Trinità dei Monti, enclave francese nel Campo Marzio, vide l’inizio dei lavori nel
1502 per volere di Luigi XII re di Francia. Questi poi si protrassero per tutto il XVI secolo e compresero anche una sosta di circa sessanta anni, tra il 1527 e il 1587 a causa dei danni e dei problemi economici successivi al Sacco di Roma del 1527. La chiesa, in stile gotico, costruita con pietre provenienti da Narbonne, fu poi consacrata nel 1585 da Sisto V.
A causa della costruzione della strada Felice, voluta da Sisto V ovvero Felice Peretti costruttore anche del primo acquedotto di Roma dopo i danni fatti dai barbari e l’interruzione di tutti gli acquedotti, che collegò il Pincio con la basilica di Santa Maria Maggiore, l’ingresso della chiesa si ritrovò più in alto rispetto al piano stradale e per questo motivo Domenico Fontana progettò e realizzò la scalinata a doppia rampa. I pilastri di questa scala sono decorati con i tre monti che compaiono nello stemma della famiglia Peretti, mentre, sopra a due capitelli risalenti al XVII secolo, due erme con bassorilievi raffigurano San Luigi, il santo onomastico di Luigi XII.
La chiesa resta a lungo anche separata dalla sottostante piazza di Spagna. Per tutto il 1600 e il 1700 infatti la piazza di Spagna, molto diversa dall’attuale, in terra battuta e con la barca di Bernini scenograficamente arenatasi dall’ultima inondazione del Tevere, e il colle sono due realtà scollegate tra loro. A quel tempo, per andare da un punto all’altro, era utilizzata una coppia di scale alberate molto ripide. La piazza e il colle, così separate, per più di duecento anni sono luoghi in cui due nazioni, Francia e Spagna, si misurano non con le armi, ma organizzando feste e gareggiando in sfarzosità.
Le cronache riportano che la scenografia più stupefacente fu quella realizzata da Gian Lorenzo Bernini nel 1662 per la festa per la nascita del Delfino di Francia, figlio di Luigi XIV e di Maria Teresa di Spagna, di cui restano incisioni e descrizioni.
In questa occasione piazza di Spagna venne completamente trasformata da una costruzione effimera che ricopriva la facciata della chiesa di Trinità dei Monti: sui campanili grandeggiavano le iniziali del re e della regina di Francia al di sotto delle quali era posto un delfino sovrastato da una gigantesca corona; più in basso era situata una nuvola, mediatrice tra gli elementi naturali dell’acqua, aria e terra, nel mezzo della quale una statua raffigurante la Discordia precipitava tra le fiamme.
Molto spesso si pensò a una maniera per collegare le due realtà, ma le idee si tramutarono in realtà solo per volontà di Clemente XI che finalmente nel 1720 approvò il progetto di Francesco de Sactis che aveva molto studiato e tenuto da conto quello di Alessandro Specchi.
Una delle più note scalinate al mondo veniva così realizzata, il colle e la piazza furono collegati con buona soddisfazione di tutti e la facciata della chiesa di Trinità dei Monti trovò il suo completamento scenografico.
Ma oltre all’attrazione scenografica dell’insieme costituto da piazza di Spagna con la fontana della Barcaccia, la scalinata e la facciata della chiesa di Trinità dei Monti a sovrastare e a chiudere lo sguardo, ci sono diversi motivi che spingono a visitare la chiesa.
Questa, ad esempio, conserva al suo interno due opere molto importanti di Daniele Da Volterra, l’allievo di Michelangelo certamente più noto per aver eseguito la censura dell’affresco del Giudizio Universale della Cappella Sistina, nel 1565 dopo la conclusione del Concilio di Trento.
Dei due dipinti il più celebre è la Deposizione. In origine essa era parte integrante di un complesso decorativo eseguito da Daniele da Volterra nella prima metà del Cinquecento, oggi andato completamente perduto. La perdita dei due affreschi che fiancheggiavano la Deposizione rende oggi complesso compiere una lettura iconografica completa dell’opera.
Inizialmente il dipinto era collocato sopra l’altare della cappella Orsini, mentre oggi essa si trova, completamente decontestualizzata nella Cappella Bonfili. La rimozione dell’affresco ebbe inizio probabilmente alla fine del Settecento a causa di due motivi principali: il pessimo stato di conservazione delle pitture e la volontà della Repubblica francese di trasferire a Parigi la Deposizione. L’affresco fu quindi staccato e deposto sul pavimento della cappella Orsini, ma l’arrivo delle truppe napoleoniche indusse alla sospensione dei lavori. La Deposizione fu rimossa dalla cappella nel 1809 dopo che la volta della stessa era crollata, dando un colpo definitivo alla conservazione degli affreschi. Dai documenti è noto che nel 1830 non c’era più alcuna traccia dei due affreschi laterali, né della cornice di stucco che circondava l’opera, né di tutte le altre opere in affresco della cappella.
Oggi la Deposizione si mostra con l’aspetto che ha dopo l’accurato restauro conclusosi nel 2005. Essa è un capolavoro assoluto del manierismo che risente notevolmente, nell’impostazione scenica della precedente Deposizione del Rosso Fiorentino che probabilmente Daniele da Volterra ebbe modo di vedere quando ancora dodicenne viveva nella sua città natale. Certamente l’opera può essere confrontata con altre ma soprattutto gli studiosi oggi ritengono che non sia vero che essa sia stata realizzata su disegno preparatorio di Michelangelo.
Così come Rosso Fiorentino anche Daniele da Volterra fa una summa tra il momento della deposizione del Cristo e quella del Compianto, introducendo, quale elemento che bilancia il Cristo morto che occupa la porzione centrale della scena, la Madre, rappresentata in basso, in uno svenimento che ricorda e richiama la morte del Figlio.
Gli altri affreschi di Daniele da Volterra in Trinità dei Monti sono nella cappella
Rovere e sono l’Assunzione della Vergine e la Presentazione di Maria al Tempio.
Nell’Assunzione della Vergine, quale omaggio al maestro, Daniele da Volterra inserisce un ritratto di Michelangelo ormai canuto, che guarda verso lo spettatore, ma indica la Vergine. Interessante in questo dipinto l’espediente di utilizzare l’altare della cappella come sepolcro del dipinto, in questa maniera egli l’artista ricavò lo spazio che gli era necessario per dipingere tutte le figure utili a che il racconto dell’Assunzione fosse compiuto. I piedi degli Apostoli possono così appoggiarsi sul pavimento della cappella, e due Apostoli sono appoggiati proprio all’altare. L’espediente non solo crea lo spazio necessario ma introduce un elemento di movimento addizionale che crea quasi una spirale che conduce lo sguardo alla Vergine.
Ma si sale a Trinità dei Monti anche per entrare nel convento annesso alla chiesa gestito dal 2016 dalla Comunità de l’Emmanuel, associazione pubblica di diritto pontificio, fondata in Francia nel 1976, a partire dai componenti di un gruppo di preghiera che a sua volta si era costituito nel 1972.
Il convento conserva sia gli affreschi illusionistici di uno dei maestri del tardo barocco romano il gesuita Andrea Pozzo, sia due opere in anamorfosi realizzate da i padri Minimi Emmanuel Maignan e Jean François Nicéron.
Le due anamorfosi si dispiegano sulle pareti laterali dei corridoi e hanno come soggetto San Francesco di Paola in Preghiera e San Giovanni Evangelista che Scrive l’Apocalisse sull’Isola di Patmos. Le due opere sono completate da un complesso astrolabio catottrico, ovvero un orologio solare con quadrante a riflessione, realizzato da Maignan. Una particolarità dell’anamorfosi con San Francesco di Paola, realizzata da Maignan, è che essa è palindroma e quindi l’immagine del santo in preghiera è visibile da entrambi i lati del corridoio.
L’anamorfosi di Nicéron è stata più sfortunata essendosi nel tempo conservata peggio. Ciò nonostante il restauro conclusosi nel 2009 ha mostrato un cromatismo più deciso e vigoroso di quella del Maignan, essa inoltre si sviluppa su tutta la lunghezza del corridoio. Nicéron dedica particolare cura alla descrizione del paesaggio che rende l’isola di Patmos ben riconoscibile e introduce la civetta quale simbolo della sapienza ad accompagnare una scritta in greco tornata visibile dopo il restauro e che recita: “L’apocalisse dell’ottica è testimone oculare dell’Apocalisse”.
Le anamorfosi di Trinità dei Monti sono forse le meglio conservate e compiute di quelle realizzate a Roma. Esse sono il risultato di una particolare applicazione della prospettiva geometrica, esercizio si cui molti artisti rinascimentali si esercitarono. La caratteristica delle anamorfosi è che la prospettiva è alterata e l’immagine è distorta quando l’opera è vista frontalmente, ma l’immagine stessa si ricompone quando la visione è effettuata con un’opportuna inclinazione.
Roma, 28 agosto 2018