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  1. La grande arte del Ducato di Parma: Correggio e Parmigianino

    La mostra in corso a Roma alle Scuderie del Quirinale è di grande importanza per una serie di motivi.

    Ritratto di giovane donna detta "schiava turca" - Parmigianino

    Ritratto di giovane donna detta “schiava turca” – Parmigianino

    Intanto per il numero di opere giunte dai più prestigiosi musei e gallerie d’arte italiane e straniere. In secondo luogo perché offre l’opportunità ai visitatori, soprattutto romani, di scoprire un’altra capitale dell’arte italiana: la Parma ducale del XVI secolo, fucina di artisti sublimi quali appunto Correggio e Parmigianino. E non solo.
    Affidata alla cura di David Ekserdjian, autore delle fondamentali monografie sull’uno e sull’altro, Correggio e Parmigianino, arte a Parma nel Cinquecento propone un centinaio di lavori, soprattutto dei due maestri ma anche dei loro seguaci: Michelangelo Anselmi, Francesco Maria Rondani, Giorgio Gandini del Grano e Girolamo Mazzola Bedoli. Insomma, la grande “scuola di Parma”. Intrasportabili alcune opere delicatissime (come l’Autoritratto nello specchio tondo di Parmigianino oggi a Vienna), l’esposizione organizzata dall’azienda speciale Palaexpo propone comunque un serrato confronto, sia stilistico sia tematico, tra l’arte di Antonio Allegri (1489-1534), il Correggio dal nome della sua città, e l’opera di Francesco Mazzola, Parmigianino essendo nato nel 1503 (morirà a soli 37 anni) proprio a Parma. La mostra, al secondo piano, offre peraltro uno spaccato importate sul disegno – la tecnica che proprio il Cinquecento elesse come arte autonoma -, restituendo su carta le imprese murali dei due emiliani: dagli affreschi del Correggio nella Camera di San Paolo (la lezione di Mantegna), in San Giovanni Evangelista (l’influsso di Michelangelo) e in Duomo (angeli e santi proto-barocchi). O i disegni più finiti e innovativi del più giovane collega: nello stesso San Giovanni e nei miti pagani della Rocca di Fontanellato.

    Noli me tangere - Correggio

    Noli me tangere – Correggio

    Proprio per dare conto della dimensione architettonica, extra cavalletto, dei due pittori, la mostra, coordinata da Matteo Lanfranconi, si apre con le colossali (sono alte 5 metri) portelle d’organo di Parmigianino per la Steccata. E subito dopo, prima sala, ecco la gioventù di Correggio sotto l’impronta di Mantegna (il Trionfo di San Benedetto Po ma anche il Riposo durante la fuga in Egitto degli Uffizi). Passata la saletta sul Parmigianino enfant prodige (le Nozze mistiche di Caterina a Bardi furono dipinte a 17 anni), ecco il faccia a faccia tra i due con i gesti esagerati ed enfatici del Saulo disarcionato sulla via di Damasco(da Vienna) di Parmigianino e la natura rigogliosa che incornicia l’intima apparizione divina nel Noli me tangere (dal Prado di Madrid) del Correggio.
    Molte altre le occasioni di confronto. E se nelle storie degli antichi spicca Correggio con la Danae Borghese e Venere, Mercurio e Cupido di Londra, la ritrattistica è tutta per Parmigianino: con la gelida, magnifica Antea (da Napoli) e l’ammiccante, conturbante dama in veste di Schiava turca in arrivo da Parma.
    Ma chi erano costoro? «L’arte di Antonio Allegri si abbandonava alla gioia della luce e del colore; vedeva le forme alleggerite e consunte dall’atmosfera, i contorni ondeggianti e labili, gli sfondi lontani e ariosi, amava le note calde, le carni bionde, i fogliami saturi d’oro; l’arte del Parmigianino, precisa invece e adamantina nei contorni, giunge dalle eleganze sfavillanti e capricciose di Fontanellato, preludio alle delizie ornamentali del Settecento, alle fredde eleganze dell’Impero nella Madonna dal collo lungo».

    Conversione di Saulo - Parmigianino

    Conversione di Saulo – Parmigianino

    Così, scriveva Adolfo Venturi, grande storico dell’arte italiano.
    Certo, Parma non poteva certo contare su una tradizione pittorica quattrocentesca paragonabile a quella ferrarese. Ma proprio a Parma la pittura emiliana cinquecentesca trova il centro più attivo, dapprima grazie a Filippo Mazzola e poi, soprattutto, con l’attività di Correggio e del Parmigianino.
    Il primo compie un lungo iter di formazione dapprima in ambito emiliano, poi a Mantova, presso l’anziano Mantegna, e infine, durante il secondo decennio del Cinquecento, alla ricerca di una libera interpretazione di Leonardo. Unendo a questi richiami la meditazione su Raffaello e sull’arte a Roma (nonostante Vasari abbia sempre negato che si sia mai recato nell’Urbe), il Correggio assume una posizione culturalmente autonoma, alla ricerca di una fluidità narrativa, mediata dallo sfumato leonardesco, dal perfetto dominio del virtuosismo prospettico e da un morbido senso del colore. La sua produzione è scandita da tre successivi cicli di affreschi: la Camera della Badessa nel convento di San Paolo, la decorazione della chiesa di San Giovanni Evangelista, l’Assunzione nella cupola del Duomo. Senza mai abbandonarsi alla raffinata artificiosità del nascente Manierismo, il Correggio si allontana decisamente dalle regole quattrocentesche, ponendo i presupposti per lo sviluppo della grande decorazione barocca. Accanto ai grandi affreschi, nel corso degli anni venti, l’artista dipinge importanti pale d’altare, esprimendo una sensibilità raffinata, attenta alla morbidezza del modellato come agli elementi compositivi.

    Madonna di San Zaccaria - Parmigianio

    Madonna di San Zaccaria – Parmigianio

    Esemplari, in tal senso, le due pale della Galleria nazionale di Parma: la Madonna di San Gerolamo e la Madonna della scodella. L’ambientazione notturna dell’Adorazione dei pastori di Dresda apre ulteriori sviluppi alla ricerca luministica dell’arte italiana, attraverso la riproposta effettuata dai Carracci nel tardo Cinquecento. Durante gli ultimi anni di vita il Correggio concepisce Giove e Antiope e subito dopo il ciclo di tele raffiguranti “gli amori di Giove” per Federico Gonzaga. Ne esegue quattro: Danae (Roma, Galleria Borghese), Leda (Berlino, Staatliche Museen), Io e Ganimede (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Opere fondamentali nella storia della pittura mitologica e profana, in assoluto equilibrio tra sensuale resa naturalistica e trasfigurazione poetica.
    Molto diverso da quello del Correggio è il percorso dell’arte del Parmigianino. Allievo del Correggio, esordisce assai precocemente, mostrando, fin dall’inizio, spiccati interessi nel campo della grafica e per particolari effetti percettivi, testimoniati da una delle sue opere, l’Autoritratto entro uno specchio convesso. La passione per l’alchimia, esercitata dal Parmigianino per tutta la vita, è un’ulteriore riprova della ricerca di una “nuova natura”: in questa chiave, si comprendono meglio alcune scelte stilistiche del maestro. Dopo l’iniziale collaborazione con il Correggio in San Giovanni Evangelista (intorno al 1522), il Parmigianino trascorre un breve ma importante periodo nella piccola corte di Galeazzo Sanvitale a Fontanellato.

    Fuga in Egitto con San Francesco - Correggio

    Fuga in Egitto con San Francesco – Correggio

    In particolare sintonia con i gusti esoterici e alchemici del signore, dipinge il ritratto del Sanvitale (oggi nelle Gallerie di Capodimonte, a Napoli) e soprattutto affreschi che decorano la “stufetta”, il bagno personale della moglie del Sanvitale, con l’episodio di Diana e Atteone.
    In contrasto con il Correggio, il Parmigianino predilige forme levigate, affusolate, con un colore steso in modo compatto, quasi smaltato, come mostrano in particolare i non numerosi ritratti.
    Dall’Emilia, il Parmigianino si trasferiscs in Italia centrale dal 1524 e il 1531, a Roma e poi a Firenze, divenendo uno dei maggiori e più originali protagonisti della diffusione della “maniera”.

  2. Henri de Toulouse-Lautrec al Museo dell’Ara Pacis

    La mostra che il Museo dell’Ara Pacis dedica a Toulouse-Lautrec è un’occasione molto particolare perché illumina alcuni aspetti poco noti dell’arte del famosissimo artista francese.

    Il Grande Palco - Henri de Toulouse-Lautrec

    Il Grande Palco – Henri de Toulouse-Lautrec

    Sono qui raccolte circa 170 litografie che fanno parte della collezione del Museo di Belle Arti di Budapest. Non solo, quindi, i ben noti manifesti, ma un vasto spaccato dell’opera grafica di Henri de Toulouse-Lautrec: illustrazioni, copertine di spartiti e locandine, alcune delle quali sono autentiche rarità perché stampate in tirature limitate, firmate e numerate, e corredate dalla dedica dell’artista.

    La mostra dà modo di conoscere anche un aspetto quasi “intimo” dell’arte del grande pittore francese: i menu realizzati in occasione di eventi conviviali, dove i partecipanti appaiono in caricature. Menu che gli amici, invitati a queste cene, conservavano come souvenir.

    In questa sezione della mostra sono comprese anche alcune litografie dedicate al tema dei cavalli. Il fantino e Gita in campagna, oltre ad essere due opere che affrontano un tema caro a Toulouse-Lautrec, ce lo mostrano intento a studiare la natura nella sua interezza: certamente una novità visto che la sua opera è più strettamente legata al mondo dei locali notturni di Montmartre, alle sue luci e alle sue ombre. Immancabile è infatti l’occhio che l’artista getta sulla società borghese del tempo, sui frequentatori dei teatri e non solo.
    In mostra anche litografie che raffigurano le amate e famosissime ballerine tra cui Jane Avril e altre forse meno note al grande pubblico delle mostre d’arte, come Loïe Fuller,

    Loie Fuller - Henri de Toulouse-Lautrec

    Loie Fuller – Henri de Toulouse-Lautrec

    che introdusse almeno due importanti innovazioni nel mondo del ballo: si tolse le scarpe e abolì quella corazza di stecche di balena che era il reggiseno alla fine dell’Ottocento. Di Loïe Fuller, che può essere considerata l’inventrice del balletto moderno insieme a Isadora Duncan e Ruth St. Denis, oltre alle litografie realizzate da Lautrec, è possibile vedere anche un breve filmato. Loïe Fuller fu la prima a rendersi conto dell’importanza e dell’impatto che sullo spettatore di un balletto poteva avere il connubio movimento/luce. Per questo motivo curava in particolare l’illuminazione delle sue danze e ballava con vaporose tuniche che ampliavano il movimento, indossando delle “ali da farfalla” di radio che le rendevano fosforescenti (l’esposizione massiccia alle radiazioni la condusse peraltro alla morte per cancro).
    Nella estesa ritrattistica al femminile non possono mancare le attrici famose come la grande Sarah Bernhard, che rivoluzionò il mondo del teatro femminile.
    Non possono mancare perché certamente l’universo di Toulouse-Lautrec è un universo femminile, popolato da donne affascinanti. Ma Jane Avril, Loïe Fuller, Sarah Bernhard e le altre donne di successo si contendono l’attenzione, l’occhio (non solo pittorico) e l’amore incondizionato di Henri Toulouse-Lautrec insieme alle tante altre che vivono nelle case chiuse, conducendo una vita spesso difficile. Anche a queste donne va il sentimento dell’artista francese che le sente a se vicine e di cui racconta la fatica di vivere, l’intimità quotidiana, la stanchezza, il desiderio di normalità. Aspetti della vita di queste donne che Toulouse-Lautrec conosceva molto bene,

    Donna alla tinozza - Henri de Toulouse-Lautrec

    Donna alla tinozza – Henri de Toulouse-Lautrec

    non solo perché frequentatore di case chiuse, ma soprattutto come colui che per lunghi periodi della sua vita aveva eletto le case chiuse a sua fissa dimora. Come ospite aveva quindi la possibilità e in definitiva il piacere di condividere con queste donne la vita nella sua quotidianità, con tutti i suoi lati oscuri e con quelli luminosi.
    L’itinerario dell’esposizione è scandito in cinque sezioni tematiche e tiene puntualmente conto delle esperienze formative, artistiche e intellettuali del grande francese: partendo dalle opere dei primi anni della produzione artistica di Toulouse a quelle del primo periodo parigino dove forte è l’influenza del quartiere di Montmartre, in un percorso che sfocia nelle influenze dell’avanguardia degli Artistes Incohérents.

  3. Una dolce vita?

    “Una dolce vita? Dal Liberty al design Italiano. 1900-1940” è il titolo dell’affascinante mostra in corso al Palazzo delle Esposizioni che visiteremo insieme il prossimo 9 gennaio 2016.

    Panciotto per Fedele Azari - Fortunato Depero

    Panciotto per Fedele Azari – Fortunato Depero

    La dolce vita del titolo non ha naturalmente nulla a che vedere con via Veneto e con la Roma degli anni Sessanta, ma si rifà piuttosto a quel periodo storico, artistico e sociale che va sotto il nome di Belle Époque: epoca bella, dunque, o vita dolce. Un’espressione che sottolinea la voglia di vivere e l’ottimismo di una fase storica che paradossalmente risulterà invece una delle più tormentate e tragiche della storia dell’umanità. L’arco temporale della mostra si apre con l’Età giolittiana, a pochi decenni dall’unificazione italiana e da quei fermenti politico-sociali che percorsero l’Europa intera facendo tremare e incrinare le fondamenta di tutti gli imperi; e copre, nei quarant’anni indicati dal titolo, tragedie immani come la Prima guerra mondiale, la depressione americana, l’avvento di fascismo e nazismo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale con tutti gli orrori che conosciamo.

    Che senso può avere allora, sembra chiedersi la mostra, parlare di “dolce vita” e prima ancora di Belle Époque?

    Vaso a bulbo - Galileo Chini

    Vaso a bulbo – Galileo Chini

    Innanzitutto fu un periodo caratterizzato da un gran numero di straordinarie innovazioni tecniche e tecnologiche che cambiarono in meglio la vita di intere popolazioni. Nel breve volgere di pochi anni l’illuminazione elettrica pubblica delle strade venne a sostituire quella a gas (in Italia prima a Torino e poi a Milano) rendendo più sicure le strade ed allungando così le serate della società borghese, che riempie i teatri di prosa e soprattutto quelli dell’opera.

    In un rincorrersi di invenzioni inimmaginabili fino a pochi anni prima, arrivano poi l’automobile, il cinema, la radio, la macchina per scrivere, i manifesti pubblicitari, l’aeroplano. I grandi transatlantici – di cui il Titanic sarà la tragica epitome – avvicinano le due metà dell’Occidente, il mondo intero è a portata di mano.
    I nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto il cinema e la radio, portano anche alla nascita di un “tipo” umano fino allora sconosciuto: il divo. È un divo, per esempio, Gabriele D’Annunzio, il primo letterato italiano a diventare “personaggio”. Leggere Il Piacere diventa un must, e le pose eccentriche e teatrali del suo autore sono un modello e un’ispirazione per borghesi e aristocratici di successo che cercano di essere alla moda. Ed è un divo anche Giacomo Puccini, il compositore del momento, acclamato dal mondo intero. Con La Bohème consacra uno stile di vita nuovo, più libero, all’insegna dell’arte e del rifiuto delle convenzioni; con La Fanciulla del West – che non a caso debutta in America, al Metropolitan di New York – inventa il musical in stile western.

    Vaso a murrine con sostegno in ferro battuto - Umberto Bellotto

    Vaso a murrine con sostegno in ferro battuto – Umberto Bellotto.

    La vita migliora e si allunga un po’ per tutti, anche grazie ai progressi della medicina: dalla scoperta dei vaccini alla diffusione della pasteurizzazione, all’introduzione dell’anestesia nelle operazioni chirurgiche, si direbbe davvero che medici e scienziati siano a un passo dal dare scacco alla morte.
    Tra le manifestazioni che meglio sintetizzano quest’epoca – o meglio, questa Belle Époque –, le Esposizioni Universali esaltano le magnifiche sorti e progressive del cammino dell’umanità, lasciando a bocca aperta le folle che gremiscono gli stand avveniristici e ammirano le grandiose costruzioni erette per l’occasione come il Crystal Palace a Londra o la Tour Eiffel a Parigi.

    Ma se da un lato la vita sorride e si sorride alla vita, il mondo occidentale è percorso anche da fortissime tensioni sociali portate dalla seconda rivoluzione industriale e dall’avvento di un capitalismo più che mai aggressivo e spietato. L’America sprofonda nella Depressione, il crollo dell’impero asburgico spinge l’Europa centrale verso il baratro e l’orrore della miseria, con le conseguenze che sappiamo. L’Italia giolittiana constata il tradimento delle tante promesse sbandierate dal Risorgimento e da chi – Garibaldi su tutti – aveva prospettato l’unificazione del paese come soluzione di tutti i mali, compresi i secolari problemi del mezzogiorno. I contadini che avevano sperato nella riforma agraria vedono crollare ogni illusione, gli operai non possono permettersi nemmeno quei generi di prima necessità che concorrono a produrre.

    Pupazzo Campari - Fortunato Depero

    Pupazzo Campari – Fortunato Depero

    Le manifestazioni di piazza sono ormai inevitabili: le più note, “le proteste dello stomaco” che scuotono Milano nel 1898, si concludono tragicamente con l’intervento dell’esercito voluto da re Umberto I. Il generale Bava Beccaris ordina di aprire il fuoco sulla folla: è un bagno di sangue, il cui bilancio definitivo non fu mai comunicato ufficialmente.

    E poiché il mondo si è fatto più piccolo e più vicino, per sfuggire alla fame si parte per le Americhe. Interi paesi si svuotano, nel sud ma non solo, per stivarsi nei sovraffollati comparti di terza classe dei transatlantici e raggiungere gli Stati Uniti, certo, ma anche Canada, Argentina, Venezuela, Brasile. Mete sognate di viaggi in cui rassegnazione e speranza, disperazione e incrollabile ottimismo si mescolano e si confondono.

    Quest’era di paradossi e di contrasti non poteva non trovare un riscontro nell’arte. In Italia, in particolare, sembra prevalere l’ottimismo ad ogni costo – anche a quello, magari, di chiudere un po’ gli occhi per non vedere. Il desiderio, anzi la convinzione che tutto andrà per il meglio. E l’arte diventa Nouveau, diventa Liberty.
    Si reagisce all’algido rigore del neoclassicismo con un ritorno vigoroso della linea curva e sinuosa spesso ispirata direttamente dalla natura: fiori, tralci di foglie, ramages e animali entrano nella decorazione delle architetture e non solo. Ma il mondo dell’arte incontra – ed è la prima volta che accade – anche quello dell’industria: le arti applicate, fino a quel momento considerate di secondo piano, conquistano il centro della scena.
    Oggetti di uso quotidiano, sedie, tavoli, divani, piatti, bicchieri ma anche abiti, giocattoli, strumenti musicali diventano “oggetti d’arte”, atti non solo a svolgere una funzione ma anche ad assolvere il ruolo di oggetto d’arredo così come oggi ancora lo intendiamo.
    Dal liberty e dalle sue sinuose rotondità nasce il design, e in particolare il design italiano, con le prime firme che ne fanno un’eccellenza ammirata ancora oggi dal mondo intero: da Depero a Balla, Bugatti, Cambellotti fino a Gio Ponti. Una forma di creatività inarrestabile che nemmeno la Bahaus e il razionalismo riuscirono completamente a soffocare.
    La bellissima mostra allestita presso il Palazzo delle Esposizioni ci proietta direttamente in questa atmosfera di genialità: oggetti, colori, forme sempre nuove e sorprendenti che comunicano quel senso di meraviglia che è una delle caratteristiche di quest’epoca, come di chi ammiri uno spettacolo di fuochi d’artificio in una notte limpida d’estate.

  4. IMPRESSIONISTI. Tête-à-tête

    Grazie al solido rapporto tra il Musèe d’Orsay di Parigi e il Complesso del Vittoriano, abbiamo l’opportunità di ammirare, in un’eccezionale esposizione dal titolo “IMPRESSIONISTI. Tête-à-tête”, più di settanta opere, di cui dieci sculture, dei grandi maestri dell’Impressionismo.

    L'altalena - Renoir

    L’altalena – Renoir

    Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Berthe Morisot: questi gli artisti protagonisti dell’Impressionismo e della grande mostra.
    Il movimento impressionista irrompe sulla scena dell’arte parigina distruggendo le regole dell’arte da Salon, l’esposizione che si teneva a Parigi con cadenza regolare, prima biennale e poi annuale, e dove esponevano i pittori che aderivano integralmente ai dettami della pittura più classica, quella legata all’Accademia.
    Nel 1863 i tempi, non solo artistici, a Parigi sono tali che moltissime opere sono state scartate dal Salon, perché non sono più in accordo con le regole della pittura classica. Viene quasi naturalmente a crearsi un Salon parallelo: il Salon des Refusés, ovvero il Salon delle opere e degli artisti rifiutati, che viene inaugurato da Napoleone III.
    Ma cosa c’era in queste opere che ne decreta il rifiuto da parte del Salon? Sono opere che, per la prima volta nella storia dell’arte, esprimono in maniera prepotente il desiderio dell’artista di fissare sulla tela, il contemporaneo o la fugacità del momento.

    L'abito rosa - Frederic Bazille

    L’abito rosa – Frederic Bazille

    Si abbandona, per la prima volta, la rappresentazione della scena mitologica, o di quella sacra, del soggetto storico, del potente a cui si è legati e che decreta la fama dell’artista, per concentrare la propria attenzione su altro, ed in questo radicale cambiamento la figura umana viene scelta come mezzo che permette all’artista di esplorare il mondo circostante, tanto che lo stesso Zola afferma, nel 1868: “….sono pittori che amano il loro tempo…cercano prima di tutto di penetrare figure prese dalla vita e le hanno dipinte con tutto l’amore che provano per i soggetti moderni”.

    L’esposizione traccia un ritratto della società parigina della seconda metà dell’Ottocento, attraversata dai grandi mutamenti artistici, culturali e sociali di cui gli impressionisti furono allo stesso tempo potente motore e testimoni.
    Attraverso i volti, gli abiti e gli accessori dei personaggi ritratti, attraverso i luoghi e le ambientazioni in cui i personaggi sono inseriti, la mostra offre la possibilità di ricostruire l’ambiente culturale, i contesti sociali e gli stimoli artistici in cui operarono gli artisti impressionisti, e, soprattutto, di cogliere quella “rivoluzione culturale” e quel rinnovamento stilistico di cui il movimento impressionista fu portavoce.
    I soggetti di queste opere, che sono letterati, pensatori, artisti e personaggi famosi sono ritratti non solo nella loro dimensione pubblica, ma anche in quella più privata della vita e degli affetti, permettendo in questa maniera di avere una percezione, una visione completa della loro “umanità”, come probabilmente mai, in tutta la ritrattistica precedente, era accaduto.

    L'Atellier - Frederic Bazille

    L’Atellier – Frederic Bazille

    E poiché il punto di vista dell’artista sulla vita e sulla sua rappresentazione cambia così radicalmente, cambierà anche la nostra esperienza. Quando vedremo il dipinto intitolato L’atelier di Bazille del 1870, i colori, gli oggetti e la naturalità della scena ci trasporteranno dentro di essa. Potremo sentirci proprio seduti su quel divanetto a due posti, rosa champagne, mentre leggiamo una rivista accompagnati dal suono del pianoforte.

    Un attimo dopo saremo alle spalle della fanciulla in abito rosa che seduta a riposare sul muretto guarda il panorama traendone a sua volta una tranquillità tale che anche noi potremo liberarci degli affanni della nostra vita quotidiana, almeno per un momento.

    Il balcone - Manet

    Il balcone – Manet

    Ritorneremo bambini sull’altalena di Renoir e poi potrà accadere di sentirci ospiti proprio sul quel Balcone di Manet, insieme agli amici più cari dell’artista e magari proprio poco dopo aver tirato la palla al cagnolino che non l’ha ancora raggiunta.

    La visita a questa mostra offre perciò un’occasione davvero speciale che non sta solo nella possibilità di ammirare opere diventate vere e proprie icone dell’impressionismo, ma anche nella possibilità di vivere per il tempo della visita la società borghese della Parigi di fine Ottocento, così come gli artisti, i loro amici ed i loro interlocutori la vivevano.