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  1. Testo

    Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale

    Charles Péguy

    Il testo che qui proponiamo è tratto dal volume Véronique. “Dialogo della storia e dell’anima carnale” del grande scrittore francese Charles Péguy, edizioni Piemme, 2002. E’ un breve dialogo tra Clio, la Storia, e Calliope, la musa della poesia, che tratta delle ninfee di Monet, forse il tema pittorico più noto del grande pittore francese.

    Ninfee – Claude Monet – 1897.


    Péguy, nato nel 1873 e morto nel 1914, proveniente da una famiglia di Orléans, rivendicò sempre con orgoglio la sua appartenenza al popolo, alla gente semplice. Dopo aver militato in gioventù nel partito socialista, ritrovò la sua fede cattolica senza rinnegare nulla della sua storia. Poeta e saggista, nel 1900 fondò la rivista «Cahiers de la quinzaine» e pubblicò numerose opere in versi e prosa.
    In Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale, c’è Clio, la Storia, che si affanna a cercare le tracce nel passato. E «una bambina, la piccola Veronica, che tira fuori il suo fazzoletto e sul volto di Cristo prende un’impronta eterna. Lei si è trovata al momento giusto. Clio è sempre in ritardo» scrive Péguy.
    Il dialogo è tra Clio, la Storia e Calliope, la musa della poesia epica, figlia di Zeus e Mnemosine, conosciuta come la Musa di Omero, l’ispiratrice dell’Iliade e dell’Odissea. Proprio nelle primissime pagine dell’opera Clio accenna a Monet e alle sue «mirabili ninfee». Anzi, di una sola, la prima della serie.

    continua…

  2. Claude Monet. Capolavori dal Musée Marmottan al Vittoriano.

    Diceva Monet: «tutti discutono la mia arte e affermano di comprenderla, come se fosse necessario comprendere, quando invece basta amare».

    Claude Monet fotografato da Nadar nel 1899.

    Di fatto è proprio così. La sua arte entra nell’anima senza mediazioni capace di catturare il groviglio delle nostre emozioni più fanciullesche. Di fronte a un tramonto da sogno o ai riflessi della luce sull’acqua cristallina, non possiamo che pensare a questo strano omone dalla folta barba con l’inseparabile tavolozza, il cavalletto e le tele dove cerca di cogliere quel meraviglioso e irripetibile attimo fuggente prima che quella sensazione magica svanisca per sempre.
    È stato un pittore puro Monet: non ci sono tracce di bozze o disegni nelle sue opere, una dissoluzione della forma a favore del colore che sarà via via sempre più evidente nel corso della sua carriera.
    La mostra che gli dedica il Vittoriano ha molti pregi. Intanto si tratta di una retrospettiva monotematica composta da sessanta opere provenienti dal Musée Marmottan di Parigi, che custodisce il principale fondo mondiale di opere dell’artista donate dai collezionisti dell’epoca e soprattutto dal figlio Michel.
    Inoltre, un altro aspetto da non sottovalutare, è la provenienza delle opere: sono esposti tutti lavori che Monet teneva gelosamente custoditi nella sua ultima e amatissima dimora di Giverny, perché temeva che non sarebbero stati apprezzati. Si tratta di quadri che ripercorrono tutte le fasi della sua ricchezza espressiva sempre tesa a rinnovarsi nel tempo: ai paesaggi prodotti tra gli anni settanta dell’Ottocento e i primi del Novecento – realizzati in varie zone della Francia, ma anche in Inghilterra e in Italia – si affianca uno straordinario insieme di Ninfee monumentali, tele mai esposte durante la vita dell’artista. Una selezione operata dal pittore stesso dunque che ci restituisce un suo lato più emozionale e intimistico palesato anche dai teneri ritratti dei figli.
    La mostra è corredata anche da una sorta di passerella multimediale lungo la quale, con effetti speciali, sono proiettate le opere di Monet rimandando così la sensazione di camminare sulle acque dello stagno di Giverny.

    Ritratto di Michel Monet neonato – Calude Monet – 1878/1879.

    L’allestimento espositivo si compone di cinque sezioni tematiche introdotte da una serie di dipinti intimisti che Claude dedicò ai due figli di prime nozze, Jean e Michel. Una vera ‘chicca’ perché Monet dipinse pochissimi ritratti nella sua vita, alcuni appunto conservati nel museo Marmottan, e tutti dedicati ai propri figli. Questo gruppo di dipinti testimonia il profondo attaccamento dell’artista alla sua famiglia, e il suo bisogno di sentirsi circondato da chi ne faceva parte anche quando, per motivi di lavoro, non poteva condividere la quotidianità con chi amava.
    Tra i ritratti spicca il Ritratto di Michel Monet neonato che è datato tra il 1878 e il 1879, quando il figlio Michel aveva solo un anno.
    Di fronte ai ritratti, una sorpresa. Monet è uno di quei pittori che con le sue ninfee e le sue tele dedicate al paesaggio è entrato di forza nell’immaginario comune. Sorprenderà quindi vedere esposte un gruppo di caricature, datate alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, con le quali, Monet ancora ragazzo, si guadagnava qualche soldo in quella città di Le Havre dove la sua famiglia si era trasferita.
    Era lui stesso a raccontare che a quindici anni era molto famoso per questa sua attività di caricaturista tanto che le persone più disparate lo cercavano in città perché realizzasse per loro caricature.
    Le varie fasi della lunga vita artistica di Monet si susseguono in mostra, ma non solo, l’una all’altra accomunate da un unico fil rouge: un’empatia totale con la natura e le variazioni del tempo e della luce.
    Passando da una sala all’altra emerge una delle caratteristiche pregnanti dell’arte di Monet: il superamento della riproduzione degli elementi figurativi, tanto che gli ultimissimi lavori preludono all’informale e all’astrattismo.
    La sezione degli incantevoli paesaggi impressionisti en plein air, corrisponde agli

    Castello di Dolceacqua – Claude Monet – 1884.

    anni in cui l’artista vaga nel mondo alla ricerca di una fusione con l’inafferrabilità di quelle impressioni che solo la bellezza sconvolgente della natura o dei paesaggi urbani sa donargli: la campagna francese, Londra e anche qualche breve sosta in Italia. In mostra a testimoniare il suo passaggio in Italia è presente il delizioso Castello di Dolceacqua del 1884.
    Dal contatto con la cultura e l’arte giapponese avvenuta in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1878 e soprattutto dall’aver potuto ammirare le due opere di Hokusai le Trentasei Vedute del Monte Fuji e le Cento Vedute del Monte Fuji, nasce l’idea/esigenza della “serie”: uno stesso soggetto ripreso più volte in diverse ore della giornata. Le serie sono di tipologie differenti. Esse affrontano, ad esempio, il tema dell’interazione della luce con le architetture come nell’opera Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi del 1905, o possono assumere il significato di diario quotidiano, come nel caso della serie dedicata alle iconiche ninfee, che il pittore riprendeva dal suo giardino acquatico stile giapponese, concepito come un dipinto, della sua definitiva dimora di Giverny.
    Anche nel caso della serie delle ninfee si può vedere come al passare del tempo, le prime tele su questo tema risalgono al 1840 e Monet continuerà a ritrarle fino al sopraggiungere della morte avvenuta nel 1926, il tratto pittorico diventi sempre più essenziale, finendo con il ridurre il soggetto del fiore a semplici linee astratte che suggeriscono la presenza dello stagno, dei fiori, delle foglie e dei relativi riflessi.

    Ninfee – Calude Monet – 1916.

    Le note ninfee divengono così pure dei misteriosi fiori acquatici, le acque dello stagno interagendo con la luce naturale creano effetti riflessi di alberi, cielo e nuvole, giochi che continuamente attraggono Monet, alimentandone la sperimentazione e la poetica.
    Analogamente sorprendenti i lavori dedicati al Ponte Giapponese, elemento essenziale del giardino di Giverny anch’esso tratto, per la sua caratteristica rotondità, da alcune immagini derivate direttamente dal mondo di Hokusai. Il ponte è ritratto innumerevoli volte, in diverse ore della giornata, a volte tal quale, altre come riflesso nello stagno, in altre occasioni, come accade già per le ninfee, il ponte sembra quasi solo evocato.
    La figurazione si dissolve, la visione prende il posto della descrizione. Certamente i problemi agli occhi di Monet, che andarono via via acuendosi, influirono notevolmente su questa evoluzione, ma è indubbio che si tratti anche di una visione artistica desiderata e ricercata, una naturale evoluzione della serialità che conduce all’essenziale e che si tramuta in anticipazione di ciò che accadrà più avanti nell’arte.

    Caricatura di un uomo con grande sigaro – Claude Monet – 1855.

    Il tema del ponte unito a quello del salice piangente costituiscono il momento forse più intimo ed emozionante dell’intera mostra. Nella poetica di Monet questi soggetti rappresentano il suo immenso dolore per la perdita della seconda moglie e del figlio Jean.
    L’ultima sezione della mostra è dedicata ai pannelli monumentali che Monet decise di donare allo Stato francese per celebrare la fine della Prima Guerra Mondiale. Un lavoro enorme al quale dedicherà gli ultimi anni della sua vita e solo una parte dei quali fu scelta per essere esposta al Musèe de l’Orangerie a Parigi.

    Roma, 20 febbraio 2018

  3. Arte

    Hokusai. Sulle orme del maestro.

    Ornella Massa

    Hokusai racconta, in un celebre scritto di suo pugno, di aver iniziato a disegnare all’età di cinque anni. La sua carriera “ufficiale” da pittore inizia però a diciannove

    Autoritratto – Hokusai 1830

    anni quando entra nella bottega di Katsukawa Shunshō, uno dei massimi pittori dell’ukiyōe attivo nella seconda metà del Settecento. Qui Hokusai, che nella realtà si chiamava Tokitarō, riceve il suo primo nome da pittore direttamente dal suo maestro. Da questo momento in poi si chiamerà e firmerà le sue opere con il nome di Shunrō.
    Nel corso della sua lunga vita di uomo e di artista, il maestro più conosciuto della pittura giapponese cambierà il nome moltissime altre volte, alcuni gli riconoscono almeno una trentina di nomi diversi, ma cinque di essi segnano i passaggi fondamentali, momenti di trasformazione profonda dell’arte, trasformazione che non riguarderà solo le modalità pittoriche vere e proprie, a esempio la maturità e la sicurezza proprio nel segno grafico o l’uso del colore, ma riguarderà la maniera del maestro di guardare alla realtà che lo circonda e le modalità con cui rappresentarla.

    continua…

  4. Archeo

    Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa.

    Il fascino dei Mercati sotto le luci da Oscar di Storaro

    La mostra allestita presso i Mercati di Traiano, ripercorre attraverso l’esposizione di statue, ritratti, decorazioni architettoniche, calchi della Colonna Traiana, monete d’oro e d’argento, modelli in scala, rielaborazioni tridimensionali e filmati la storia della

    Traiano

    costruzione dell’Impero di Traiano, che riuscì a tenere insieme popolazioni diverse che governate da uno Stato con leggi che ancora oggi sono alla base della giurisprudenza moderna.
    La buona amministrazione, l’influenza anche di donne capaci, vere e proprie “first ladies” che ebbero ruoli centrali nella politica e nella tenuta dell’Impero, campagne di comunicazione e capacità di persuasione atte ad ottenere il consenso popolare attraverso opere di pubblica utilità, sono tra gli ingredienti che consentirono all’Impero di costituirsi e di tenersi insieme.
    La mostra, che si apre con la morte di Traiano, avvenuta in Asia Minore, e, unico caso della storia romana, celebrata con trionfo nella capitale insieme alle sue gesta, è allestita proprio nello splendido complesso dei Mercati di Traiano oggetto qualche anno fa di una visita organizzata da Roma Felix.
    Per questo motivo proponiamo nuovamente la scheda pubblicata in quell’occasione impreziosita dagli splendidi disegni di Pietro Valenti.

    Non è sempre semplice datare la costruzione di un complesso monumentale grandioso e spettacolare come quello dell’area dei Mercati di Traiano,

    Mercati Traianei - Pietro Valenti

    Mercati Traianei – Pietro Valenti

    oggi diventato polo museale per l’intera area dei Fori Imperiali. Dai bolli laterizi edili sappiamo che i mercati vennero costruiti durante il primo quarto del II secolo d.C., ma gli archeologi non escludono l’ipotesi che gli architetti di Traiano (tra i quali non pare ci fosse – contrariamente a quanto si è a lungo ritenuto – il maggior indiziato di firma, Apollodoro di Damasco) avessero ripreso un precedente progetto di Domiziano e l’avessero poi posto in essere ampliandolo e adattandolo alle nuove necessità. E a Traiano, l’imperatore degli alimenta, un sussidio gratuito di Stato per l’infanzia in difficoltà, stava particolarmente a cuore l’annona, ossia il rifornimento di derrate per il popolo dell’Urbe. Sulla stessa lunghezza d’onda va collocata la costruzione del porto di Fiumicino che lo stesso Traiano fece realizzare per destinarlo all’approvvigionamento quotidiano di merce e viveri freschi per la città eterna.

    Mercati Trianei - Via Biberatica - Pietro Valenti

    Mercati Trianei – Via Biberatica – Pietro Valenti

    Prospiciente al complesso dei Mercati e diviso da un’ampia strada basolata, la via Biberatica – che i rilievi archeologici hanno attestato essere punteggiata di tabernae con ambienti abbastanza grandi – campeggia il Foro di Traiano, leggermente interrato rispetto al livello stradale di via dei Fori Imperiali. E poco discosta dai due monumenti, svetta la Colonna Traiana che racconta come un fumetto a sequenze continue le campagne militari daciche che termineranno nel 106 d.C. con la sconfitta del re Decebalo.
    Di sera e con l’illuminazione dei fari architetturali studiata dal maestro della fotografia Vittorio Storaro a scolpire i laterizi, la vista è mozzafiato: i monconi del Foro sottostante vengono sormontati dal complesso a sei ordini sovrapposti dei Mercati, dando pienamente l’idea della monumentalità e al contempo della praticità del progetto. Sì, perché i Mercati traianei non erano affatto un centro commerciale ante litteram, ma anzitutto un nevralgico centro amministrativo per l’intera città del tempo, la quale interagiva, secondo il modello di efficienza amministrativa voluto applicare urbi et orbi dall’imperatore spagnolo, con la

    Mercati Traianei da Via dei Fori Imperiali - Pietro Valenti

    Mercati Traianei da Via dei Fori Imperiali – Pietro Valenti

    polifunzionalità del Foro sottostante. L’architettura e i suoi migliori interpreti tradussero le idee in forme: i due emicicli di diversa grandezza posti a basamento del complesso mercantile, costruiti appositamente a esedra per puntellare il Quirinale sovrastante, donano aria e spazio agli uffici in cui si svolgeva la mercatura e si esercitava la buona amministrazione statale. E lì non si fa fatica ad immaginare l’eco antica di voci e di diversi dialetti e lingue. Quelle degli uomini dell’imperatore di allora e dei turisti stupefatti di oggi. 

    Roma, 16 novembre 2017

    I disegni di questo articolo sono tratti da Una Vista Su Roma Nei Disegni Di Pietro Valenti, a cura di Marco Valenti.