Tra le tante meraviglie di Trastevere, molto spesso ignorate, c’è Palazzo Corsini e la bellissima chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori. Il primo lo si raggiunge scavalcando Porta Settimiana, altro reperto importantissimo che caratterizza il Quartiere.
Si suppone che la porta fosse in origine un arco onorario di Settimio Severo all’ingresso di una proprietà trans – tiberina dell’imperatore; esso venne inglobato nelle mura imperiali di Aureliano. Alessandro VI sistemò la porta, ampliando una posterula medievale, ovvero un’angusta porta d’accesso ai camminamenti per le guardie di ronda nei castelli e nelle fortificazioni nascosta nelle mura, e Pio VI le dette l’aspetto attuale nel 1798. Da qui le mura di Aureliano salivano direttamente verso Porta Aurelia che, all’incirca, coincideva con l’attuale Porta San Pancrazio. Esse seguivano il lato destro dell’attuale via Garibaldi, detta un tempo “delle fornaci”. Porta Settimiana conduce a via della Lungara, seguendo l’antico tracciato della sulle via Settimiana, detta anche via Santa perché era uno dei percorsi seguiti dai pellegrini che andavano verso San Pietro.
Oggi via della Lungara, in parte profondamente infossata dalla creazione del Lungotevere, mantiene un certo carattere quasi extraurbano, rarefatto e solitario, che le è conferito anche dalla serie di palazzi signorili che si affacciano lungo il suo percorso, e tra questi, Palazzo Corsini posto proprio di fronte alla sublime Villa Farnesina affrescata da Raffaello.
Edificato nel XV secolo dalla famiglia Riario, imparentata con di Sisto IV della Rovere, era stato dimora di Caterina Sforza, definita ai suoi tempi “quella tygre di la madona di Forlì” per le decise prese di posizione di carattere politico, che venne qui ad abitare in seguito al suo matrimonio con Girolamo Riario nel 1477. Era allora al colmo della sua bellezza e si diceva di lei che “splendeva come il sole, e rivaleggiava con i gigli”. In terze nozze aveva sposato Giovanni de’ Medici da cui sarebbe nato il futuro condottiero Giovanni dalle Bande Nere. Per motivi politici, Caterina ebbe la disgrazia di inimicarsi i Borgia. Soprattutto Cesare, il Valentino, che l’arrestò a Forlì il 12 gennaio del 1500, rinchiudendola poi a Roma, a Castel Sant’Angelo dopo numerosi rovesci politici.
Due secoli dopo a varcare la porta del palazzo era arrivata la regina Cristina di Svezia, dopo la sua conversione al cattolicesimo avvenuta nel 1654. Dopo aver abitato in numerose dimore patrizie sparse nella città seicentesca, nel luglio del 1659 Cristina scelse di abitare nel palazzo alla Lungara, affittato dai Riario e divenuto sua residenza definitiva solo nel 1663.
Il contratto d’affitto venne sottoscritto dal cardinale Decio Azzolino, suo intimo amico. Qui Cristina, che non aveva mai rinunciato al titolo di regina, installò la sua piccola corte, e di palazzo Riario fece la base d’intrighi, viaggi diplomatici, feste e avventure galanti, ma anche di vaste relazioni intellettuali, culminate nel 1674 con la creazione dell’Accademia Reale, nucleo iniziale dell’Accademia dell’Arcadia, a cui si aggiunse un’Accademia di Fisica, Storia naturale e Matematica.
All’interno del palazzo non trovavano spazio prestigiose collezioni d’arte antica come in uso per l’epoca, né quadri di artisti del nord Europa, ma, piuttosto, nelle sale di rappresentanza si trovavano i ritratti del cardinale Azzolino, del Bernini, di Ebba Sparre, di Cartesio, dell’ambasciatore Chanut e del dottor Bourdelot, tutti personaggi che avevano segnato in qualche modo la sua vita.
Morì il 19 aprile 1689, confortata solo dal cugino, il marchese Michele Garagnani, e dal fedele cardinale Azzolino che presenziò al suo capezzale sino alla sua dipartita. Quest’ultimo ne divenne l’erede universale, ma morì poco dopo, l’8 giugno1689, lasciando i beni al nipote Pompeo Azzolino. Tra le molte e preziose opere della collezione della regina, Pompeo vendette una Venere che piange Adone di Paolo Veronese che oggi, dopo una serie di acquisti e compravendite, si trova infine al Museo Nazionale di Stoccolma. Il patrimonio artistico che arricchiva il palazzo Riario andò disperso a prezzi irrisori tra i nobili romani, mentre il successivo papa, Alessandro VIII, comprò “per un pezzo di pane” la splendida biblioteca.
Cristina aveva chiesto di essere sepolta in una tomba semplice, ma il papa alla sua morte insistette nel volerne esporre i resti mortali alla pubblica venerazione per quattro giorni a Palazzo Riario. La regina venne così imbalsamata, vestita di bianco e le furono posti una maschera d’argento sul viso, uno scettro tra le mani e una corona di metallo smaltato sul capo.
Il suo corpo venne posto in tre bare, una di cipresso, una di piombo e l’ultima di quercia. La processione del funerale venne guidata dalla chiesa di Santa Maria in Vallicella sino alla Basilica di San Pietro, dove la regina fu sepolta nelle Grotte Vaticane, una delle sole tre donne ad aver avuto questo privilegio.
Nel 1736 l’edificio e il giardino furono acquistati dal cardinale fiorentino Neri Maria Corsini, nipote di Clemente XII, che affidò i lavori di ristrutturazioni al conterraneo Ferdinando Fuga che per il papa stava già lavorando al Palazzo del Quirinale e al Palazzo della Consulta. L’architetto trasformò la piccola villa suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, raddoppiando l’estensione della facciata aggiungendo dieci lesene di grandi dimensioni. La facciata posteriore, rivolta verso i vasti giardini, vantava tre corpi di fabbrica. Quello centrale, occupato dal monumentale scalone, è tuttora uno dei più belli di Roma. Lo scalone, infatti, funge anche da belvedere panoramico sui giardini, posti in pendenza sul Gianicolo.
Durante l’occupazione napoleonica di Roma, palazzo Corsini ospitò Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore. Nella parte superiore della villa , il casino dei Quattro Venti, si svolse il 3 giugno del 1849 uno dei più sanguinosi combattimenti in difesa della Repubblica Romana contro i francesi durante il quale fu ferito a morte Goffredo Mameli.
Nel 1856 gran parte dei giardini sul Gianicolo furono uniti alla confinante Villa Doria Pamphilj, mentre nel 1883 il principe Tommaso Corsini vendette al Governo italiano il palazzo, donando la biblioteca e la galleria ivi custodite. Il palazzo divenne sede degli uffici e della biblioteca della Reale Accademia dei Lincei e della Galleria d’Arte Antica, costituita per l’occasione per accogliere le raccolte Corsini.
Oggi, la maggior parte parte della collezione d’arte antica della Galleria Corsini si trova a Palazzo Barberini. Tuttavia, la raccolta rimasta, arricchita grazie ai lasciti e alle donazioni Corsini a partire dal Settecento, vanta un raffinato nucleo di dipinti che spazia dal XIV al XVIII secolo, con una predominanza della pittura italiana barocca, specialmente romana, bolognese e napoletana, e importanti esempi di opere dei Bamboccianti e di paesaggisti.
Lasciando Palazzo Corsini e ripercorrendo a ritroso via della Lungara, si arriva a via Garibaldi. Oltrepassato il cancello, al civico 27, si innalza la chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori realizzata da Francesco Borromini per le Oblate che costituisce una delle più tipiche e affascinanti creazione del grande architetto. Committente ne fu donna Camilla Virginia Sabelli, moglie di Pietro Farnese e madre del cardinale Girolamo, costruttore della non lontana Villa Aurelia, sede dell’Accademia americana. La nobildonna aveva creato una comunità di giovani desiderose della vita claustrale. La chiesa fu costruita tra il 1642 e il 1643, mentre il monastero dovette, per difficoltà economiche, attendere fino al 1655 per essere costruito e più oltre ancora per le rifiniture. Comunque la facciata della chiesa, curva nella parte centrale ed affiancata da due costruzioni laterali somiglianti a torrette, è rimasta incompiuta. L’interno ripete lo schema della Chiesa dei Re Magi nel Palazzo di Propaganda Fide, a piazza di Spagna, sempre del Borromini.
Roma, 22 ottobre 2017