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  1. Sant’Andrea della Valle, la summa del barocco romano

    Non è possibile comprendere la vita artistica di Roma, dal pontificato di Sisto V in poi, se non si tiene conto della tumultuosa attività che viene svolta nel campo ecclesiastico. Se nella prima metà del XVI secolo

    Basilica di sant’Andrea della Valle – Roma.

    erano state costruite poche chiese, col passare degli anni una vera e propria ondata di devozione delle masse spinse i numerosi ordini religiosi ad innalzare nuove chiese. Vale a dire le chiese della Controriforma pensate e realizzate dai grandi ordini religiosi fondati per serrare le file del cattolicesimo ferito dallo sconquasso protestante.
    Da principio i Gesuiti realizzarono il Gesù, la loro chiesa madre: iniziata nel 1560, fu consacrata nel 1584. Essa instaurò il prototipo della vasta chiesa congregazionale, che fu seguito centinaia di volte durante il XVII secolo: ampia navata unica, breve transetto e cupola imponente. A seguire, sorsero la Chiesa Nuova, detta anche Santa Maria in Vallicella, 1575, per gli Oratoriani di san Filippo Neri. E, a un tiro di sasso, dalla Chiesa Nuova ecco sorgere Sant’Andrea della Valle. Disegnata da Giacomo della Porta per l’ordine dei Teatini, ordine fondato nei primissimi anni della lotta religiosa, 1524. Iniziato nel 1591, la chiesa venne affidata a Carlo Maderno nel 1608 e ultimato nel 1623 ad eccezione della facciata. Infine, viene realizzata una seconda grande chiesa dei Gesuiti, Sant’Ignazio, progettata dopo la canonizzazione del fondatore e iniziata nel 1626.
    Nel luogo in cui sarebbe sorta la chiesa di Sant’Andrea della Valle, in corrispondenza dell’attuale Cappella Barberini, c’era una chiesetta intitolata a san Sebastiano, che forse, ricordava il ritrovamento del corpo del martire dentro una chiavica della zona. Nei pressi sorgeva il palazzo di Enea Silvio Piccolomini, senese, poi papa col nome di Pio II. Dal palazzo, lo slargo corrispondente prendeva il nome di piazza di Siena.

    Sant’Andrea della Valle – Volta della Navata Centrale – Roma.

    Nel 1582 la proprietà Piccolomini venne donata ai religiosi Teatini con l’impegno di erigere sul posto una chiesa dedicata a sant’Andrea. Questa sorse in forme nobilissime e risultò una delle più solenni ed emblematiche dello spirito controriformistico che intendeva esprimere nel tempio la realtà della ecclesia: quella militante, massicciamente radunata nella grande e alta aula senza navate dispersive, e quella trionfante, rappresentata dalla maestosità delle dimensioni e dalla esuberanza degli ornati.
    La congregazione dei Teatini fu la prima a sorgere fra le congregazioni di chierici regolari fiorite nel Cinquecento per la riforma del clero e, attraverso l’esempio di questo nella osservanza delle virtù cristiane, per la vera riforma dell’intero popolo. Essa fu fondata da Gaetano da Thiene nel 1524 insieme con altri quattro compagni fra i quali era Gian Pietro Carafa, divenuto poi il rigoroso papa Paolo IV. Poiché egli era vescovo di Chieti, o Teate, venne a tutti il nome di teatini. Rinuncia di massima alle cariche ecclesiastiche, vita di povertà, frequenza sacramentale, carità verso i poveri e gli ammalati fu il programma di questi chierici, tratto da quello già attuato dall’Oratorio Romano del Divino Amore, una risposta all’umanesimo paganeggiante che imperversava nella città. Tale condotta e tale predicazione fecero della spiritualità teatina uno dei filoni della

    Cupola – Lanfranco – Sant’Andrea della Valle – Roma.

    controriforma. Né può quindi stupire la coerente intenzione controriformistica di questa loro grandiosa sede romana. La loro prima sede in città, dopo che si erano largamente diffusi fuori Roma, fu, per intervento di Paolo IV, la chiesa di San Silvestro al Quirinale.
    Alla chiesa di Sant’Andrea della Valle si incontrarono grandi artisti a cui era stato chiesto di emulare la grandiosità della basilica di San Pietro. Il primo progetto venne fornito da Giovan Francesco Grimaldi e Giacomo della Porta, 1591; Maderno proseguì l’opera nel 1608 e nel 1622 – 1625 costruì la cupola che è la seconda di Roma per altezza e diametro. Detto l’“Architetto di San Pietro” e artefice della mirabile facciata della chiesa di Santa Susanna, il Maderno – che poco spazio aveva ottenuto per sviluppare la sua individualità negli interni di Sant’Andrea – fa emergere tutto il suo genio. Ovviamente derivante dalla cupola di Michelangelo, l’artista qui innalzò l’altezza del tamburo a spese della volta ed aumentò l’area riservata alle finestre: cambiamenti che preludono al posteriore sviluppo del barocco.
    Poi, entrò in scena Carlo Rainaldi: l’architetto giunto alla ribalta nel 1655 e ben presto sviluppò uno stile grandioso tipicamente romano. Soprattutto tre opere, eseguite tra il 1660 e il 1680: Santa Maria in Campitelli, la facciata di Sant’Andrea della Valle e le chiese in Piazza del Popolo.

    Abside – Domenichino – Sant’Andrea della Valle – Roma.

    La facciata del Sant’Andrea possiede un forte rilievo, dato dal doppio ordine di colonne e lesene e dalle statue nelle nicchie laterali al grande portale. Va ricordato che si immaginò di sostituire le volute di raccordo del timpano collocando due statue di angeli con un’ala sollevata; peraltro ne venne messa in opera una soltanto dallo scultore Ercole Ferrara.
    L’interno è costituito da una vastissima aula a lesene che staccano sui fianchi otto grandi cappelle intercomunicanti; un ampio transetto e un profondo presbiterio completano la vastità dell’ambiente.
    Gli affreschi della volta si segnalano solamente perché assecondano la grandiosità dell’insieme; la cupola è stata affrescata dal Lanfranco con un’“Assunzione della Vergine” mentre il Domenichino ha dipinto i peducci con figure di Evangelisti.
    Dopo aver affrescato la chiesa di Santa Cecilia, in uno stile rigorosamente classico, il Domenichino a Sant’Andrea va in una direzione diversa: nei pennacchi e nel coro della chiesa, l’artista definito dal grande storico

    San Giovanni Evangelista – Domenichino – Sant’Andrea della Valle – Roma.

    dell’arte Rudolf Wittkower «arci-classicista» sembrò tentato dalla nuova tendenza barocca. Ciò è chiaramente visibile appunto negli evangelisti sui pennacchi della volta, dove, sempre secondo il Wittkower «una forte nota correggesca si aggiunge alla reminiscenza di Raffaello e Michelangelo. Si può supporre che il Domenichino volesse superare in splendore il rivale Lanfranco, al quale, con dolore del precedente, fu dato l’incarico per la cupola», (Rudolf Wittkower, “Arte e Architettura in Italia. 1600-1750”, Einaudi, Torino, 1993, pp. 533).
    Le grandiose decorazioni dell’abside, inquadrate da stucchi giovanili dell’Algardi, sono dovute a Mattia Preti per la fascia dei tre grandi riquadri con movimentate ed enfatiche scene del martirio di sant’Andrea, a Carlo Cignani e ad Emilio Taruffi per i dipinti laterali e ancora al Domenichino per il sottarco e per la calotta dell’abside.
    Fra le cappelle si segnalano soprattutto quella “Strozzi”, completata nel 1616 ma forse eretta su un’idea di Michelangelo, riccamente decorata con marmi policromi e stucchi e contenente cenotafi che ricordano i più illustri componenti della famiglia, e quella dei “Barberini”. Questa venne edificata da Matteo di Città di Castello, con l’altare rivestito di marmi preziosi e con quattro colonne di rosso antico che inquadrano un dipinto del Passignano. Su due lati della cappella si trovano quattro statue fra le quali una Santa Marta di Francesco Mochi e un San Giovanni Battista di Pietro Bernini.

    Una scena della Tosca di Puccini . ambientata nella chiesa di Sant’Andrea della Valle. Samuel Ramey è Scarpia.

    Fra i monumenti funebri risaltano le tombe dei papi Piccolomini, sopra gli ultimi archi della navata, Pio II e Pio III. I due sepolcri provengono dalla basilica di San Pietro e furono qui trasportati nel 1614. Entrambi i monumenti, di cui il secondo ripete più sontuosamente, ma con minor finezza, i motivi del primo, sono dovuti ad artisti non conosciuti.
    Contribuisce alla notorietà della chiesa il melodramma; infatti lo svolgimento del primo atto della “Tosca” di Puccini è immaginato dentro gli imponenti spazi della chiesa, sottolineati da solenni risonanze di musiche liturgiche.
    Nella devozione popolare la chiesa è legata alle celebrazioni natalizie in onore del “Santo Bambino” di San Gaetano; nell’ottavario dell’Epifania si tiene qui il cosiddetto “Sermone delle nazioni”.

    Roma, 26 maggio 2019

  2. Roma e Venezia: storia di antichi legami. Basilica di San Marco e Palazzo Venezia.

    Aveva circa 13 anni quando nella sua abitazione fu consumata l’Ultima Cena. Seguì angosciato Gesù dopo l’arresto e i soldati cercarono di acciuffarlo, ma lui sfuggì nudo lasciando il lenzuolo tra le loro mani.

    San Marco Evangelista – Mattia Preti.

    Quel ragazzo era Giovanni, figlio di Maria, una vedova benestante che metteva a disposizione del Maestro la sua casa e l’annesso Orto degli Ulivi. Il mondo ebraico lo chiamava Giovanni ma per quello greco-romano era Marco. Fu uno dei primi battezzati da Pietro, l’apostolo che frequentava assiduamente la sua casa e che lo chiamava “mio figlio”.
    Nel 41 dopo Cristo Marco giunse nella capitale dell’Impero Romano. Ritrovò Pietro e ne divenne lo “stenografo” in quanto l’apostolo non sapeva scrivere in greco. Fu così che il giovane Marco mise nero su bianco il primo dei Vangeli, proprio dove ora sorge la Basilica romana a lui dedicata.
    Nel 48 dopo Cristo l’apostolo Pietro inviò Marco ad Aquileia per raccontare alla gente quanto aveva appreso. Grazie a Marco venne evangelizzata la Regione Venetia et Histria, incluso i luoghi che nel 421 diverranno la Serenissima Repubblica di Venezia.
    Nel 336, appena cessarono le persecuzioni contro i cristiani, il papa Marco I trasformò l’abitazione e l’oratorio dell’omonimo evangelista in basilica. Negli attuali sotterranei si trovano ancor oggi i muri perimetrali della costruzione originaria.
    Il titolo cardinalizio di San Marco fu istituito nel 336 dal papa Marco I e da quel momento sarà uno dei titoli più antichi e prestigiosi. Solitamente il titolo di San Marco veniva conferito al Patriarca di Venezia alla sua nomina di cardinale a Roma. Diveniva così preposto alla cura della basilica dell’evangelista. L’ultimo titolo fu del cardinale Marco Cé ed è vacante dalla sua morte, avvenuta il 12 Maggio 2014. Prima di lui, l’amatissimo Albino Luciani.

    Interno – Basilica di San Marco – Piazza Venezia – Roma.

    Una curiosità: 6 furono i papi provenienti dalla Repubblica di Venezia. Tra il 1465 e il 1470 la basilica venne radicalmente trasformata ad opera del cardinale veneziano Pietro Barbo, divenuto pontefice nel 1464 con il nome di Paolo II, anche se avrebbe preferito quello di Marco II. A Paolo II si devono la splendida facciata a due ordini; all’interno le grandi nicchie a conchiglia delle navate laterali, le bifore e il soffitto a lacunari. Attorno alla basilica il porporato fece costruire il proprio palazzo residenziale, detto appunto di San Marco, ora Palazzo Venezia.
    L’aspetto attuale della basilica in stile barocco è legato al restauro realizzato tra il 1654 e il 1657, poi successivamente completato tra il 1735 e il 1750 per volere del cardinale Angelo Maria Querini.
    Nel 1527 con il sacco di Roma la basilica subì molti danni. I cardinali veneti Agostino Valier e Domenico Grimani fecero eseguire molti lavori di ristrutturazione. Quest’ultimo porporato ricevette il titolo di San Marco dopo “elargizione” paterna di una somma enorme, stimata tra i 25.000 e i 30.000 ducati.

    Mosaico del catino absidale- Basilica di San Marco – Roma. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Nicolò Sagredo, futuro 105° doge e per due volte ambasciatore della Serenissima in Roma, dal 1651 al 1656 e dal 1660 al 1661 trasformò i pilastri della navata maggiore. I cancelli furono donati nel 1690 dal cardinale veneto Pietro Vito Ottoboni, che divenne pontefice con il nome di Alessandro VIII. Antonio Canova nel 1796 realizzò il monumento funebre di Leonardo Pesaro, figlio sedicenne dell’ultimo ambasciatore di Venezia.

    Il Palazzo e il Palazzetto di Venezia.
    Tra il 1455 e il 1467, come già accennato, il cardinale veneziano Pietro Barbo commissionò la costruzione della propria residenza attorno all’esistente basilica di San Marco a Roma. I lavori proseguirono anche dopo l’elezione del cardinale a pontefice e il palazzo divenne sede papale.
    Nel 1564 il milanese papa Pio IV cedette l’ex residenza di Pietro Barbo all’Ambasciata della Repubblica di Venezia nello Stato Pontificio. Palazzo San Marco divenne dunque “il Palazzo di Venezia”. L’edificio era diviso in due parti con funzioni distinte: l’appartamento Barbo era la residenza degli ambasciatori e l’appartamento Cybo era per i cardinali con il titolo di San Marco.

    Palazzo Venezia – Piazza Venezia – Roma.

    Dopo pochi anni, la Serenissima ricambierà donando il Palazzo Gritti a Pio IV. Lo Stato della Chiesa ebbe così a Venezia la propria residenza dei nunzi apostolici, ovvero gli ambasciatori in campo San Francesco della Vigna.
    Nel XIX secolo l’edificio passò ai francescani che lo unirono al proprio convento mediante il noto cavalcavia a colonnato. Fu poi una prigione ed ora un condominio. I papi dalla fine del Cinquecento si spostarono al palazzo del Quirinale.
    Il palazzetto Venezia nacque successivamente come giardino segreto del papa Paolo II, Pietro Barbo. Una via sopraelevata coperta lo collegherà poi alla torre del palazzo che era adiacente al monastero Francescano di Santa Maria in Aracoeli. Il primo arco del passaggio veniva chiamato l’Arco di San Marco. Nel 1909, nell’ambito di sistemazione della piazza antistante al Vittoriano, fu decisa la demolizione del Palazzetto e la ricostruzione poco lontana dal sito originario. I cavalli della basilica di San Marco a Venezia quando furono portati a Roma nel 1916 – 1918, per salvarli dai bombardamenti, trovarono ricovero a Castel Sant’Angelo e poi nei giardini di Palazzo Venezia.

    San Marco approva il progetto della chiesa – Basilica di San Marco – Roma. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Il palazzo di San Marco inglobò l’antichissima basilica di San Marco, gestita quasi sempre da cardinali veneziani, alcuni dei quali trovarono qui sepoltura. Uno fra tutti il cardinale Marcantonio Bragadin, nipote e omonimo del famoso condottiero.
    La fontana del giardino venne commissionata nel 1729 dall’ambasciatore veneto Barbon Morosini, che così risolse anche l’approvvigionamento idrico per gli abitanti del palazzo. La statua marmorea raffigurante Venezia con il corno dogale sul capo, è in atto di gettare l’anello nuziale per lo sposalizio del mare. In alcuni testi è riportato che rappresenta invece la reale città d’Adria.
    Ai piedi della statua ruggisce il leone alato di San Marco. Dall’altra un sorridente puttino ricorda che la fontana fu costruita non solo a vantaggio degli abitanti del palazzo, ma anche di quelli vicini. Altri quattro graziosi puttini sostengono gli stemmi dei territori d’oltremare conquistati da Venezia: Cipro, Dalmazia, il Peloponneso e Creta.

    Sant’Andrea – Basilica di San Marco – Roma. Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella”.

    Tutto cambiò dal 1882 con l’edificazione dell’Altare della Patria in onore allo scomparso Vittorio Emanuele II. Venne demolita completamente l’originale struttura urbana e il Palazzetto venne spostato in quanto si trovava nel bel mezzo dell’ampliata piazza Venezia.
    Il nuovo progetto portò anche alla costruzione di un altro edificio, eretto di fronte a quello di Venezia e noto come palazzo delle Assicurazioni Generali. Quest’ultimo è ornato da un grande leone marciano un tempo collocato sulle mura di Padova. Il leone venne lanciato nel 1797 nel canale sottostante la fortificazione dalle milizie francesi. Dopo decenni venne recuperato per poi essere acquistato e collocato ad ornamento del palazzo romano.

  3. Il colle del Quirinale, il Palazzo Pallavicini Rospigliosi e il Casino dell’Aurora di Guido Reni

    Il colle del Quirinale rappresenta la storia stessa di Roma: esso sta all’origine della città quasi

    Tempio di Quirino - Ricostruzione

    Tempio di Quirino – Ricostruzione

    come il Palatino perché di qui discesero le popolazioni dei villaggi che, nella valle del Foro, si incontrarono con gli abitanti della Roma quadrata e diedero vita al primo ordinamento cittadino. Tradizionalmente si ritiene che questi primi abitanti fossero i Sabini di Tito Tazio, poi assorbiti nella città latina.
    Il colle prese nome dalla costruzione di un Tempio di Quirino, localizzato tra la Via del Quirinale e la Via delle Quattro fontane, insieme con altri edifici sacri importantissimi tra i quali il Tempio di Serapide, costruito da Caracalla e localizzato tra Piazza della Pilotta e Piazza del Quirinale. Nel IV secolo l’imperatore Massenzio vi costruì piccole ma importantissime Terme, che, dopo la sconfitta di Ponte Milvio, cambiarono nome e vennero indicate come terme di Costantino.
    Nel corso dei secoli, il Quirinale mantenne la sua enorme importanza per un motivo apparentemente banale, ma che rappresentò la sua “fortuna”: la straordinaria aria temperata perfettamente salubre rispetto a molte altre zone dell’Urbe, insidiate, soprattutto d’estate, dai miasmi malarici.

    Terme di Costantino - Incisione Etienne Duperac 1575

    Terme di Costantino – Incisione Etienne Duperac 1575

    La presenza di reperti archeologici faceva del colle un luogo di grande fascino e di un certo interesse anche per gli artisti. Basti pensare che lo stesso Michelangelo saliva spesso al Quirinale per passeggiare tra le rovine dei templi maestosi che qui sorgevano e per incontrare Vittoria Colonna nei giardini del Palazzo Colonna che ancora oggi conservano i resti della scalea che conduceva al tempio dedicato a Serapide. Recenti ricerche indicano che le statue dei due Dioscuri, oggi collocate nella Piazza del Quirinale, potessero appartenere all’apparato decorativo di questo tempio, insieme con le statue del Tevere e del Nilo che oggi sono state collocate nella piazza del Campidoglio.
    Fu solo per questo che, a partire dal XVI secolo, i papi decisero di trascorrere molto tempo al colle per godere della sua aria frizzantina.
    Paolo III, per esempio, fu ospite della villa che il cardinale Ippolito d’Este aveva qui sistemato su di una proprietà dei Carafa che gli era stata affittata. Nel 1574, proprio di fronte alle rovine delle terme costantiniane, sulla sommità del colle del Quirinale, Gregorio XIII diede inizio alla costruzione di un palazzo che sarebbe diventato, in futuro, la residenza estiva dei papi. I lavori furono affidati ad Ottaviano Mascherino e si conclusero nel 1585.

    Terme di Costantino - Ricostruzione

    Terme di Costantino – Ricostruzione

    Il primo papa ad insediarsi definitivamente nel Palazzo del Quirinale fu Paolo V Borghese. E di lì a poco, anche suo nipote, il segretario di stato cardinal Scipione Borghese, decise di costruirsi un palazzo al Colle. E, per far spazio alla villa, le Terme di Costantino furono quasi completamente rase al suolo: la splendida dimora di Scipione si estendeva fino alle pendici del Viminale e confinava con un’altra enorme villa di una potente ed antica casata romana, gli Aldobrandini. L’enorme quantità di materiali, accumulati dopo la demolizione delle terme, fu quindi utilizzata per la costruzione del terrapieno sul quale doveva sorgere il casino dell’Aurora, risolvendo in un colpo solo due problemi: quello di utilizzare la gran mole di detriti che l’abbattimento delle terme aveva creato e permettendo che il casino avesse l’ingresso allo stesso livello del piano nobile del palazzo.
    La costruzione del palazzo di Scipione Borghese fu curata dal Vasanzio e dal Maderno, fra il 1611 e il 1616; contemporaneamente essi progettarono anche un ampio giardino digradante verso Magnanapoli.

    Aurora - Guido Reni - Casino Pallavicini

    Aurora – Guido Reni – Casino Pallavicini

    Nel 1612 Scipione commissionò a Guido Reni, per il suo Casino nel parco del suo palazzo, l’affresco dell’Aurora, terminato nell’agosto del 1614: il carro di Apollo circondato dalle figure delle ore è preceduto dall’Aurora mentre sopra i quattro cavalli vola Phosphoros, l’astro del mattino, con una torcia accesa; in basso a destra, una marina.

    Nel momento stesso in cui Guido Reni dipinge il Carro dell’Aurora per Scipione Borghese, Guercino sta dipingendo lo stesso soggetto per Ludovico Ludovisi nella scomparsa Villa Ludovisi sul Pincio e Pietro da Cortona si cimenta con un’Aurora nella Villa del Vascello al Gianicolo. Delle tre, quella di Pietro da Cortona purtroppo andò irrimediabilmente perduta a seguito dei bombardamenti francesi della Villa del Vascello durante la Repubblica Romana del 1849.
    Per motivi non documentati, avendo avviato quasi in contemporanea la realizzazione di quella che sarà la Villa Borghese sul Pincio, Scipione Borghese abbandonò la villa sul Quirinale, portandosi via molte delle antichità che aveva nel frattempo collezionato, ma lasciando nel palazzo statue e quadri d’immenso valore.

    Loggia - Affreschi di Paul Bril e Guido Reni

    Loggia – Affreschi di Paul Bril e Guido Reni

    Dopo l’abbandono da parte di Scipione Borghese, al palazzo subentrarono i Bentivoglio e, in seguito, il cardinale Mazzarino che lo ampliò, destinandolo ad ospitare, oltra ai suoi parenti, anche personalità francesi di passaggio e gli ambasciatori che prima avevano risieduto a Palazzo Farnese. Finalmente, alla fine del Seicento, il palazzo pervenne ai Rospigliosi, che intanto si erano imparentati con i Pallavicini. La nobile famiglia incrementò ulteriormente il palazzo, arricchendolo di decorazioni pittoriche che andarono a comporre la celebre Galleria d’arte che vantava opere di Botticelli, di Signorelli, di Rubens, dei Carracci, oltre ai quadri attribuiti Leonardo e al Caravaggio.
    Molto belle anche le sale affrescate da Paolo Brill; una loggia nel giardino è adorna di affreschi di Orazio Gentileschi e Agostino Tassi.
    Attualmente il palazzo – che, dalla costruzione di via Nazionale, è stato mutilato di una parte del giardino, anche per far posto a nuovi edifici – si presenta in fondo ad un vasto cortile, delimitato sulla strada da un alto muraglione con apertura a foggia di finestre. Il nobile edificio risulta articolato in vari corpi dominati dalla svettante loggia-belvedere. L’ingresso principale, sulla sinistra, è preceduto da un bellissimo porticato, al di là del quale si scorge il “giardino segreto” con un ampio ninfeo a grandi nicchie e statue.

    Casino delle Muse - Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi

    Casino delle Muse – Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi

    Sul retro del palazzo, si snoda un pittoresco insieme di edifici annessi, di passaggi e cortiletti. Sul fianco del cortile antistante, si sviluppa un giardino pensile al cui fondo sorge il celeberrimo Casino dell’Aurora, famoso per la decorazione pittorica del soffitto del salone realizzata da Guido Reni. La visita al Casino Pallavicini, noto anche come Casino dell’Aurora, sarà l’occasione non solo per ammirare il capolavoro di Guido Reni, ma anche per avvicinarsi alla filosofia e allo stile di vita, alla ragion d’essere di queste ville della prima metà del seicento. Ville nate non solo come mere residenze, ma come spazi per la meditazione e l’ozio, in un pieno revival degli horti romani.

    Roma, 11 marzo 2017

  4. Barocco insolito: la Cripta dei Cappuccini Chiesa di Santa Maria Immacolata

    Per raccontare il grande fascino della Cripta dei Cappuccini in via Veneto, proponiamo un capitolo del volume Roma vista controvento di Fulvio Abbate (Bompiani, Milano, 2015, pp. 697).

    La cripta dei Cappuccini a Roma.

    «Agli spagnoli, ai siciliani, ai leccesi, ai messicani, agli amanti di Halloween e dei film terrorizzanti del regista Dario Argento che magnificano le meraviglie del proprio barocco raccapricciante, i romani sono autorizzati a controbattere con lo spettacolo della cripta dei Cappuccini in via Veneto, compreso il sacello dove riposa Padre Mariano (1906-1972), il frate-professore che spiegava il Vangelo e molto altro nella televisione del servizio pubblico confessionale e concordatario al tempo monocolore e monocanale della Democrazia Cristiana, chiudendo i propri discorsi con un inamovibile e proverbiale “Pace e bene a tutti”.
    La cripta è infatti cosa davvero unica, forse nascosta rispetto all’occhio del visitatore ignaro o accecato soltanto dal binomio via Veneto-Dolce vita: e dunque puttane, cocaina, attori famosi, pessimo cibo ed escrementi di ratto nei migliori locali titolati, ma comunque degna di ogni possibile attenzione.

    La cripta dei Cappuccini a Roma.

    Se le omonime catacombe palermitane – dove i morti dimorano attaccati per il collo e per le natiche con gli abiti del proprio mestiere, già viste nel film di Francesco Rosi “Cadaveri eccellenti” – vanno associate alla teatralità espressionistica per la loro ridondanza scenografica, nel caso della sede romana bisogna pensare semmai all’astrazione pura: Mondrian piuttosto che Munch. In via Veneto infatti le ossa umane sono utilizzate, come elementi geometrici, per realizzare una decorazione parietale. Ai Cappuccini di via Veneto le vertebre, i bacini, le costole, i femori, cartilagini comprese, servono a comporre l’ornato delle cripte. Qualcuno, a suo tempo, pensò a installare, uno dopo l’altro, ogni pezzetto d’ossa al muro.
    Il discorso profondo che se ne deduce solo in apparenza riguarda il libro dell’Ecclesiaste, e anzi smentisce i capisaldi di quel testo: non è vero che tu, da morto, non servi più a nulla, guarda bene qui e scoprirai che non si butta niente nella versione più combinatoria del barocco.
    Nell’ordine, troviamo la cripta della resurrezione, la cripta dei teschi, la cripta dei bacini con un grande baldacchino (di bacini, ovviamente) dal quale pende un fregio di vertebre e due grandi fiori laterali formato da scapole con pendagli sempre di vertebre. La cripta dei tre scheletri, dove i piccoli scheletri – amati defunti di casa Barberini – sorreggono con una mano un cranio alato. Nel sito ufficiale è possibile leggere:

    La cripta dei Cappuccini a Roma.

    “Verso la metà del Settecento, con interventi successivi fino al 1870, questo luogo di sepoltura, di preghiera e di riflessione per i cappuccini – che vi scendevano ogni sera prima di andare a riposare – è stato trasformato in un’opera d’arte, per trasmettere il messaggio che la morte ferma le porte del tempo e apre quello dell’eternità”».

    Roma, 5 maggio 2019