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  1. Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto.

    Le Donne e le Armi -Augusto Bompiani – 1915/1918

    Un tributo alla Capitale d’Italia attraverso gli artisti che l’hanno vissuta e gli stili con cui si sono espressi. Una rassegna unica che ripercorre le correnti artistiche protagoniste del ‘900 con in primo piano la città di Roma, da sempre polo d’attrazione di culture e linguaggi diversi. Presentate oltre180 opere, tra dipinti, sculture, grafica e fotografia, di cui alcune mai esposte prima e/o non esposte da lungo tempo, provenienti dalle collezioni d’arte contemporanea capitoline, in una rilettura ideale della cultura artistica di Roma, una città ipercentrica, seppur multiculturale, nella quale, nei decenni, si sono andate sedimentando diversità e univocità non sempre o non solo in conflitto fra di loro. Proprio come nella specificità cronologica individuata che, lungo il Novecento, si svolge fra Modernità e Tradizione, da Ernesto Nathan, Sindaco di Roma (1907-1913) di dichiarata ispirazione mazziniana negli anni di complessa gestione della capitale, fino al decennio dei grandi movimenti di massa e della rivoluzione artistica e culturale ormai universalmente identificata col nome dell’anno in cui si manifestò in maniera più preponderante: il Sessantotto. La mostra si muove quindi su di un tracciato storicizzato, con il preciso obiettivo di immergere le opere d’arte selezionate nel contesto geo-artistico, temporale e sociale in cui sono state create. Con in primo piano la città, quindi, la sua storia e i suoi luoghi, nelle dissimili ramificazioni territoriali, dal centro alla periferia e viceversa. Ma anche i suoi stili artistici, nei diversi periodi che si sono andati affiancando oppure sovrapponendo e sostituendo, in un avanzamento artistico e intellettuale che ha fatto di Roma il perno della cultura nazionale e internazionale del Novecento, molte volte anticipando temi e stili rispetto ad altri capoluoghi italiani così come per altre capitali europee. In mostra opere che riproducono paesaggi e figure con valenze simboliste e decadenti realizzate tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo (Duilio Cambellotti,

    Tetti di Roma – Renato Guttuso

    Onorato Carlandi, Nino Costa, Adolfo De Carolis, Camillo Innocenti, Auguste Rodin, Adolf Wildt, Ettore Ximenes, ecc.). Si tratta di opere che anticipano quella voglia di rinnovamento e modernità fondamentale per il lavoro degli esponenti della Secessione romana negli anni Dieci (Felice Carena, Nicola D’Antino, Arturo Dazzi, Arturo Noci,ecc.), così come per il gruppo dei futuristi e degli aeropittori degli anni Venti e Trenta (Benedetta Cappa Marinetti, Tullio Crali, Sante Monachesi, Enrico Prampolini, Tato, ecc.). Una parte sostanziale della mostra è dedicata a quella tendenza artistica, per così dire, di “recupero”, spesso teorico oltre che concettuale, dell’antico e della tradizione dell’arte italiana che caratterizza, seppur con distinguo, le molteplici correnti artistiche degli anni Venti-Trenta, dal Tonalismo al Realismo Magico, dalla Metafisica, al Primitivismo, tramite le quali gli artisti “guardano” Roma con un nuovo seppur “antico” sguardo (Giacomo Balla, Giuseppe Capogrossi, Felice Casorati, Emanuele Cavalli, Giorgio de Chirico, Achille Funi, Franco Gentilini, Arturo Martini, Roberto Melli, Fausto Pirandello, Mario Sironi, ecc.). Si prosegue con l’approfondimento della Scuola Romana che offre una notevole rosa di capolavori dell’arte italiana del Novecento con focus sulle demolizioni che hanno caratterizzato Roma nella distruzione/ricostruzione del centro città e il conseguente, dissennato, sviluppo delle periferie (Afro, Mario Mafai, Scipione, ecc.), per immettersi nella fase della figurazione e dell’astrazione – il segno – che ha caratterizzato la cultura post-bellica degli anni Quaranta, Cinquanta e primi Sessanta (Renato Guttuso, Leoncillo, Carlo Levi, Gastone Novelli, Achille Perilli, Giulio Turcato, Lorenzo Vespignani, Alberto Ziveri, ecc.). A chiusura, intesa però come apertura verso un’“altra” Roma, i riscontri urbani della Pop Art romana e delle sperimentazioni concettuali della

    La strada che porta a San Pietro – Scipione.

    seconda metà degli anni Sessanta che hanno definitivamente dilatato il centro dell’arte e del pensiero artistico di Roma, da Roma oltre la stessa città, per un afflato internazionale (Franco Angeli, Mario Ceroli, Tano Festa, Mario Schifano, Pino Pascali, Luca Maria Patella, Mimmo Rotella, ecc.). Anche l’’allestimento della mostra, che coinvolge tutto il museo, è stato pensato tenendo presente il nesso tra i diversi ambienti artistici, tra luoghi temporali e iconografici contigui, al fine di rappresentare la vivace e intensa vita artistica della Capitale. A tal fine anche i tradizionali apparati didattici sono affiancati, in ciascuna sezione, da strumenti multimediali realizzati in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma e l’Istituto Luce. Attraverso l’individuazione di tre concetti chiave – Architettura e urbanistica / Società/ Arte – sarà consentito visualizzare insieme immagini e brevi testi scientifici utili a dimostrare le stringenti relazioni fra, appunto, la città, il suo sviluppo e le arti. Grazie alla collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, la mostra viene anche arricchita da una specifica sezione dedicata ai FILM D’ARTISTA degli anni Sessanta, realizzati dai maggiori artisti che hanno lavorato a Roma, reinventando il linguaggio cinematografico a fini artistici: Franco Angeli, Gianfranco Baruchello, Mario Schifano e Luca Maria Patella. Da luglio 2018 e per tutto il periodo della mostra sono visibili: MARIO SCHIFANO Ferreri (n.d.), Fotografo (n.d.), Reflex (1964), Vietnam (1967), Film (1967), Souvenir (1967); GIANFRANCO BARUCHELLO – Non accaduto, (1968); LUCA MARIA PATELLA – Terra animata (1967), SKMP2 (1968); FRANCO ANGELI – [Attualità] (1967), Schermi (1968), New York (1969).

    (Presentazione ufficiale della Mostra “Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto. http://www.galleriaartemodernaroma.it/en/node/1001288).

    Roma, 20 settembre 2018

  2. Monet al Vittoriano

  3. Egizi Etruschi. Da Eugene Berman allo Scarabeo Dorato

    L’incontro e il confronto tra due grandi civiltà del Mediterraneo è al centro dell’affascinante mostra Egizi Etruschi da Eugene Berman allo Scarabeo Dorato alla Centrale Montemartini. Un confronto, che trae spunto dai preziosi oggetti egizi, databili tra l’VIII e il III secolo avanti Cristo, rinvenuti nelle recentissime campagne di scavo condotte a Vulci, importante città dell’Etruria meridionale, e che è anche un’occasione di riflessione sul valore del dialogo tra le culture, e sul valore dello scambio che sono stati da sempre fonte di progresso per i popoli.

    Maschera d’oro dalla collezione Berman.

    Alle inedite scoperte di Vulci, si aggiungono i preziosi reperti egizi della Collezione Berman e le opere in prestito dalla Sezione Egizia del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Tutte queste testimonianze raccontano degli scambi commerciali ma, soprattutto, del dialogo culturale tra civiltà che condivisero ideali di regalità, simboli di potere e pratiche religiose.
    La mostra si apre con una sezione introduttiva divisa in due parti. La prima, dal titolo “Il fascino dell’Egitto e dell’Etruria nelle collezioni di Augusto Castellani e Giovanni Barracco” permette di cogliere il gusto del collezionismo ottocentesco, attraverso quello di due cultori delle grandi civiltà del mondo antico, Augusto Castellani e Giovanni Barracco, che vissero e operarono negli stessi anni A loro è dedicata la prima parte della sezione introduttiva della mostra. I due collezionisti, infatti, furono tra i maggiori esperti di arte antica dell’Ottocento, legati al composito e multiforme scenario romano della ricerca archeologica e del commercio antiquario. Entrambi, con atto di liberalità, destinarono le loro collezioni al Comune di Roma: Castellani arricchendo i Musei Capitolini e Barracco inaugurando nel 1905 un “Museo di scultura antica” ospitato in un piccolo edificio neoclassico costruito appositamente, oggi indicato con il nome di Museo Barracco.
    La seconda parte della prima sezione, dal titolo “Eugene Berman. Riflessi di antiche civiltà nella scenografia teatrale”, è l’occasione di apprezzare le preziose opere egizie della collezione di Eugene Berman, pittore, illustratore, scenografo e collezionista d’arte russo, donate nel 1952 alla Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria meridionale. Da qui si parte per il vero e proprio percorso espositivo suddiviso in sei sezioni, attraverso le quali i curatori Alfonsina Russo, Claudio Parisi Presicce, Simona Carosi e Antonella Magagnini, hanno voluto indagare e mettere in evidenza i legami e le differenze tra alcuni degli aspetti più peculiari delle civiltà etrusca ed egizia, utilizzando anche i necessari apparati multimediali e didattici che arricchiscono il racconto, accompagnando il visitatore in questo particolare viaggio nel tempo.

    Maschera d’oro e usekh dalla collezione Berman.

    Tra i primi reperti esposti nella seconda sezione, alcune maschere funerarie egizie della collezione Berman, in particolare due esempi di maschere dorate. Osservando questi reperti con attenzione si notano le caratteristiche collane usekh, ovvero le collane composte da più giri di perle o catenine d’oro cui erano appesi numerosi pendenti, che in Egitto venivano indossate sia da uomini che da donne. Queste collane consentono un raffronto con l’oreficeria etrusca, non soltanto per una sorta di transfer tecnologico, ovvero con l’introduzione di nuove tecniche di lavorazione dell’oro, ma anche e soprattutto per il patrimonio immateriale che lo ha seguito, visibile in elementi iconografici e simbolici. A partire dalla fine dell’VIII secolo – inizi VII secolo avanti Cristo, infatti, vengono introdotti nell’oreficeria etrusca nuovi elementi decorativi come i crescenti lunari e i motivi solari, la così detta “signora degli animali”, elemento decorativo del bracciale della Tomba Regolini Galassi di Cerveteri, di cui in mostra sono presenti splendide riproduzioni fotografiche.
    Questi elementi, i cui temi decorativi sono associati non solo alla preziosità del metallo ma hanno anche un importante valore salvifico e apotropaico, si trovano anche su tre pendenti in argento rivestiti di oro della Tomba degli Ori di Vulci, parte di una complessa decorazione dell’abito cerimoniale di una defunta di altissimo rango, e su di una lamina d’argento della Tomba delle Mani D’Argento di Vulci, anche in questo caso facente parte di una sepoltura femminile di alto rango. I reperti relativi a queste due tombe, invece, sono esposti e consentono al visitatore di immergersi nel variegato mondo del bacino del Mediterraneo, fatto, appunto, di scambi di produzioni artigianali e di conoscenze immateriali. Questi scambi indussero le élite aristocratiche etrusche, ma anche la nuova oligarchia mercantile alla ricerca di un riconoscimento della propria posizione nella società, a lasciarsi influenzare dalle credenze egizie in ambito funerario e dai concetti di divinizzazione e di immortalità legati all’oro, facendone uso nei propri corredi funerari.

    Scarabeo in castone dorato dalla Romba dello Scarabeo d’Oro di Vulci

    Nelle due sezioni successive è affrontato il tema della regalità nel Vicino Oriente Antico e come essa fu recepita con successo nel mondo etrusco e il tema dell’immortalità.
    In rappresentanza del mondo egizio vengono presentati alcuni reperti, provenienti dalla collezione Berman e relativi a due tra i più celebri personaggi dell’antico Egitto: Akhenaton e la Grande Sposa Reale Nefertiti.
    Il tema della regalità è anche affrontato attraverso il confronto tra gli scarabei egizi e quelli etruschi, e la rappresentazione nelle due culture del leone quale animale non solo simbolo di regalità, ma anche della fama immortale.
    Per il mondo etrusco i reperti esposti sono quelli della tomba dello Scarabeo Dorato, rinvenuta nella necropoli di Poggio Manganelli a Vulci. La tomba ospitava una giovinetta di 13 – 14 anni di età, il cui corpo è stato deposto con un corredo caratterizzato da ornamenti preziosi provenienti dall’Egitto insieme a ceramiche utilizzate per il banchetto funebre. Il tutto può essere datato all’ VIII – inizi VII secolo avanti Cristo. Del corredo funerario fanno parte la collana di ambra che testimonia l’arrivo di goielli dal nord Europa, gli scarabei e la simbologia ad essi associata si diffondono in Etruria attraverso i Greci che si erano insediati a Pithecusa, ovvero Ischia.

    Scarabeo dalla Toma dello Scarabeo Dorato di Vulci.

    In questo particolare caso sono ritrovati insieme due scarabei, incastonati in oro e in elettro, una lega di oro e argento. Sul primo scarabeo è riprodotto il segno che rappresenta la piuma della giustizia e sono incisi crittogrammi che richiamano il dio Amon, il Signore degli dei egizi, e la dea pantera Mafdet, dea che accompagna il defunto nell’Aldilà. Il secondo scarabeo richiama la figura di Horus, la divinità falco, e la barca del mattino, che per gli egizi indicava la rinascita.
    Il fatto che gli scarabei sono due e che essi siano stati trovati all’interno della medesima sepoltura indica una volontà precisa di far accompagnare la giovane defunta da simboli egizi che fanno riferimento e augurano una continuità di vita oltre la morte.
    Il rapporto con la morte, con l’aldilà e con la rinascita del mondo etrusco è ulteriormente affrontato con l’esposizione di reperti provenienti dalla camera centrale della Tomba delle Mani d’Argento, ritrovata nel 2013 a Vulci insieme con altre sepolture aristocratiche. Il suo ampio corredo funerario che comprende eccezionalmente anche uno sphyrelaton, una statua polimaterica con funzione di simulacro del defunto, fatto di legno e stoffa da cui provengono le celebri mani in argento e oro, con collo in osso, corpo ricoperto da una veste decorata con placchette in oro e un mantello di lana finissima, reso luminoso da una decorazione in piccoli bottoni d’oro. Questo simulacro, che veniva utilizzato durante i riti funebri di personaggi di elevato rango sociale, aveva il ruolo di sostituire il corpo fisico e reale creando un legame con la vita futura, facendo assumere al defunto una dimensione eroica e immortale.
    Completa l’esposizione dei reperti provenienti dalla Tomba delle Mani d’Argento la ricostruzione del carro ritrovato nella Camera B della medesima tomba. Il carro è un altro richiamo alla tradizione egizia in quanto esso era utilizzato dal Faraone per andare in guerra.

    Mani d’Argento dalla Tomba delle Mani d’Argento di Vulci

    Il tema della quarta sezione è come e quanto il pantheon egizio sia passato nella cultura etrusca. Per effettuare questo confronto vengono esposti una statua frammentaria in granito grigio della dea Sekhment e altri reperti della collezione Berman pertinenti a diverse divinità del pantheon egizio, vicino a reperti etruschi provenienti, grazie ai traffici commerciali, dall’Egitto e oggetti egittizzanti di produzione etrusca. Da questo confronto si può comprendere, inoltre, come alcune divinità egizie, come ad esempio Bes, viene esposta la statuetta in avorio e oro proveniente dal tumulo di San Paolo a Cerveteri, abbiano subito una reinterpretazione nel mondo etrusco, anche a causa dell’intermediazione dei Greci e dei Fenici che spesso si facevano vettori di oggetti provenienti dal mondo egizio.
    Certamente lungo le vie commerciali oltre gli oggetti materiali, come amuleti e gioielli, si muovevano prodotti di grande pregio, ma in un certo senso immateriali, quali profumi, unguenti e cosmetici. Questi erano commercializzati e scambiati contenuti in vasi di ottima fattura e realizzati, a loro volta, con materiali preziosi quali alabastro. Anche la cosmetica diventava quindi simbolo di prestigio e ricchezza. In mostra a questo proposito vi è proprio una collezione di vasi in alabastro provenienti dalla collezione Berman.

    Statuina rappresentante Bes in avorio e oro proveniente dal tumulo San Paolo di Vulci.

    La mostra si chiude con una sezione costituita da una sorta di grande quadro sinottico, in cui le varie fasi della cultura etrusca sono messe a confronto con le varie fasi della cultura egizia. L’evolversi della cultura egizia viene seguita a partire dal 4500 avanti Cristo fino ai tessuti copti del VI secolo dopo Cristo, attraverso i reperti della collezione Barman.
    Particolare attenzione viene data alla fase della cultura etrusca in cui si ha lo sviluppo della moda orientalizzante e al III secolo avanti Cristo attraverso l’esposizione del corredo di una sepoltura etrusca ritrovata di recente da cui proviene un raro vaso in ceramica invetriata di produzione alessandrina.

  4. Basilica di San Crisogono a Trastevere