Il Rione San Saba, detto comunemente “Piccolo Aventino”, costituisce, sin dall’antichità, una sorta di appendice del destino urbanistico del Grande Aventino.
L’Aventino è il colle più meridionale della città e il più vicino al Tevere, con pendici molto scoscese e una sella profonda che da sempre divide le due sommità dette Piccolo e Grande Aventino. Popolatosi in ritardo nella Roma antica, ebbe prima un carattere popolare, poi – a seguito dell’allontanamento del porto, trasferito ai nuovi impianti imperiali oltre Ostia – e servito da un ramo dell’acquedotto, fu ricercato per residenze di lusso. Completamente abbandonato nel Medioevo, restò del tutto ai margini della città, coltivato a vigne, ma senza splendore di ville. Sul Piccolo Aventino l’unico presidio furono i complessi conventuali, cinti da mura come fortilizi: San Saba e Santa Balbina.
Ancora all’inizio del Novecento la chiesa e il monastero di San Saba erano ancora in aperta campagna, ma con il primo piano regolatore approvato dalla giunta Nathan nel 1909 la zona diviene una sorta di quartiere operaio satellite di Testaccio e vi viene edificata, tra il 1907 e il 1914, una città – giardino. Il progetto è di Quadrio Pirani e prevede la realizzazione su dieci lotti di villini bifamiliari con e palazzine alte quattro piani. Il giovane architetto scelse di coprire le facciate esterne dei villini e delle palazzine con piccoli mattoni rossi per poter armonizzare le nuove architetture con quelle del monastero e delle mura. Ancora oggi il quartiere è immerso del verde e in questo verde risultano ancora incastonati il monastero e la chiesa di San Saba.
Probabilmente è proprio l’isolamento anche fisico di cui ha goduto nei secoli il colle che ha favorito l’isolamento conventuale che ancora oggi caratterizza l’atmosfera della piccola chiesa di San Saba e le ha consentito di arrivare ai nostri giorni sostanzialmente ben conservata e ricca di testimonianze.
La tradizione parla di un cenobio in cui sarebbe vissuta Silvia, madre di san Gregorio Magno, la quale avrebbe inviato giornalmente al proprio figlio, residente sul Celio, un magro pasto di verdure, anche se fragranti e da lei stessa raccolte negli orti vicini. La storia e l’archeologia ci accertano della venuta nel VII secolo, in questo posto, di monaci orientali desiderosi di rinnovarvi il loro convento di Gerusalemme, che era stato fondato da san Saba nel secolo V ed era stato distrutto dalla conquista araba. I monaci fondarono altri monasteri a Roma – ad esempio quello alle Tre Fontane – e costituirono qui un oratorio che, nel corso del X secolo, si trasformò nella chiesa attuale. Questa però fu opera dei benedettini che avevano, in quel periodo, sostituito gli orientali. E, nel XII, a rimpiazzare i benedettini arrivarono i cluniacensi. Costoro restaurarono a fondo l’edificio, quasi ricostruendolo, e lo fecero ornare dai marmorari romani. Un altro intervento si ebbe verso il 1463 a cura del cardinale Francesco Piccolomini che fece sopraelevare il portico e costruire la tipica ampia loggia che riveste la facciata. Alla chiesa, che è sul punto più alto del colle e che si annuncia con un protiro del Duecento, si arriva con una breve gradinata che porta a uno spiazzo erboso – certo l’antico atrio – chiuso da muri, dove, in un’atmosfera di grande pace, il tempo si ferma. Il portico a pilastri che precede la chiesa è ricchissimo di sarcofagi antichi e di altro materiale archeologico. Una scaletta in un angolo scende al livello della chiesa primitiva, assai più piccola dell’attuale. Un bel portale del 1205 è opera di Giacomo, padre di quel Cosma che dette nome alla dinastia dei marmorari-mosaicisti cosmateschi. Il campanile, sulla sinistra della facciata, è tozzo ed emerge di poco perché è quel che avanza dopo un crollo di epoca remota. L’interno, ripristinato a seguito degli scavi condotti nel 1909 e delle successive sistemazioni, è a tre navate, divise da quattordici colonne di spoglio assai variate e da archi. La navata centrale, sulla quale si distende un soffitto moderno a capriate in vista, è ricoperta, a modo di tappeto, da un bel lavoro cosmatesco.
Altro lavoro cosmatesco è una parte della schola cantorum ritrovata negli scavi del 1909 firmata dal “magister” Vassalletto, ricomposta sulla parete della navata destra: affascinante per le lucenti riquadrature a mosaico e per la pezzatura di marmi raffinati, quasi un campionario di pietre rare. Sulla sinistra, si trova una cosiddetta “quarta navata” che deve essere in realtà un locale conventuale aggiunto successivamente alla chiesa. Vi sono resti di affreschi del XIII secolo. Altri affreschi della chiesa primitiva si trovano lungo il corridoio che conduce alla sagrestia. L’abside centrale deve aver perduto una decorazione musiva e ha invece una modesta decorazione ad affresco del 1575, anche se conserva una drammatica Crocefissione di un trecentista. Un’Annunciazione del secolo XV si trova sull’arcone dell’abside. Il presbiterio conserva, poi, una cattedra marmorea con un magnifico tondo cosmatesco e un ciborio ricomposto con quattro belle colonne di marmo e una copertura ottagonale a colonnine. Al di sotto è la confessione. Accessibile dal portico esterno è l’antico oratorio con frammenti di pitture dei secoli IX e X.
Roma, 13 ottobre 2018