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  1. Scipione Borghese: il collezionista incontenibile

    Scipione Borghese, il potente cardinale nepote, dopo aver iniziato, quasi in contemporanea, la realizzazione della villa sul Quirinale, oggi proprietà dei Pallavicini, e della villa sul Pincio, oggi nota come Villa Borghese, abbandona la prima vendendola ai Lante per dedicarsi totalmente alla seconda.

    Uccelliere - Villa Borghese

    Uccelliere – Villa Borghese

    Per fare ciò, in un brevissimo arco di tempo acquista proprietà diverse, diventando proprietario di una vastissima area, oggi di quasi 80 ettari, che in parte andrà ad insistere sugli Horti Luculliani. Appunto agli Horti Luculliani e alle altre ville di “otium” romano si ispira, riproponendone in qualche modo le caratteristiche, la grande villa del cardinale.
    La residenza sul Pincio sarà concepita come un’enorme villa di rappresentanza, dedicata esclusivamente al ristoro di mente e corpo, alla meditazione e al piacere, e forse destinata anche all’attuazione della politica di Paolo V e all’esercizio del potere. Soprattutto, però, sarà il luogo privato dove la complessa personalità di Scipione troverà una delle sue più grandi espressioni.
    Nella villa sul Pincio non ci accoglie più lo Scipione Borghese del Casino dell’Aurora, che si presentava ai suoi ospiti come l’Apollo che governa l’alternarsi del giorno con la notte, che proclamava al mondo intero la sua potenza, ma il raffinato e smodato collezionista di opere d’arte antica e moderna, di fiori, di uccelli, di animali “esotici” e di tutto il “collezionabile” che poteva esistere nel Seicento. Scipione sarà in pratica il primo collezionista in senso moderno, lanciando una moda che prenderà presto piede a Roma.

    I Termini - Pietro e Gian Lorenzo Bernini

    I Termini – Pietro e Gian Lorenzo Bernini

    La realizzazione degli spazi sia interni che esterni della villa fu affidata a Flaminio Ponzio, che però morì prima di riuscire a portare a termine la committenza. Della sistemazione del giardino e dei casini fu allora incaricato Giovanni Vasanzio, affiancato però da altri artisti, tra i più richiesti del Seicento, come Bernini.
    Il cardinale Scipione Borghese non fu un committente passivo, ma pose estrema cura nel definire gli spazi interni del casino nobile. Gli arredi, ad esempio, furono scelti in funzione delle opere stesse e del loro posizionamento, e fu il cardinale stesso a decidere, insieme a Bernini, dove posizionare i gruppi marmorei. Analoga cura dedicò alla definizione degli spazi esterni della villa, da subito concepiti come la prosecuzione all’aperto del casino, che respirano insieme al casino medesimo e che hanno una ragione d’essere proprio in virtù delle opere e delle collezioni che all’interno potevano (e possono) essere ammirate.
    E se le forme del casino ancora risentono del Rinascimento nella loro essenzialità, il giardino resta, nonostante le tante trasformazioni subite nei secoli, uno dei migliori esempi romani di giardino barocco, dove ancora si può riconoscere l’organizzazione in recinti e la separazione tra spazi privati e spazi pubblici.
    Tra gli spazi privati che i restauri hanno restituito al visitatore nella loro forma quasi originaria ci sono i “giardini segreti”, vere e proprie stanze verdi il cui accesso era possibile solo dal casino nobile e dove Scipione aveva la sua collezione di bulbacee, di piante da fiore e di agrumi.

    Platano - Villa Borghese

    Platano – Villa Borghese

    La passeggiata è un’occasione per conoscere la villa barocca, scoprire alcuni aspetti che spesso sfuggono all’attenzione pur essendo in realtà molto evidenti: è il caso della cosiddetta Grotta dei Vini o di alcuni dei maestosi platani piantati per volere di Scipione e che oggi hanno perciò più di 400 anni.
    Ma un giardino che attraversi un arco di tempo così lungo non può rimanere uguale a se stesso. Cambiano i gusti e le mode, e percorrerlo diventa l’occasione per raccontare queste trasformazioni, e passeggiare, per così dire, nella storia.
    D’altra parte Villa Borghese è forse uno dei pochi luoghi a Roma dove il passato, in particolare il Seicento e il Settecento, sposa il presente. Accanto al giardino barocco troviamo infatti il giardino neoclassico, ma anche alcune opere d’arte contemporanea come il monumento ad Umberto I, di Davide Calandra, e quello dell’Umile Eroe, probabilmente l’unico monumento mai dedicato ad un mulo, che oggi è collocato proprio davanti alla casa che fu di Pietro Canonica, lo scultore che lo realizzò nel 1940.

    Monumento ad Umberto I - Davide Calandra

    Monumento ad Umberto I – Davide Calandra

    Agli inizi del Novecento, prima che la villa passasse nella disponibilità dello Stato Italiano, alcune sue parti saranno destinate ad usi diversi. Quella che oggi è la casa del cinema, ad esempio, era una vaccheria, dove era possibile acquistare latte, burro o ricotta freschi, prodotti dal latte delle mucche allevate sui terreni della villa stessa.
    Nel 1911 il principe Borghese, inaugurerà, alla presenza delle più alte cariche dello Stato italiano, il primo nucleo di quello che sarà poi l’attuale Bioparco, lo zoo di Roma.

    Roma, 29 aprile 2018.

  2. La rinnovata primavera del Palatino, il colle degli imperatori

    La posizione del Palatino, situato al centro del sistema delle colline che saranno via via occupate dalla città, in prossimità del Tevere, ma più lontano del Campidoglio e dell’Aventino, era la più adatta a un insediamento umano. La sommità centrale, il Palatium, digradava verso il Foro Boario e il Tevere con un pendio, il Germalus, ed era collegata al retrostante Esquilino tramite una sella e la collina della Velia.

    Insediamento Età del Ferro – Palatino.

    La leggenda racconta di un’occupazione del colle da parte di Greci immigrati dall’Arcadia sotto la guida di Evandro e del figlio Pallante, due divinità minori nel pantheon arcadico, e questa tradizione trova la sua conferma nelle scoperte archeologiche che hanno documentato la presenza di commercianti greci nel Foro Boario relativa all’epoca della colonizzazione greca dell’Italia Meridionale.
    Ma esiste anche la tradizione ancora più antica che vuole la fondazione di Roma a opera di Romolo, che viene data intorno alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo, nel 754 avanti Cristo secondo lo storico Varrone vissuto tra l’età di Cesare e quella di Augusto. La Casa Romuli era identificata, già in antico, in una capanna, continuamente ricostruita e restaurata, situata nell’angolo Sud – Ovest della collina – lo stesso occupato più tardi dalla Casa di Augusto – dove sono stati scavati resti di capanne dell’età del Ferro, scoperta che sembra quindi confermare la tradizione.
    Sul Palatino sono attestate tradizioni religiose antichissime quali quella della dea Pales, il cui nome potrebbe essere collegato etimologicamente a Palatium. La festa della divinità, dette Palilia o Parilia cadeva il 21 aprile, che gli storici antichi considerano giorno della fondazione della città. Anche la festa legata alla lupa, i Lupercalia, animale sacro della città, aveva luogo sul Palatino. La grotta – santuario della lupa era collocata ai piedi del Palatino, verso il Tevere; da essa i sacerdoti – lupi, vestiti di pelli caprine, muovevano per fare il giro della collina, per purificarla ritualmente, frustando quanti venivano loro a tiro, specialmente le donne. Il rito assumeva così valore esplicito di cerimonia della fecondità. Il Lupercale e riti connessi vennero più tardi collegati con la leggenda dei mitici gemelli allattati dalla lupa.

    Resti del Palatium – Palatino.

    I culti di Apollo e di Vesta furono invece fondati da Augusto nell’ambito stesso della sua casa. Grazie agli scavi realizzati tra il 1865 e il 1870, è ormai accertato che il tempio di Apollo fu iniziato da Augusto nel 36 avanti Cristo, subito dopo la battaglia di Nauloco contro Sesto Pompeo, e terminato nel 28 avanti Cristo dopo Azio. Il tempio era compreso nella parte pubblica della Casa di Augusto, con il quale era intimamente collegato. La Repubblica segnò soprattutto la trasformazione della collina in un quartiere residenziale della classe dirigente romana. Tra coloro che vi abitarono, Tiberio Sempronio Gracco, padre dei famosi tribuni, il celebre oratore Lucio Licinio Crasso, Cicerone e suo fratello Quinto e Tiberio Claudio Nerone, padre dell’imperatore Tiberio.
    L’episodio fondamentale della storia del Palatino è che Augusto, che vi era nato, scelse di abitarvi, in un primo tempo nella casa di Ortensio, che fu poi da lui ampliata con l’acquisto di altre abitazioni. Di conseguenza, gli altri imperatori elessero anch’essi a loro dimora il Palatino, sul quale furono costruiti i palazzi di Tiberio, ampliato da Caligola, di Nerone, la Domus Aurea che si estendeva fin qui, dei Flavi, la cosiddetta Domus Flavia e la Domus Augustana, di Settimio Severo.
    Alla fine dell’età imperiale la collina era occupata da un unico immenso edificio, che nel suo insieme costituiva l’abitazione degli imperatori. Il nome di Palatium, Palatino, passò così a indicare il palazzo per eccellenza, quello dell’imperatore, e successivamente diventò un nome comune, diffuso in tutte le lingue europee.

    Ricostruzione del Palatino.

    In questo modo, nella sontuosità dei palazzi imperiali, si creò il simbolo stesso del potere: per mille anni ogni idea di dominio universale s’incardinò alla residenza su questo colle, dove, infatti, si succedettero i monarchi Goti, gli esarchi di Bisanzio e i protagonisti del rinnovato Impero, detto Sacro e Romano, da Carlo Magno fino a Ottone III.
    All’avvento del nuovo millennio il destino del colle mutò, e qui s’insediarono, fra le rovine e i campi destinati all’allevamento, chiese, conventi e fortezze di baroni in lotta. Nel 1542 il cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, acquistò una serie di appezzamenti di terreno che occupavano le falde del Palatino, dal Foro alla cima del colle, fino a lambire il Circo Massimo. Quindi Alessandro incaricò il Vignola di disegnare e realizzare maestosi giardini che, oltre ad inglobare le rovine del Palazzo Imperiale, avrebbero ospitato piante non solo tipiche della macchia mediterranea, ma anche quelle provenienti dalle lontane Americhe, quali l’agave, la yucca, la mimosa, la passiflora e l’acacia. In molti casi queste piante venivano portate in Italia per la prima volta in questa occasione. Ma questi giardini avevano anche una parte destinata a vero e proprio orto dove per la prima volta vennero coltivati pomodori, peperoni, peperoncini e frutti come il fico d’India.
    Giardini di Alessandro Farnese avevano diversi scopi: far rivivere, anche dal nome Horti Palatini Farnesiorum, i fasti e il ruolo dei grandi Horti delle magnifiche domus della Roma classica che ricoprivano il Pincio o l’Esquilino e affermare la raggiunta e consolidata posizione politica e istituzionale della famiglia Farnese, e che, proprio per questo motivo, venivano a sorgere lì dove aveva avuto sede il potere da Augusto in poi.

    Horti Farnesiani – Charles Percier (1786-1790).

    D’altronde l’area dove Alessandro Farnese decise di far sorgere gli Horti era sempre stata un’area verde poiché la terrazza della Domus Tiberiana era stata un giardino pensile già al tempo degli imperatori della dinastia julio – claudia. Questa tradizione fu mantenuta anche successivamente visto che anche i Flavi e gli Antonini ebbero lì i loro giardini, sia per mantenere una sorta di unità di stile e di continuità architettonica, ma anche perché i giardini e i boschi avevano, per la cultura romana, una propria intrinseca sacralità che aveva, in questo caso, il ruolo di aumentare la sacralità dell’imperatore e in qualche modo ne legittimava l’autorità.
    La realizzazione degli Horti Farnesiani coprì un arco di tempo molto lungo e dopo il Vignola altri furono gli architetti che vi lavorarono come Giacomo del Duca e Girolamo Rainaldi.
    Gli Horti Farnesiani furono dotati d’ingresso monumentale, decorato da un portale disegnato e realizzato dallo stesso Vignola, aprirono la strada alla consuetudine delle più importanti, ricche e nobili famiglie romane, di dare vita a ville con suntuosi giardini. Poco dopo sarebbe stata la volta della Villa Mattei, oggi Celimontana, quindi a Villa Medici, a villa Borghese, villa Ludovisi, villa Pamphilji, Villa Giulia e via di seguito fino all’Ottocento, in una gara continua tra collezionismo e sfarzo.

    Portale d’ingresso – Horti Farnesiani – Vignola.

    Per due secoli gli Horti Farnesiani furono proprietà della famiglia Farnese che continuò a modificarli e ad adattarli alle mode e alle esigenze dei vari tempi tanto che nel 1718 essi verranno trasformati in “Reale Azienda Agricola. Nel 1861 gli Horti furono acquistati da Napoleone III per avviare delle campagne di scavo condotte da Pietro Rosa. Nel 1870 i giardini furono acquistati dal Governo Italiano e il direttore degli scavi divenne Rodolfo Lanciani, a cui seguirà Giacomo Boni che si occupò, all’inizio del Novecento, del primo tentativo di restauro e reintegro dei giardini.
    Grazie ad un accurato restauro iniziato nel 2013 e la cui prima fase termina proprio ora, aprile del 2018, viene data nuova vita agli Horti Farnesiani e si consente la visita, per la prima volta dopo più di 30 anni, alle Uccelliere, lì dove Alessandro raccolse ed espose la sua collezione di uccelli esotici e al Ninfeo della Pioggia che si mostra con il suo recuperato gioco d’acqua e le vasche sovrapposte.
    Arricchisce il nuovo percorso di visita, ma solo fino al 28 ottobre, una mostra dal titolo “Il Palatino e il suo giardino segreto. Nel fascino degli Horti Farnesiani” che ha lo scopo di illustrare al visitatore proprio le trasformazioni a cui sono andati in contro, nel tempo, gli Horti.

    Uccelliera e Ninfeo – Horti Farnesiani.

    Completano la mostra un prestito eccezionale del Museo Archeologico di Napoli: le due statue in marmo policromo del Barbaro inginocchiato e dell’Iside Fortuna, che avevano qui la loro collocazione originaria.
    Nel Ninfeo della Pioggia sono invece collocate due giganteschi busti di Daci imprigionati che fino al Seicento facevano parte del criptoportico del ninfeo stesso e al suo interno viene realizzato un percorso multimediale che consente di comprendere come fossero gli Horti nel momento in cui essi furono realizzati.

    Roma, 28 aprile 2018

  3. Il martirio di Paolo di Tarso alle Acque Savie e l’abbazia delle Tre Fontane

    Per quanto possa sembrare sorprendente, nel Nuovo Testamento non c’è traccia di alcuna notizia che riguardi la sorte dell’apostolo Paolo. Sebbene Luca, l’estensore del testo degli Atti degli Apostoli, sia molto attento a ciò che accade e a tutti gli

    Martirio di San Paolo – Algardi – Bologna.

    spostamenti e agli scambi dell’Apostolo delle Genti, egli scrive, verso la fine del libro, che Paolo è detenuto si a Roma, in regime di custodia militaris, ma che sia libero di predicare: “Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento” (At 28,30-31).
    A tutt’oggi non sono noti i motivi per i quali Luca non riferisca nulla circa la sorte di Paolo.
    La prima notizia relativa alla morte dell’apostolo si può trovare in uno scritto della metà degli anni 90 dopo Cristo, quindi circa trent’anni dopo la sua morte, quando sul soglio pontificio sedeva Clemente I. Quest’ultimo scrive una lettera indirizzata ai Cristiani di Corinto e vi afferma che Paolo “per la gelosia e la discordia, dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo […] sostenne il martirio davanti ai governanti” (1Clem 5,2).
    Anche lo storico Eusebio di Cesarea, vissuto tra il 265 e il 340 dopo Cristo, parla della morte di Paolo e la riferisce al regno di Nerone: “Durante il regno di Nerone, Paolo fu decapitato proprio a Roma e Pietro vi fu crocefisso. Il racconto è confermato dal nome di Pietro e di Paolo, che è ancor oggi conservato sui loro sepolcri in questa città”. (Hist. eccl., 2,25,5).
    Negli Atti di Pietro e Paolo, un testo apocrifo compilato in greco tra il V e il VII secolo, l’episodio della decollazione di Paolo è riportato con gran dettaglio: “Pietro e Paolo, ricevuta la sentenza, furono tolti dal cospetto di Nerone […] Paolo fu condotto incatenato sul luogo a tre miglia dalla città, sotto la scorta di tre soldati di famiglia nobile. Usciti dalla porta per lo spazio di un tiro di freccia, si fece loro incontro una pia signora, la quale vedendo Paolo in catene, si sentì commuovere e scoppiò in lacrime. La donna si chiamava Perpetua e aveva un occhio solo […] Paolo, scorgendola piangere, le disse: “Dammi il tuo sudario; quando ritornerò te lo restituirò”. Quella lo prese e glielo diede prontamente. I soldati però le dissero: “Donna, perché vuoi perdere il tu sudario? Non sai che va alla decapitazione?”

    Martirio di San Paolo – Mattia Preti.

    Perpetua rispose loro: “Vi scongiuro, per la salvezza dell’imperatore! Legate i suoi occhi con questo sudario, quando lo decapiterete”. Il che si fece. Lo decapitarono presso il fondo delle Acque Salvie, vicino all’albero di pino. Come Dio volle, prima che i soldati facessero ritorno fu restituito a quella donna il sudario intriso di gocce di sangue. Appena lo portò, sull’istante, l’occhio cieco si aprì […] Gli illustri, santi apostoli Pietro e Paolo si spensero il 29 giugno in Cristo Gesù, Signore nostro, al quale appartengono la gloria e il potere”.
    Sempre negli Atti di Pietro e Paolo è riportato un episodio avvenuto nel corso della decollazione dell’apostolo che entra nella tradizione dei luoghi e permane nel tempo: “In piedi, rivolto verso Oriente, Paolo pregò a lungo. Dopo aver protratta la preghiera intrattenendosi in ebraico con i padri, tese il collo senza proferire parola. Quando il carnefice gli spiccò la testa, sugli abiti del soldato sprizzò del latte. Il soldato e tutti i presenti, a questa vista, rimasero stupiti e glorificarono Dio che aveva concesso a Paolo tanta gloria; e al ritorno annunziarono a Cesare [ovvero Nerone] quanto era accaduto. Anch’egli ne rimase stupito e imbarazzato”.
    In accordo con quanto narrato nei testi apocrifi, la tradizione riporta che quando la testa di Paolo, spiccata a seguito del colpo di spada, rotolò a terra rimbalzando tre volte, nei tre punti in cui essa toccò il suolo, si formarono tre fontane da cui usciva acqua, a temperature diverse e di sapori diversi, e che una di queste dava latte. Sulle tre fontane che zampillarono fu costruita la chiesa dedicata proprio a San Paolo all’interno della quale esse furono per sempre conservate.
    Da questo momento il luogo indicato con il nome di Acque Salvie, la cui etimologia non è ancora oggi stata chiarita, e caratterizzato appunto dalla presenza di sorgenti e corsi d’acqua, tra cui il fosso delle Acque Salvie, sarà indicato pure con il nome di Tre Fontane.

    Il tratto di strada che si dice Paolo di Tarso abbia percorso per andare al martirio.

    Oltre alla ricchezza delle acque e alla presenza delle sorgenti non ci sono altri dati che consentano di collocare proprio alle Acque Salvie il luogo del martirio di Paolo, a meno che non si voglia considerare una prova la debole indicazione avuta nel 1878 quando, nel corso di alcuni scavi, in prossimità della chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, furono ritrovate molte pigne fossilizzate, tre ciocchi di pino e una certa quantità di monete antiche risalenti per la maggior parte all’epoca di Nerone.
    La tradizione vuole poi che il corpo di Paolo dalle Acque Salvie sia stato trasportato alla Necropoli Ostiense, dove trovò sepoltura nel podere di proprietà di una matrona romana di nome Lucina, sulla cui casa in città oggi sorge la chiesa di San Lorenzo in Lucina. Già alla metà del II secolo il luogo in cui era stato sepolto Paolo era luogo di culto, segnalato ai fedeli da un piccolo monumento. Anche il luogo della sepoltura di Pietro era stato così semplicemente segnalato ai fedeli. Successivamente sui due sepolcri, importanti per la comunità cristiana, sarebbero sorte le due basiliche di San Paolo Fuori Le Mura e di San Pietro.
    Analogamente non è nota la data esatta del martirio di Paolo, come già quella del martirio di Pietro. La data del 29 giugno, indicata, come si è visto, nei testi apocrifi, fu scelta, probabilmente, perché il 29 giugno 258, sotto l’imperatore Valeriano, che regnò dal 253 dopo Cristo al 260, le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano, e solo quasi un secolo dopo papa Silvestro I fece riportare le reliquie dei due Apostoli nel luogo della prima sepoltura.
    Anche sulla data alla quale sarebbe avvenuta la decapitazione di Paolo non c’è accordo. Secondo alcuni la morte è da far risalire si al regno di Nerone, ma al 64 quindi all’epoca delle persecuzioni dei cristiani seguite al grande incendio della città. Secondo altri la data sarebbe quella del 67, come sostengono Eusebio da Cesarea e San Girolamo, secondo altri ancora la morte andrebbe collocata tra il 56 e il 58 dopo Cristo.

    Donazione di Carlo Magno – Arco di Trionfo – Abbazia delle Tre Fontane.

    Le prime notizie relative a un insediamento religioso stabile in località Acque Salvie si possono ricavare da una guida per pellegrini, del VII secolo, intitolata “De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae”, “I luoghi santi dei martiri che sono fuori la città di Roma”, in cui si consiglia ai fedeli, che hanno raggiunto la Basilica di San Paolo Fuori Le Mura, di proseguire di poco verso sud, recarsi alle Acque Salvie e visitare così il luogo del martirio di Paolo. Nel medesimo testo si aggiunge che lì avrebbero trovato un monastero e un’importante reliquia: la testa di Sant’Anastasio. Le fonti raccontano che la reliquia di Sant’Anastasio fu portata a Roma durante il regno dell’imperatore Eraclio I intono al 640. Essa era veneratissima e molto presto iniziarono a verificarsi nei suoi pressi numerosi miracoli.
    Dagli Atti del I Concilio Lateranense, svoltosi nel 649 a Roma, invece, si apprende che il monastero delle Acque Salvie era abitato da monaci che provenivano dalla Cilicia. La capitale della Cilicia era Tarso, la città di provenienza di Paolo. E’ possibile che questi monaci siano giunti a Roma nella prima metà del VII secolo e si siano rifugiati nei luoghi del martirio di Paolo per sfuggire in Oriente all’accusa di eresia. Essi si opponevano infatti all’idea che Cristo avesse solo natura divina.
    Da queste indicazioni si evince che il monastero delle Acque Salvie era già sorto nella prima metà del VII secolo, il che vorrebbe dire che esso, insieme all’abbazia che poi lo sostituirà hanno una vita e una storia lunghissime, di quasi 1500 anni, durante i quali i suoi abitanti saranno testimoni d’innumerevoli eventi storici.
    Lungo tutto questo tempo la comunità dei monaci vivrà fasi di grande espansione e di profonda decadenza. Una delle fasi di espansione più importanti è quella che interessa il monastero nel IX secolo quando l’imperatore Carlo Magno donò ai monaci vasti possedimenti in Maremma. L’episodio è così importante che molti secoli dopo, quando al monastero arrivano i Cistercensi esso fu ricordato negli affreschi dell’arco che fa da ingresso all’abbazia.

    Abbazia delle Tre Fontane – Giuseppe Vasi.

    Il monastero vivrà a lungo come realtà indipendente e di rito greco fino a quando, intorno all’Anno Mille si venne a trovare in uno stato di decadenza e abbandono tali che papa Gregorio VII lo pose sotto il controllo dei Benedettini della basilica di San Paolo Fuori Le Mura. L’arrivo dei Benedettini trasformerà profondamente la realtà e il rito greco scomparirà sostituito dal rito latino.
    Ma anche i Benedettini non saranno destinati a rimanere a lungo poiché nel 1130, con la morte di papa Onorio II, si aprirà un periodo di scisma per la chiesa. Il 14 febbraio 1130 furono eletti contemporaneamente due papi Innocenzo II, che non ebbe l’acclamazione del clero e del popolo, e Anacleto II che invece la ottenne. Innocenzo fu perciò costretto a riparare in Francia dove conobbe Bernardo da Clairvaux che decise di appoggiare il suo ritorno a Roma. Sulla figura di Innocento II, grazie all’azione di Bernardo, converse l’alleanza tra Germania, Inghilterra e Spagna che si oppose ai Normanni, che governavano nell’Italia meridionale e appoggiavano Anacleto II. Si scatenò una guerra tra i due fronti che si concluse solo con l’improvvisa morte di Anacleto e il ritorno a Roma di Innocenzo II. Questi seppe farsi apprezzare dal popolo e dal clero, e per mostrare la sua riconoscenza a Bernardo di Clairvaux, e punire i Benedettini che avevano appoggiato Anacleto II, regalò ai Cistercensi il monastero delle Acque Salvie.
    Nel 1139 arrivarono quindi al monastero i monaci inizialmente destinati all’abazia di Farfa e per consentire a essi di abitarvi Innocenzo II si fece carico anche del suo restauro, compiendo un gesto completamente contrario alla prassi dei Cistercensi.

    Abbazia delle Tre Fontane agli inizi del novecento. Si ringrazia Roma Sparita.

    Questi ultimi, infatti, avrebbero dovuto, seguendo la regola, edificare in proprio l’abbazia, poiché l’ordine aveva delle precise regole architettoniche secondo le quali dovevano essere distribuiti i diversi ambienti.
    L’abbazia delle Tre Fontane è quindi l’unica abbazia cistercense non edificata dagli stessi monaci. Questi ultimi però lavorarono alla lenta e costante trasformazione degli edifici per ricondurre gli ambienti alle loro necessità. Come conseguenza di ciò la consacrazione della chiesa abbaziale avvenne nel 1221, quando sul soglio pontificio c’era Onorio III.
    Con l’arrivo dei Cistercensi il monastero si trasformò in abbazia e conobbe un periodo di straordinario splendore e grande importanza tanto che il primo abate salì sul soglio pontificio con il nome di Eugenio III.
    Nel 1294 arrivarono all’abbazia delle Acque Salvie le reliquie di San Vincenzo e i Cistercensi ottennero di festeggiare questo santo insieme a Sant’Anastasio il 22 gennaio e la concessione dell’indulgenza a chi visitava l’abbazia in questa occasione, nella ricorrenza di San Poalo e della Vergine.
    Quando la corte pontificia si trasferì da Roma ad Avignone, tra il 1309 e il 1377, iniziò per l’abbazia un periodo di decadenza, che corrispose anche a un periodo di crisi per tutto l’ordine cistercense. Tra alti e bassi la comunità dei monaci sopravvisse a molteplici difficoltà e conobbe altri momenti di splendore, anche artistico, come accade nel Seicento quando Alessandro Farnese e Pietro Aldobrandini si occuparono dell’abbazia e vi portarono a lavorare personalità come Giacomo della Porta.
    Nel 1868, dopo un breve passaggio dell’abbazia ai Francescani, nel monastero delle Acque Salvie tornano i Cistercensi. Un piccolo gruppo di frati Trappisti, provenienti dalla Germania che si trovavano a Roma di passaggio, fu, infatti, inviato lì dal papa. Al loro arrivo i monaci trovarono una situazione davvero disastrosa che trova riscontro in una precisa cronaca redatta da uno di essi: “Trovammo tutto in uno stato deplorevole. Nella basilica dei santi Vincenzo e Anastasio i buoi trovavano erba sufficiente per pascolare e vi passavano la notte. Nelle pareti esterne, i muri e alcuni edifici erano coperti da tre a sei piedi di macerie. […] I muri producevano un’umidità a guisa di stagni velenosi e questa umidità a sua volta favoriva sciami di moscerini e di altri insetti noiosi in modo che il mal capitato visitatore a mala pena si poteva schernire”.

    Colonia penale alla Tenuta dell’Abbazia delle Tre Fontane.

    I nuovi abitanti del monastero ebbero subito a misurarsi con un grave problema: la malaria. I monaci stabilirono quindi che tra le priorità c’era la bonifica delle terre e degli ambienti e misero subito mano alla costruzione di un canale per drenare le acque. Tra le varie strategie utilizzate per debellare il morbo ci fu la piantagione di eucalipti, una pianta che essendo molto bisognosa di acqua aiutò certamente la riduzione del tasso di umidità ma non ebbe un grande effetto sulla presenza delle zanzare.
    I monaci ebbero ragione degli insetti solo agli inizi del Novecento come risultato di tre azioni combinate: il drenaggio delle acque, l’uso di anti malarici chimici e la posa in opera di zanzariere alle finestre dei locali del monastero.
    Una volta debellato il morbo i Trappisti che avevano nella loro regola l’obbligo di lavorare la terra riuscirono a dare vita a una azienda agricola che permetteva loro di trarre il necessario per se stessi e anche per l’ampia comunità che si era costituita intorno all’abbazia, e che era composta di una colonia penale di condannati ai lavori forzati e di operai.
    Sui 485 ettari della tenuta si coltivavano cereali, ortaggi e frutta, si allevavano cavalli, buoi e vacche da latte, oltre che conigli e galline.

    Abbazia e quartiere E42. Si ringrazia Roma Sparita.

    La prima guerra mondiale fu un momento di arresto di tutte le attività perché tutti gli uomini abili erano stati inviati al fronte, ma queste ripresero alla fine della guerra anche se l’estensione della tenuta si ridusse sia per problemi dovuti alla difficoltà di riprendere i lavori sia perché nel 1930 furono effettuati espropri da parte del governo per acquisire terreni per la costruzione del nuovo quartiere E42/EUR.
    Gli espropri interessarono gli appezzamenti destinati a pascolo e la produzione di latte venne particolarmente colpita. Poiché il quartiere E42 non fu mai completamente realizzato su parte dei terreni espropriati ai Trappisti nel 1953 vennero collocate delle giostre che costituirono il primo nucleo del Luna Park dell’EUR, mentre sulla restante parte, in occasione delle Olimpiadi del 1960 furono realizzati gli impianti sportivi delle Tre Fontane.
    Oggi dell’antica tenuta ai margini dell’abbazia è un vasto oliveto, un piccolo orto a uso della comunità religiosa, il frantoio e la fabbrica di liquori.

    Roma, marzo 2018

  4. Frammenti di tardo barocco a Roma: Santa Maria Maddalena e non solo

    Attraversando velocemente la Via del Corso, che la Roma post unitaria e giovane capitale trasforma profondamente, e svoltando in una via laterale quasi nascosta da tanta gente che aspetta l’autobus, si raggiunge la Piazza dei Burrò, che si apre proprio davanti alla chiesa barocca di Sant’Ignazio.

    Piazza Sant’Ignazio – Roma

    I cinque palazzetti realizzati da Filippo Raguzzini sono una di quelle rarissime testimonianze che Roma ha avuto il suo momento tardo barocco, quando non decisamente Rococò.
    Certo il tardo barocco a Roma è vera rarità, confinato com’è a pochissimi esempi per altro molto composti e mai davvero eccessivi. Di fatto la città passa quasi direttamente e impercettibilmente dal barocco al neoclassico per precisa scelta urbanistica sulla quale furono determinanti le convinzioni architettoniche di Giovan Battista Piranesi e del Cardinale Giovanni Rezzonico nonché di suo zio Clemente XIII.
    La piazza dialoga da pari con la chiesa sede di uno degli effetti scenografici più incredibili che la storia dell’arte e dell’architettura ci abbiano consegnato. E lì dove Andrea del Pozzo inganna tutti lasciando immaginare una cupola che non c’è, Raguzzini nella piazza spinge al massimo il gioco dell’apparire facendo di essa un teatro dove chiunque passa diventa l’attore di uno spettacolo personale e continuamente mutevole, giochi prospettici e cupole comprese.
    Ma quello che può essere a giusta ragione considerato il monumento rococò per eccellenza di Roma è senza dubbio la chiesa di Santa Maria Maddalena.

    Cantoria – Santa Maria Maddalena – Roma

    Il gioco teatrale della luce inizia già in facciata, una complessa rielaborazione del primo settecento della facciata dell’Oratorio dei Filippini di Borromini, realizzata da Giuseppe Sardi. Le linee continuamente spezzate, statue e arricci, finestroni, l’asimmetria esasperata, tutto contribuisce a che al cambiar della luce cambi pure l’immagine della facciata, che questa sembri continuamente in movimento.
    La cosa non piacque. Venne considerato disdicevole che si potesse giocare così con gli elementi architettonici di una facciata di una chiesa, sede per altro di un prestigioso ospedale, fortemente voluto da Camillo de Lellis. La facciata venne così etichettata come “pan di zucchero”, ovvero le fu dato il nome delle decorazioni di zucchero che si mettevano sopra le torte, una tradizione che aveva preso piede proprio nel Settecento quando, per la prima volta, comparve sulle tavole dei nobili il Pan di Spagna.
    E’ solo nel 1586 che Camillo de Lellis riesce ad ottenere dal papa l’assegnazione di una cappella con relativo ospedale che sorgeva in questa posizione, mentre la “compagnia di uomini da bene” ottiene l’approvazione di Sisto V. L’Ordine, invece, nascerà nel 1591.
    “Stando dunque egli una sera nel mezzo dell’Hospitale pensando a suddetti patimenti de’ poveri, gli venne il seguente pensiero: ch’a tali inconvenienti non si poteva meglio rimediare, che con istituire una Congregazione d’uomini pii e da bene, i quali avessero per istituto d’aiutare, e servire a detti poveri, non per mercede ma volontariamente, e per amor d’Iddio, con quella carità et amorevolezza, che sogliono far le madri a lor proprii figlioli infermi”.

    Cupola – Santa Maria Maddalena – Roma

    È il manifesto di Camillo de Lellis, apostolo della carità in favore dei malati. In particolare dei più poveri. Una delle figure che, insieme con Filippo Neri e Ignazio di Loyola, hanno giganteggiato in santità nella Roma tra il XVI e il XVII secolo.
    Il proposito di dedicarsi anima e corpo ai malati s’insinua nella mente di Camillo de Lellis “intorno alla festa dell’Assunta nel 1582”. Prima di quella data, la sua vita era stata irregolare e randagia; di nobilissima famiglia, nato a Bucchianico, nelle vicinanze di Chieti, il 25 maggio 1550, fu soldato di ventura. Persi i suoi averi al gioco, si mise al servizio dei Cappuccini di Manfredonia. Ma, ben presto, per curare una piaga ad un piede che non accennava a guarire, fu costretto a trasferirsi a Roma nell’Ospedale di San Giacomo degli Incurabili, dove divenne maestro di casa, ossia responsabile dell’organizzazione, e cercò di migliorare la condizione degradata e sconsolante in cui giacevano i malati. Decise così di cambiare radicalmente vita e di consacrarsi, riprese gli studi abbandonati al Collegio Romano e, divenuto sacerdote nel 1584, fondò, insieme a un piccolo gruppo di amici fidati e generosi, la Compagnia dei Servi degli Infermi, riconosciuta come Ordine proprio nel 1591, con l’approvazione di papa Gregorio XIV. Compagnia che successivamente si sarebbe trasformata in Ordine dei Ministri degli Infermi, detti anche Camilliani.

    Cantoria (particolare) – Santa Maria Maddalena – Roma

    Il servizio nell’assistenza sanitaria, inteso da Camillo come servizio completo, di ordine materiale e spirituale, fu la vocazione del santo e fu il compito che egli affidò all’Istituto da lui fondato e diretto. L’impulso di Camillo a una carità “eroica” si espresse all’interno degli ospedali, come pure nel soccorso durante le epidemie collettive e nell’assistenza ai feriti di guerra. Le caratteristiche dell’opera svolta dai Camilliani sarà la base sulla quale verranno costruite le figure assistenziali ospedaliere, gli infermieri e i cappellani, così come oggi li conosciamo.
    De Lellis morì a Roma il 14 luglio 1614 e fu canonizzato nel 1746. Le sue spoglie da sempre sono conservate nella Chiesa di Santa Maria Maddalena inizialmente raccolte in un’urna realizzata dalla bottega orafa di Luigi Valadier, oggi trovano casa in una nuova urna realizzata da Alessandro Romano.

    Le Ragazze di Piazza di Spagna (Lucia Bosè, Cosetta Greco e Liliana Bonfatti) mentre scendono la Scalinata di Trinità de’ Monti.

    A dispetto di molti dei frammenti tardo barocchi della città che si nascondono alla vista e passano inosservati, la Scalinata di Trinità de’ Monti è invece uno dei luoghi simbolo di Roma. La sua gestazione fu lunga e si rese effettivamente necessaria quando fu sistemato il Porto di Ripetta oggi andato distrutto per la costruzione dei muraglioni. Fu così che la zona di piazza di Spagna e di via Margutta cominciò ad avere un traffico commerciale molto inteso che richiese la creazione di un comodo e soprattutto sicuro collegamento con i Monti. La via impervia, alberata, pericolosa e popolarissima, che collegava i Monti al Tevere, sfociava in una piazza in terra che davvero pareva una spiaggia su cui la barca del Bernini padre aveva finito con l’arenarsi. La trasformazione fu radicale. La piazza divenne una delle più eleganti della città e soggiorno d’intellettuali e uomini di cultura provenienti da tutto il mondo.

    Roma, 11 novembre 2017.