Per celebrare i cento anni dalla nascita di Alberto Sordi, che si
festeggeranno il 15 giugno 2020, la villa di Roma in cui dimorò, situata in piazzale Numa Pompilio, ospita una mostra a lui dedicatagli aperta dal 7 marzo al 29 giugno 2020.
Intitolata Il Centenario – Alberto Sordi 1920-2020, la mostra è curata da Alessandro Nicosia, insieme con i giornalisti Gloria Satta e Vincenzo Mollica. Tra documenti inediti, fotografie, filmati e cimeli di vario tipo, l’esposizione porterà il visitatore a esplorare la casa e a conoscere meglio la vita e la carriera di “Albertone”. La villa, aperta al pubblico per la prima volta, fu progettata negli anni trenta dall’architetto Clemente Busiri Vici. Sordi la vide per la prima volta nel 1954, rimanendone così affascinato da comprarla poche ore dopo averla visitata.
Una grande mostra per conoscere ancora meglio Alberto Sordi, che conosciamo tutti per la sua produzione, ma poco per quello che in effetti era. In mostra c’è una sezione nella quale è stato inserito del materiale
ritrovato davvero incredibile. I curatori hanno cercato di rispettare gli ambienti che sono rimasti intatti dopo la morte, così come lui li aveva voluti e vissuti. Questa mostra permette di scoprire un Sordi che va oltre i successi e la fama e di conoscere storie che circolavano a proposito del suo privato. Il progetto si compone di due racconti che si sviluppano in parallelo: il Sordi pubblico e il Sordi privato. Nel percorso la vita pubblica e quella privata dell’attore si intrecciano generando non poche sorprese, dando vita a una narrazione vivace e avvincente conducendo il visitatore alla scoperta di alcuni tratti inconsueti e poco conosciuti della personalità dell’artista. Villa Sordi è un vero teatro: una sala da barbiere, un’austera camera da letto. E poi Crocifissi e Madonne, quadri del ‘600 e ‘700, un De Chirico unica
concessione alla modernità, quasi neppure la foto di un’attrice. Insomma, fortezza inviolabile, guardata dai romani con curiosità e rispetto. Pochi i privilegiati cui l’attore, scomparso diciassette anni fa, dischiudeva il cancello del suo mondo segreto. La sua collaboratrice Paola Comin racconta che dovette aspettare un paio d’anni prima che Sordi, anziché farla attendere davanti al cancello per recarsi insieme agli appuntamenti di lavoro, la invitasse su per un caffettino. La casa di Sordi ha vissuto due vite, ha raccontato spesso l’attore Carlo Verdone: “Prima del ’72 era frequentata. Sergio Amidei, Sonego, Piero Piccioni, Fellini, la Masina, Monica Vitti, Franca Valeri: c’erano cene, incontri, proiezioni, sono stati invitati tutti i sindaci di Roma, tanti cardinali. Anche Walter Matthau e Jack Lemmon ci sono stati. Ma in quell’anno morì Savina, la sorella più grande, e da allora fine delle serate. La casa per Alberto diventò una rocca in cui rinchiudersi e isolarsi. Del resto, come tutti
i grandi comici aveva un suo lato malinconico, e capisco anche il bisogno di silenzio per uno che per lavoro passa il tempo in mezzo alle cagnare. Io la sua casa la conoscevo solo in parte, il documentario è stata un’occasione per scoperte continue. Il teatro, per esempio, non sapevo nemmeno che ci fosse: una grande platea, un palco, la buca per il suggeritore, poltrone, luci, due proiettori. Ho scoperto la barberia: grande specchio, luci, poltrona da barbiere. E poi il roseto, la cucina immensa come quella di un hotel. La stanza in cui passava più tempo era lo studio. C’è la poltrona su cui, dopo la pennichella, leggeva i copioni. Mi ha raccontato Arturo, l’autista, che si precipitava nello studio ogni volta che sentiva un botto. Erano i copioni che Alberto buttava a terra: ‘Prendili, daje foco’, gli diceva. Serrande sempre abbassate e rigore: quella casa è il segno di quanto Sordi privato fosse diverso dall’immagine pubblica. Anche se, mi ha raccontato Pierina, la vecchia governante, la penombra era dovuta ai consigli dell’antiquario Apolloni, suo amico e insegnante d’arte. Gli aveva venduto molti degli arredi e dei quadri e diceva che per conservarli bene dovevano avere poca luce. Grandi quadri del Seicento e del Settecento, l’unico moderno è un De Chirico. Neppure una foto con le attrici, una sola di Soraya, con dedica. E poi immagini religiose, Giovanni Paolo II, crocifissi e tante Madonne. In giardino ce n’è una in una nicchia. Ogni mattina le portava una rosa, recitava una preghiera, poi andava a lavorare. La stanza da letto è la più spartana: il letto, una vecchia radio, niente televisore”.
Roma, 7 marzo 2020