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  1. La via alchemica degli Angeli

    Ponte sant’Angelo è il più significativo e il più bello dei ponti dell’Urbe.

    Ponte Sant'Angelo - Roma

    Ponte Sant’Angelo – Roma

    Carico di storie, leggende, miti e significati religiosi. Dall’avvento dell’era cristiana ha rappresentato il punto di congiunzione tra Roma e Pietro. Milioni di pellegrini provenienti da tutta Europa lo hanno attraversato salmodianti alla volta della basilica per riconciliarsi con Dio ai piedi della Tomba del primo papa. Soprattutto in occasione dei Giubilei.
    Oggi lo vediamo, con i suoi angeli meravigliosi, così come lo concepì Gian Lorenzo Bernini, il genio del barocco romano. Nel 1669, su incarico papa Clemente IX Rospigliosi, il grande artista progettò le dieci statue di angeli che fiancheggiano il ponte: di queste, otto furono realizzate dai suoi allievi e due dal Bernini stesso, successivamente trasferite, perché straordinariamente belle, nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. Il percorso fu immaginato come una sorta di Via Crucis che conduce alla Resurrezione, attraverso pratiche di penitenza: i dieci angeli reggono gli strumenti della passione di Cristo.
    Un secolo dopo, nelle prigioni di Castel Sant’Angelo, un oscuro personaggio elaborò un percorso di elevazione dell’umana natura di tutt’altro segno e significato rispetto a quello che, per secoli, ponte e castello avevano rappresentato. Ad opera soprattutto di Giuseppe Balsamo, meglio conosciuto come Alessandro, conte di Cagliostro.

    Alessandro, conte di Cagliostro

    Alessandro, conte di Cagliostro

    Sostanzialmente un avventuriero, esoterista e alchimista siciliano che non fece altro che entrare e uscire dalle prigioni di mezza Europa. Nel dicembre del 1789 fu arrestato a Roma e condotto nelle carceri di Castel Sant’Angelo, dove attese per alcuni mesi l’inizio del processo. Al collegio giudicante egli apparve colpevole di eresia, massoneria e attività sediziose. l 7 aprile 1790 fu emessa la condanna a morte e fu indetta, nella pubblica piazza, la distruzione dei manoscritti e degli strumenti massonici. In seguito alla pubblica rinuncia ai principi della dottrina professata, Cagliostro ottenne la grazia: la condanna a morte venne commutata dal pontefice nel carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni dell’inaccessibile fortezza di San Leo allora considerato carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio. Fu in quei mesi di prigionia che Cagliostro elaborò la sua teoria sulla Grande Opera alchemica di ottenimento della pietra filosofale: la via alchemica si proponeva come una di quelle vie che portavano l’uomo al superamento della sua natura effimera e all’identificazione col divino. La realizzazione di questo fine costituisce la “Grande Opera”, con il quale il “fuoco segreto”, un’energia cosmica sconosciuta all’uomo nel suo stato ordinario, rende possibile la trasformazione dell’uomo e quella dei metalli.
    Accanto ai molteplici significati che ponte e castello, in perfetta simbiosi, hanno assunto attraverso i secoli, va ricordato che il ponte che conosciamo col nome “Sant’Angelo” fu costruito nel 134 dall’imperatore Andriano in funzione del suo mausoleo. Scaturito dalla mente dell’imperatore contemporaneamente alla propria tomba, esso nacque come una singolare strada semi privata che, dalla sponda sinistra del Tevere, immetteva direttamente nel grande portale d’accesso al mausoleo. In origine, dunque, fu un percorso riservato ai cortei funebri che avrebbero condotto là dentro una lunga serie di personaggi imperiali: da Adriano stesso (138) fino a Caracalla (217).

    Potaverunt me aceto - Antonio Giorgetti

    Potaverunt me aceto – Antonio Giorgetti

    Dal prenome di Adriano, il ponte fu chiamato Elio. Progettato dunque in funzione della grande tomba, nacque in stretta relazione strutturale e architettonica con quella. Adriano stesso, uomo di straordinaria capacità ed esperienze artistiche, collaborò alla stesura del progetto.
    Con l’inizio dell’era cristiana il ponte rappresentò il passaggio obbligato delle folle di pellegrini verso la tomba venerata dell’apostolo Pietro soprattutto in occasione del giubileo.
    La più famosa citazione, riferita al giubileo del 1300, è contenuta nella Divina Commedia:

    […] come i Roman per l’esercito molto,
    l’anno del giubileo, su per lo ponte
    hanno a passar la gente modo colto,
    che da l’un lato tutti hanno la fronte
    verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,
    da l’altra sponda vanno verso ‘l monte […]
    (Inferno, canto XVIII, vv. 28-33)

    La vicenda più drammatica è costituita, invece, dalle numerose vittime provocate dal crollo delle spallette, nell’anno giubilare 1450, a causa del sovraffollamento derivato anche dalle piccole costruzioni commerciali che si erano insediate sul ponte.

    Mappa di Schedel 1493 in cui si vedono le due cappelle in testa al ponte Sant'Angelo

    Mappa di Schedel 1493 in cui si vedono le due cappelle in testa al ponte Sant’Angelo

    In memoria delle vittime Nicolò V fece costruire, alla testata del ponte verso la piazzetta, due piccole cappelle da cui settant’anni dopo dovevano trarre profitto i lanzichenecchi che sparavano contro il castello. Per questo, Clemente VII si affrettò a farle distruggere e le sostituì, nel 1535, con le statue degli apostoli Pietro e Paolo; Clemente IX Rospigliosi, nel 1669 collocò le dieci statue di angeli che recano i simboli della passione di Cristo.
    I tre archi centrali del ponte come oggi lo vediamo sono originari, mentre i due laterali furono costruiti nel 1892 per raccordare l’antica opera ai nuovi muraglioni. Vennero in tal modo sostituite le due minori arcate costruite nel 1668 in luogo delle antiche rampe originarie: queste erano sostenute da piccoli archi i quali ritornarono alla luce durante gli stessi lavori sul lungotevere.
    La sistemazione urbanistica di tutto il settore intermedio dell’antico Campo Marzio fu imperniata sul ponte Sant’Angelo. Alla sua testata sinistra furono fatti affluire tutti i principali assi viari che erano affiancati da solenni portici. L’urbanistica medievale naturalmente fu adeguata alla situazione, tanto più che il ponte fu l’unico (oltre ai ponti dell’Isola Tiberina) a non crollare. Per questo motivo anche la Via Recta che, in epoca classica arrivava al Ponte di Nerone si attestò su quello che doveva essere chiamato il “Canale di Ponte”.

    Castello e Ponte Sant'Angelo - Piranesi

    Castello e Ponte Sant’Angelo – Piranesi

    Scorrendo le storie, i miti e i simboli che si sono “depositati” lungo il ponte e, per osmosi naturale, su Castel Sant’Angelo, emerge quanto vita e morte risultino, in questa porzione di Roma, sempre inesorabilmente intrecciati. A partire dalle origini, quando il ponte introduceva gli imperatori passati a miglior vita all’interno della Mole di Adriano. E ancora, quando i pellegrini provenienti da tutta Europa, quindi “morti” spiritualmente perché in stato di peccato attraversavano il ponte in direzione della basilica di Pietro l’apostolo per riconciliarsi con Dio e quindi riacquistare la vita di grazia.
    Fino allo splendido racconto che ci fornisce la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine nel XIII secolo: nel 590 infuriava in una Roma assediata dai Longobardi un’epidemia di peste che aveva ucciso lo stesso papa Pelagio. Il nuovo pontefice Gregorio Magno ordinò una “litania settiforme”. E allora sette processioni che, partendo dalla chiesa principale delle sette regioni ecclesiastiche in cui era divisa la città, confluirono a Santa Maria Maggiore dove Gregorio esortò il popolo a seguirlo fino a San Pietro insieme con l’immagine acheoropirita della Madonna, la Salus populi romani custodita nella basilica liberiana. Mentre la processione passava sul ponte Elio, il papa vide sulla Mausoleo di Adriano l’arcangelo Michele che rinfoderava la spada nella guaina; era quello il segno che, per misericordia divina, la pestilenza era finita.

    San Michele Arcangelo - Raffaello da Montelupo

    San Michele Arcangelo – Raffaello da Montelupo

    Da quel momento la Mole di Adriano sarebbe stata chiamata Castel Sant’Angelo e il ponte, Ponte Sant’Angelo. Lo storico Cesare D’Onofrio, basandosi su documenti, ha ricostruito il probabile processo mentale che ha condotto all’elaborazione di questa leggenda. La litania settiforme divenne una consuetudine nel medioevo, ma il centro di raccolta non fu più Santa Maria Maggiore: era subentrata la basilica di San Pietro in Vaticano. Siccome i salmodianti dovevano necessariamente passare per il ponte Sant’Angelo e sotto la Mole Adriana (allora chiamata Castello di Crescenzio per via dei Crescenzi, la famiglia che ne era divenuta proprietaria) sulla cui cima vi era l’oratorio dedicato a San Michele, e forse una statua dell’Arcangelo, qualche fedele avrà cominciato a immaginare una scena miracolosa ricordandosi della celebre orazione che Gregorio Magno aveva pronunciato durante l’epidemia esortando i fedeli alla processione: «Il dolore ci convinca alla conversione, e la pena che stiamo soffrendo dissolva la durezza del cuore, come dice il profeta: “La spada è arrivata fino all’anima… Ecco tutto il popolo è trafitto dalla spada dell’ira celeste… sotto la spada di così grande avversità divina noi dobbiamo insistere con lamenti pressanti». La leggenda si radicò così profondamente che durante l’epidemia del 1348 si rifece la processione con l’immagine della Madonna della chiesa dell’Ara Coeli: «mentre si stava avvicinando al ponte di San Pietro (l’attuale Sant’Angelo), la statua marmorea dell’angelo sulla cima del Castello, mostrando riverenza a tale immagine, varie volte s’inchinò» narra un anonimo quattrocentesco. «Più di sessanta persone degne di fede, giurando sui sacramenti, affermavano di aver visto ciò con i propri occhi corporei, all’immagine gridando ad altissima voce misericordia». Dalla leggenda nacque la tradizione iconografica dell’angelo che rinfodera la spada.

    San Michele Arcangelo - Peter Anton von Verschaffelt

    San Michele Arcangelo – Peter Anton von Verschaffelt

    Dalla fine del tredicesimo secolo doveva esserci, sulla sommità del Mausoleo una scultura raffigurante l’arcangelo Michele con la sua spada. Non risalente ai tempi di Gregorio Magno ma a un periodo successivo alla formazione della leggenda. A quella scultura succedette verso la metà del Quattrocento un’altra che fu frantumata il 29 ottobre del 1497 dallo scoppio di una polveriera sistemata imprudentemente nell’ex cappella e colpita da un fulmine durante il temporale. Quale fosse l’atteggiamento dell’angelo in quelle prime sculture non sappiamo. Conosciamo la statua di Raffaello di Montelupo che venne innalzata nel 1544 e rimossa due secoli dopo, nel 1747, per essere sostituita dall’attuale, realizzata da Peter Verschaffelt. Nelle giornate di forte vento le ali spiegate dell’arcangelo Michele, ondeggiano dolcemente a significare la sua invisibile presenza tra le nubi di Roma, inter nubes.

  2. Tra Rinascimento e Barocco: Santa Maria della Pace e il Chiostro del Bramante.

    La bellissima chiesa di Santa Maria della Pace e il suggestivo ambiente che la circonda – caratterizzato dal delizioso portichetto che sta sulla fronte del tempio come variazione degli altri protiri – presero origine da un’iniziativa di richiamo politico – religioso assunta da Sisto IV nel 1482, in un momento di gravi preoccupazioni per la pace in un’Italia scossa dalla fiorentina congiura dei Pazzi, il complotto organizzato nel 1478 dalla famiglia omonima per togliere ai Medici il predominio di Firenze.

    Santa Maria della Pace

    Santa Maria della Pace

    L’uccisione di Giuliano e il ferimento di Lorenzo de’ Medici non ebbero altro risultato che un rafforzamento del potere mediceo e lo scoppio della guerra tra Firenze e papa Sisto IV, il più importante alleato della famiglia Pazzi. Dopo mesi di estenuanti trattative e ingenti esborsi di denaro, Lorenzo riuscì ad ottenere dal re di Napoli, alleato della Chiesa, il ritiro del conflitto. Nel marzo del 1482, Lorenzo il Magnifico rientrò a Firenze forte del suo successo politico, stringendo il controllo del governo fiorentino nelle sue mani.
    Sul luogo del bellissimo tempio sorgeva un’antica chiesa citata nei documenti medievali, detta degli “acquarellari” (dal nome dei venditori di acqua del Tevere o delle fonti). L’immagine della Madonna che in questa chiesa era venerata sotto il titolo della “Virtù”, sacrilegamente colpita da una sassata, aveva versato sangue. Il papa, accorso, l’aveva chiamata “Madonna della Pace” e aveva fatto voto di erigere un tempio per propiziare la pace nella penisola.
    Pare che il progetto fosse di Baccio Pontelli, almeno per la prima parte consistente in un’aula rettangolare anteriore, mentre per la seconda parte – l’ottagono posteriore sormontato da una cupola – si pensa a Donato Bramante, autore anche dell’attiguo convento. La cupola è del 1520. Ma è solamente con Alessandro VII, passata la metà del seicento, che il complesso ebbe la sua forma definitiva con l’intervento di Pietro da Cortona. Questi armonizzò le parti interne e diede una unitaria sistemazione alla facciata e alla piazzetta antistante. Linee curve, concave e convesse, timpani spezzati e colonne si offrono scenograficamente al gioco delle luci, facendo di questo piccolo luogo uno dei più tipici e armoniosi del barocco romano.
    Un’iscrizione posta nella piazzetta, sulla sinistra della chiesa, illustra l’intera operazione urbanistica e stabilisce il divieto di apportare modifiche.

    Le Sibille - Raffaello

    Le Sibille – Raffaello

    All’interno, alla cui decorazione hanno contribuito artisti quali Antonio da Sangallo il Giovane (Cappella Cesi) e il Maderno (altare maggiore e coro) si distingue soprattutto la cappella costruita da Raffaello per il banchiere senese Agostino Chigi, nella quale sono dipinte le Sibille di mano stessa dell’artista, che rivela qui un certo influsso michelangiolesco e i Profeti, eseguiti dal suo allievo Timoteo Viti.
    Tra il 1511 e il 1513, Raffaello, infatti, aveva ricevuto una lunga serie di commissioni dal Chigi. Dopo aver richiesto all’artista un grande mausoleo di famiglia nella basilica di Santa Maria del Popolo (Cappella Chigi), nel 1514 gli commissionò i due grandi affreschi per decorare la cappella di Santa Maria della Pace. Raffaello avrebbe dovuto rappresentare i più grandi esempi di virtù e sapienza del passato, nonché i primi conoscitori dell’arrivo del Messia: le Sibille e i Profeti.

    I Profeti - Raffaello

    I Profeti – Raffaello

    In quello stesso anno, l’artista, sebbene ancora impegnato nei lavori per le Stanze Vaticane si mise all’opera sul soggetto. Delle sibille restano vari studi preparatori, soprattutto al British e all’Asholean Museum.
    In via dell’Arco della Pace – caratterizzata da una bella casetta medievale restaurata e da un’altra casa con un portale cinquecentesco – si apre quello che un tempo fu l’edificio conventuale di Santa Maria della Pace, accentrato attorno all’eccezionale chiostro realizzato da Bramante tra il 1500 e il 1504 per incarico del cardinale Oliviero Carafa. Rappresenta una delle opere più importanti del Rinascimento cinquecentesco e fu tra le prime opere romane progettate da Bramante dopo il periodo milanese. Grazie al capolavoro bramantesco l’architettura romana del rinascimento fa un salto di qualità. Inserito nella clientela pontificia da papa Borgia, Bramante si guadagna la fiducia di Giulio II della Rovere nel rilanciare la renovatio intrapresa dallo zio Sisto IV, venendo preferito al più antiquato Giuliano da Sangallo. Così Bramante diventa progettista dei più ambiziosi cantieri del tempo: il risanamento del malfamato quartiere ora solcato da via Giulia, su cui imposta il nuovo tribunale, il sontuoso cortile del Belvedere in Vaticano e la nuova basilica di San Pietro, a contenere la vecchia chiesa paleocristiana prima del suo graduale abbattimento. I termini del nuovo corso architettonico sono già chiari nel primo capolavoro romano: il chiostro della chiesa di Santa Maria della Pace.

    Chiostro di Santa Maria della Pace

    Chiostro di Santa Maria della Pace

    Lo studio diretto dei resti antichi induce Bramante a rinunciare alla ricchezza decorativa e agli effetti illusionistici del periodo lombardo, ancora presenti nel coro di Santa Maria del Popolo, per attenersi ad un’asciutta solennità che risponde ad un’idea suprema di regolarità e necessità.
    L’armonia di linee del portico a pilastri con lesene e della sovrapposta loggia a pilastri e colonne, unita all’atmosfera serena, fa di questo luogo un angolo di straordinaria bellezza. Il convento, destinato inizialmente ai canonici lateranensi, passò con Pio VII ai domenicani, poi al clero regolare.
    Oggi il complesso è un centro culturale internazionale e accoglie mostre e eventi culturali.
    L’indirizzo della “Pace” era celebre nel commercio delle stampe. Ancora all’inizio del settecento vi operava la Calcografia De Rossi, uno dei rami della celebre impresa familiare cui si debbono tante incisioni dei maggiori artisti che illustrarono la città nei secoli XVII e XVIII. Nel 1738 essa venne rilevata da papa Clemente XII Corsini.

     

  3. Sant’Agostino, la chiesa della madre

    Nel cuore del Campo Marzio si trova una delle più belle chiese di Roma,

    Cappella del Santissimo Sacramento - Sant'Agostino in Campo Marzio

    Cappella del Santissimo Sacramento – Sant’Agostino in Campo Marzio

    chiesa che potremmo definire per eccellenza dedicata alla madre:è la chiesa di Sant’Agostino sorta già alla fine del Duecento come chiesa degli agostiniani.La chiesa di fine Duecento risultò quasi subito troppo piccola per le esigenze della comunità e per questo motivo venne costruita una seconda chiesa disposta perpendicolarmente alla prima. La facciata della chiesa fu progettata da Leon Battista Alberti, costruita da Jacopo da Pietrasanta, s’ispira alla chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Tra il 1746 e il 1750 Vanvitelli vi aggiunse le due volute laterali e realizzò il nuovo convento e il chiostro. Per la facciata fu utilizzato il travertino proveniente dal Colosseo. Fu la prima chiesa della Roma rinascimentale e fu anche la prima ad essere sormontata da una cupola.
    Un’altra particolarità della chiesa risiede nel fatto che accanto alle sepolture di prelati ed ecclesiastici, unico caso a Roma, ospita anche le sepolture di alcune famosissime cortigiane tra cui Fiammetta, amante di Cesare Borgia e Tullia d’Aragona, figlia di Giulia Campana, anch’essa seppellita in Sant’Agostino.
    Fin da Quattrocento la chiesa ospita i resti della madre del Santo di Ippona, Santa Monica, morta nel 387 ad Ostia mentre era in attesa di imbarcarsi per l’Africa con il figlio.

    Madonna dei Pellegrini - Caravaggio

    Madonna dei Pellegrini – Caravaggio

     Sarà per questa sua vocazione originaria di chiesa della madre che essa ospita, fra i vari suoi capolavori, tre immagini della Madonna fra le più belle e singolari presenti a Roma.
    In ordine cronologico esse sono: Sant’Anna, la Madonna ed il Bambino un gruppo marmoreo eseguito da Andrea Contucci detto il Sansovino nel 1510-1512; la Madonna col Bambino comunemente detta Madonna del Parto, statua di Jacopo Tatti, allievo del Contucci che del maestro ereditò anche il soprannome di Sansovino, del 1521; la Madonna dei Pellegrini del Caravaggio, pala d’altare eseguita negli anni dal 1603 al 1606.
    Benché la terza, quella del Caravaggio, sia opera universalmente nota, anche le altre due sono veri e propri capolavori e quella di Jacopo Sansovino, dalla fine dell’Ottocento, anche oggetto di una particolare venerazione da parte delle partorienti romane. Le tre opere sono raggruppate tutte nella parte terminale della chiesa, in una manciata di metri, e sono riconoscibili rimandi dall’una all’altra sebbene abbiano stili e maniere stilistiche del tutto diversi e assolutamente originali.

    Madonna del Parto - Jacopo Sansovino - Sant'Agostino in Campo Marzio

    Madonna del Parto – Jacopo Sansovino – Sant’Agostino in Campo Marzio

    Non sono solo vicine come collocazione ma anche come esecuzione: sono state eseguite tutte nel giro di un secolo a cavallo del Concilio di Trento e della Controriforma. La prima, quella di Andrea Sansovino, è l’esaltazione della dolcezza della madre; la seconda, quella di Jacopo Sansovino, è invece immagine d’immortale ieraticità tanto che per secoli è stata considerata dai romani una statua classica (talvolta la si è addirittura scambiata per una statua di Agrippina con in braccio Nerone, tanto è forte nei suoi rimandi classicheggianti); la terza, quella del Caravaggio è la madre della porta accanto che si mostra a umili popolani. Pur nella diversità, gli intrecci tra questi tre capolavori sono tanti e intriganti.

  4. Mirabili disinganni: la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio

    Alla scoperta della cittadella dell’Ordine dei Gesuiti a Roma, una fucina d’ingegno, abilità diplomatica, sapienza e sperimentazione artistica, ma anche di santità.

    Sant'Ignazio - La Volta - Particolare

    Sant’Ignazio – La Volta – Particolare

    Abitata da uomini che, a partire dal XVI secolo, sarebbero stati in grado di raggiungere quasi ogni angolo della terra.
    L’ordine, fondato da Ignazio di Loyola nel XVI secolo, si dimostrerà fedele interprete dei dettami imposti dalla Controriforma non solo da un punto di vista dottrinario ma anche in materia iconografica: le chiese fondate dai gesuiti rappresentano infatti un’efficace panoramica della nuovo verbo pittorico e architettonico dettato dal Concilio di Trento.
    Dopo la visita realizzata da Roma Felix lo scorso anno alle Camere di Sant’Ignazio e alla chiesa del Gesù, questa volta si andrà a visitare l’altro “polo” della cittadella dei Gesuiti: Sant’Ignazio, ovvero la chiesa del trionfo del Barocco e dei suoi “mirabili disinganni” con la famosissima falsa cupola realizzata da un autentico genio: l’architetto e pittore gesuita Andrea Pozzo.
    La grandiosa costruzione della chiesa rinnova, nel cuore di Roma, la vastità e la maestà delle antiche basiliche imperiali. Fu costruita esclusivamente da gesuiti nel corso di cinquant’anni, usufruendo di fondi messi a diposizione dal cardinale Ludovico Ludovisi, nipote di Gregorio XV. Essa sorse al servizio della comunità studentesca dell’attiguo Collegio Romano, in luogo di una iniziale Chiesetta dell’Annunziata, che i gesuiti stessi avevano edificato nel 1562-64.

    Sant'Ignazio - La finta cupola

    Sant’Ignazio – La finta cupola

    La costruzione della chiesa di Sant’Ignazio (il Loyola era stato canonizzato nel 1622 insieme con Francesco Saverio, Filippo Neri e Teresa d’Avila) cominciò nel 1626, su progetto di padre Orazio Grassi, eseguito da padre Antonio Sasso, il quale arbitrariamente aumentò l’altezza della facciata. La chiesa fu aperta solamente nel 1650, tra la soddisfazione di Innocenzo X, ma fu completata solo nel 1685.
    Cominciò allora la grande opera di decorazione, curata da fratel Andrea Pozzo il quale prima eseguì con maestria la falsa cupola di 17 metri di diametro e poi, affrescò la volta, il presbiterio e le cappelle a crociera, con un virtuosismo prospettico che non è disgiunto da doti pittoriche e d’immaginazione singolari. Particolarmente riuscita è la volta (750 metri quadrati, dipinti in tre anni) che “sfonda” con un’ulteriore costruzione illusionistica il pur ampio edificio e delinea nei cieli l’epopea della Compagnia di Gesù alla conquista missionaria dei quattro continenti.
    Molto interessanti sono anche gli altari della crociera, sempre su progetto di Pozzo (San Luigi, l’Annunciazione e San Giovanni Berchmans e il Sepolcro di Gregorio IV Ludovisi, di Pietro Legros). Sui lati del grande salone centrale, si trovano tre cappelle per lato, intercomunicanti. Dalla chiesa si accede alle Cappellette di San Luigi, originaria sede del movimento delle Congregazioni mariane.

    Sant'Ignazio - Angelo

    Sant’Ignazio – Angelo

    La finta cupola di tela, ripristinata già nel 1823 perché annerita dal fumo dei grandi catafalchi funebri, si spaccò in occasione del tremendo scoppio della polveriera di Monteverde nel 1891; rimase coperta da un drappo azzurro fino ai lavori di ripristino, realizzati felicemente nel 1963.