Tigellino e alimentando così i sospetti contro l’imperatore, e si protrasse ancora per tre giorni, come risulta da un’iscrizione (CIL VI, 1, 829, che dà la durata di nove giorni).
    I moderni tendono ormai a negare la responsabilità diretta di Nerone nell’incendio: tutte le fonti però sono d’accordo nel dire che furono viste persone che attizzavano l’incendio una volta che questo era iniziato.
    continua…