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  1. La Basilica di San Clemente: il registro archeologico dell’Urbe

    San Clemente sorge lungo l’antica via di San Giovanni, via stretta, tortuosa e fiancheggiata da siepi fino alla sistemazione che le diede Sisto V.

    San Clemente – Mosaico dell’abside.

    La via era chiamata ‘Strada maggiore’ o ‘sacra’ o ‘papalis’ perché costituiva il normale percorso delle processioni pontificie verso la basilica di San Pietro. Fino alla fase della moderna edificazione, prospettavano su di essa solamente chiese e conventi, come la chiesa di San Giacomo de Culiseo con cimitero, distrutta nel 1815, o i conventi di San Clemente e dei Santi Quattro Coronati e gli annessi dell’Ospedale di San Giovanni. Per quanto piuttosto banalizzata da molta edilizia moderna senza linea, la strada – osservata per esempio dal Colle Oppio – rivela ancora i suoi vecchi caposaldi pittoreschi nella severa massa delle costruzioni raggruppate attorno alla Chiesa dei Santi Quattro Coronati.
    Pare che il corteo papale evitasse in antico la prima parte della strada, quella che passa nei pressi del Colosseo, dirottando piuttosto per la via dei Santi Quattro Coronati a causa delle voci popolari che a questa zona collegavano lo scandaloso evento di un inopinato parto durante il corteo papale, attribuito alla papessa Giovanna, un leggendario racconto dell’Alto Medioevo.
    E proprio da via di San Giovanni si accede alla basilica minore di San Clemente, una delle mete assolutamente imperdibili di Roma: una vera e propria propria stratigrafia delle varie epoche non solo dell’edificio sacro, ma della stessa storia di questa zona dell’Urbe.
    La chiesa attuale si affaccia con un piccolo protiro e con l’atrio del XII secolo sulla via di San Giovanni. Essa è il risultato della ricostruzione promossa dal grande papa

    San Clemente – I tre livelli di visita.

    Pasquale II nel 1108, dopo la decisione di abbandonare e interrare l’edificio precedente che era stato devastato dai Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084, quando dalla vicina Porta Asinaria essi avevano fatto irruzione in soccorso a Gregorio VII, appiccando incendi e applicando una dura legge di guerra alla città.
    Nonostante i rimaneggiamenti interni degli inizi del Settecento, e il relativo soffitto, a cassettoni dorati, la chiesa presenta sostanzialmente la sua struttura medievale: pianta basilicale a tre navate divise da due file di sette colonne di spoglio, i cui capitelli appartengono però al restauro barocco, la schola cantorum, con elementi provenienti dalla chiesa più antica, i due amboni e il candelabro, un recinto marmoreo che separa il presbiterio e il pavimento cosmatesco. Nel presbiterio stesso c’è un ciborio a quattro colonne di pavonazzetto del XII secolo che corrisponde alla cripta con il corpo di San Clemente; nella semicalotta dell’abside risplende nelle sue dimensioni grandiose il mosaico del “Trionfo della Croce” della prima metà del secolo XII. Altri mosaici, però del secolo successivo, sono nell’arcone trionfale.
    A questo livello della chiesa vanno osservate alcune belle cappelle aggiunte. In primo luogo la Cappella di Santa Caterina, a destra dell’ingresso, voluta dal cardinale Gabriele Condulmer, poi papa Eugenio IV, il quale commissionò il ciclo di affreschi a Masolino da Panicale, eseguiti prima del 1431, forse con un intervento di Masaccio: si tratta di una delle prime testimonianze della pittura rinascimentale in Roma e nel complesso della basilica sono esposte anche le sinopie rinvenute nel restauro del 1956.

    Morte e riconoscimento di Sant’Alessio.

    Sono da osservare alcuni bei sepolcri, di cui quello del cardinale Venerio attribuito alla scuola di Mino da Fiesole e quello del cardinale Roverella, forse opera di Andrea Bregno e Giovanni Dalmata. La Cappella di San Giovanni, del Quattrocento, ha una bella statua del santo e un altare, entrambe opere moderne di Raoul Vistoli. Nel 1886 fu costruita la cappella dedicata ai Santi Cirillo e Metodio, che ulteriormente sottolinea il legame della basilica di San Clemente con i popoli Slavi.
    Una cappella posta al lato destro dell’altare conserva una Madonna del Sassoferrato. Nella Cappella di San Domenico sono conservate opere di Sebastiano Conca, 1715, che raccontano la vita del santo.
    Al di sotto di questa chiesa si trova la primitiva basilica di San Clemente, risalente al 385, portata alla luce dagli scavi inizialmente condotti nel 1857 da padre Mulloly, dei religiosi irlandesi che hanno in custodia il complesso. L’edificio del IV secolo, sempre a pianta basilicale, assai più largo del successivo era preceduto da un nartece. Vi si accede dalla sagrestia percorrendo una scala lungo le cui pareti sono raccolti i reperti marmorei antichi ritrovati in loco.
    Questa chiesa primitiva, gradualmente messa in luce dagli scavi voluti dai successivi rettori irlandesi della chiesa, si presenta oggi ingombra dei muri di sostegno della chiesa superiore e dei supporti creati durante i lavori di liberazione e in sostituzione del pietrame di costipazione che è stato eliminato. Una fila di colonne originarie è incapsulata in uno dei muri.

    Iscrizione nell’affresco del miracolo di San Clemente con Sisinno.

    La basilica di San Clemente del IV secolo prende vita dalla trasformazione di edifici pre-esistenti e raccoglie in se documenti storico – artistici di notevole pregio. Tra questi l’affresco che racconta della morte e del riconoscimento di Sant’Alessio,che è datato all’epoca del papato di Leone IV tra l’847 e l’855, e un ciclo di affreschi piuttosto esteso e ben riconoscibile che invece narra vari momenti della vita di San Clemente e che conserva una delle prime documentazioni del passaggio dalla lingua latina al volgare.
    Il documento è costituito da una serie di iscrizioni inserite in un affresco che rappresenta un frammento della Passio Sancti Clementis, in cui il patrizio Sisinnio è nell’atto di ordinare ai suoi servi, Gosmario, Albertello e Carboncello, di legare e trascinare san Clemente. I servi, accecati come il loro padrone, trasportano invece una colonna di marmo. Si leggono queste espressioni, la cui attribuzione ai singoli personaggi è incerta: Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!», San Clemente: «Ob duritiam cordis vestrum, saxa trahere meruistis». Traduzione: Sisinnio: «Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo», San Clemente: «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi». La prima parte è tutta in volgare, con chiare influenze romanesche.

    Il vicus negli scavi di San Clemente.

    Da notare che le espressioni de le e co lo sono già preposizioni articolate, che non esistevano nella lingua latina. La seconda parte è scritta in latino, ma vi sono varie stranezze; duritiam, ad esempio, è un accusativo, ma dovrebbe essere un ablativo: è un chiaro segnale che ormai non si usino più i casi latini, ma ci si affidi a un caso unico. Inoltre, in luogo del latino trahere si nota la caduta dell’h, traere.
    La basilica del IV secolo venne realizzata al piano superiore di un horreum, ovvero un magazzino di epoca romana, già a sua volta modificato in precedenza. Dalla basilica del IV secolo perciò è possibile scendere a un livello di scavo ancora più basso dove si trovano due edifici principali separati da un vicus della larghezza di circa 70 cm che gli scavi archeologici hanno reso percorribile.

    L’horreum è un edificio dalle spesse murature in tufo la cui costruzione viene fatta risalire all’epoca flavia. Esso era interpretato, soprattutto per la sua prossimità con il Colosseo, come un magazzino connesso con questa struttura e con i giochi che in esso prendevano vita. Ma una nuova ipotesi si è fatta più concreta: questo grandissimo magazzino può infatti per dimensione e per collocazione essere la Zecca Imperiale, qui trasferita nel IV secolo dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo. Questa ipotesi sarebbe confermata dal ritrovamento di epigrafi databili al 115 dopo Cristo che i funzionari e gli operai della Zecca avevano dedicato ad Apollo, Ercole e Fortuna.
    Il secondo edificio è un mitreo realizzato tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo in alcuni ambienti di un’insula più antica. Di queste tre stanze quella datata al III secolo, con volte a botte, è interpretata come “Scuola Mitraica”, la seconda stanza

    Il mitreo di San Clemente.

    è il vestibolo del mitreo e si presenta ornata di stucchi, mentre la prima è il mitreo vero e proprio, coperta da una volta a botte molto bassa, presenta lungo le pareti undici aperture, costituenti i simboli astrologici legati al culto di Mitra. Lungo le pareti sono disposti anche i sedili di pietra.
    Al centro di questa stanza è disposta un’ara sulla quale si può chiaramente distinguere la scena di Mitra nell’atto di sacrificare il toro.
    Durante gli scavi che hanno portato alla luce questi ambienti è stato necessario creare una canalizzazione che permettesse il drenaggio delle acque di un lago che si era formato sotto la basilica di san Clemente. Questa canalizzazione è stata aperta attraverso un’insula di abitazioni, preesistenti all’incendio neroniano, e in quest’occasione si è trovata anche una piccola zona catacombale del V o del VI secolo dopo Cristo, riferibile al periodo successivo all’invasione di Alarico, quando cominciò a essere disatteso il divieto di seppellimento dentro la linea del pomerio.

    Roma, 2 settembre 2018

  2. Paolo Biondi e i misteri dell’Ara Pacis

    C’è un monumento a Roma che sintetizza storia e filosofia della nascita del principato con Augusto: è l’Ara Pacis. Eppure di questo monumento sappiamo ancora poco: il motivo è la

    Ara Pacis - particolare della decorazione

    Ara Pacis – particolare della decorazione

    sua infelice collocazione nel Campo Marzio, zona per secoli oggetto delle piene del Tevere, che causarono un progressivo interramento del monumento con relativo oblio a meno di due secoli dalla sua costruzione e per oltre 17 secoli, fino a quando Benito Mussolini decise di farlo dissotterrare e ricostruire nel 1937, anno bimillenario della nascita di Augusto. Allora fu collocata nel suo sito attuale.

    Il Senato romano aveva deciso la costruzione di un’Ara della pace il 4 luglio del 13 avanti Cristo, in occasione del ritorno di Augusto da una vittoriosa campagna in Gallia e Spagna, ma aveva deciso che l’altare venisse collocato nel foro. L’imperatore rifiutò il dono, ritornando in seguito sulla sua decisione ma facendo spostare l’edificazione dell’Ara nei pressi del mausoleo e dell’orologio che stava facendo costruire nel Campo Marzio.

    Ara Pacis - particolare della decorazione

    Ara Pacis – particolare della decorazione

    Il monumento può essere letto diviso in tre parti: i quattro pannelli anteriori e posteriori che descrivono la teologia del principato instaurato da Augusto al termine della guerra civile; il fregio vegetale che corre tutto attorno al monumento nella sua parte inferiore e che offre spunti per ricostruire la filosofia del tempo di Augusto; la grande processione sacrificale rappresentata sui due lati dell’Ara e che mostra il potere di Roma, compresa la famiglia imperiale al gran completo, con interessanti spunti sul tema della successione ad Augusto.
    Quali dunque i misteri? Sono tanti, ad iniziare dall’interpretazione dei quattro pannelli, dei quali l’ultimo viene considerato come dedicato alla dea Tellus, la Terra madre. Ma se l’Ara è dedicata alla pace, dov’è la sua rappresentazione?

    Ara Pacis - particolare della decorazione

    Ara Pacis – particolare della decorazione

    E ancora: quali messaggi ci lancia il fregio vegetale? E’ puramente ornamentale o nasconde altro? Infine: chi sono i personaggi della processione? Su molte figure non ci sono dubbi ma su altre, ugualmente importanti, tante domande restano insolute.
    Noi ora vediamo il monumento completamente bianco, ma in origine era dipinto – come gran parte dei monumenti in marmo dell’epoca romana – con colori sgargianti che ne aiutavano la lettura e la comprensione, comprensione che oggi per noi rimane a volte misteriosa.
    Di questo e di molto altro si parlerà in occasione della visita guidata da Paolo Biondi che si occupa da anni di studiare il monumento, i suoi significati e la sua destinazione effettiva.

    Roma, 3 aprile 2018.

  3. Roma dei re. Il racconto dell’archeologia

    Foto ufficiale mostra.

    La Roma dei Re. Il racconto dell’Archeologia accende riflettori sulla fase più antica della storia di Roma, illustrando gli aspetti salienti della formazione della città e ricostruendo costumi, ideologie, capacità tecniche, contatti con ambiti culturali diversi, trasformazioni sociali e culturali che interessarono Roma nel periodo in cui la città, secondo le fonti storiche, era governata da re. Grazie a lunghe attività di revisione, restauro e studio è possibile mostrare per la prima volta al pubblico dati e reperti archeologici mai esposti prima, talvolta sorprendenti e suggestivi per la loro bellezza e modernità. La mostra è un viaggio affascinante a ritroso dal sesto secolo avanti Cristo fino al decimo. Le sale espositive di Palazzo Caffarelli e l’Area del Tempio di Giove dei Musei Capitolini ci raccontano la fase più antica dell’Urbe. Si attraversano santuari e palazzi della Roma regia e alla memoria tornano i nomi di Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Vengono mostrati corredi tombali, deposizioni nelle quali era utilizzato il rito della cremazione, la miniaturizzazione di oggetti di corredo, l’utilizzo di contenitori per le ceneri dalla singolare forma di capanna.
    Della prima Roma è possibile ammirare un grande plastico, poi ancora reperti di scambi e commerci tra Età del Bronzo ed Età Orientalizzante. Infine indicano chiaramente diversità tra i ruoli femminile e maschile tanti oggetti di lusso e di prestigio e corredi funerari.

    La città quadrata di Romolo.

    La mostra è realizzata con il sostegno di Sapienza Università di Roma, per i materiali degli scavi del Palatino e della Velia, dell’Università della Calabria e dell’University of Michigan,per i nuovi materiali di Sant’Omobono. Si avvale inoltre, sempre in collaborazione con il Mibac, di preziosi prestiti da parte del Museo Nazionale Romano e del Museo delle Civiltà, e da parte della Soprintendenza per l’Area Metropolitana di Napoli.
    L’archeologo Filippo Coarelli scrive: «Lo scrittore greco Strabone, che visse all’epoca di Augusto, notava che tra la città di Ostia, alla foce del Tevere, non esistevano centri abitati di qualche importanza. Ma non era stato sempre così: tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro una fitta rete di villaggi aveva occupato quasi ogni collina lungo il fiume: nel sito della futura Roma, sul Campidoglio, un insediamento esisteva fin dal XVI secolo avanti Cristo.
    La tradizione afferma che la città sarebbe sorta per “sinecismo”, ovvero per mezzo del
    l’unificazione di entità politiche precedentemente indipendenti in una città ad organizzazione statale, basato però sull’assoggettamento al più importante centro abitato, quello del Palatino, dei villaggi circostanti.
    I primi tentativi di urbanizzazione coincidono con l’incremento della produttività agricola e sono contemporanei all’inizio della colonizzazione greca, che non a caso coincide cronologicamente con la data tradizionale della fondazione di Roma, metà dell’VIII secolo avanti Cristo. L’inizio dei rapporti tra Roma e queste prime colonie, Pithecusa/Ischia, Cuma è praticamente immediato, come dimostra la ceramica greca dell’VIII secolo scoperta nel Foro Boario.

    La Roma arcaica.

    Una fase estremamente importante per lo sviluppo della città coincide con la seconda metà del VII secolo avanti Cristo, e cioè, secondo la tradizione, con il regno di Anco Marcio. Questi avrebbe creato il primo ponte di legno sul Tevere, il Sublicio, e provveduto a proteggerne la testata sulla riva destra, occupando il Gianicolo. Contemporaneamente, egli avrebbe costruito il porto alle foci del Tevere, Ostia, assicurandone il collegamento con Roma tramite l’eliminazione di tutti i centri abitati posti nel tratto intermedio, sulla riva sinistra del Tevere. I dati archeologici sembrano confermare la tradizione anche su questo punto.
    Il potenziamento del centro urbano, e delle possibilità insite nella sua posizione privilegiata, alla fine del VII secolo avanti Cristo spiega l’immediato intervento degli Etruschi, per i quali Roma era divenuta una posizione chiave.
    Il secolo in cui Roma, pur senza perdere il suo carattere etnico e culturale latino, fu governato da una dinastia etrusca coincide con la sua definitiva urbanizzazione. Da un punto di vista amministrativo, la città è divisa in quattro regioni, o tribù territoriali: Palatina, Collina, Esquilina e Suburana, comprendenti una superficie assai più ampia di quella originaria del Palatino e della quale le Mura Serviane, il cui tracciato nel VI secolo avanti Cristo coincide quasi perfettamente con il successivo rifacimento del IV secolo avanti Cristo, possono darci un’idea: la superficie inclusa,

    Foto ufficiale mostra.

    anche se non tutta abitata, è di ben 426 ettari, superiore cioè a quella di qualsiasi altra città dell’Italia peninsulare. La ricchezza e la potenza della “Grande Roma dei Tarquini” risultano anche dal numero e dalle dimensioni dei santuari che allora vengono realizzati, principale fra tutti quello di Giove Capitolino, di gran lunga il più grande tempio etrusco a noi noto.
    Ma l’attività dei dinasti etruschi non si limita ai santuari: abbiamo già ricordato la grandiosa cerchia di mura, che nella sua fase più antica, in blocchi di cappellaccio, risale molto probabilmente alla metà del VI secolo avanti Cristo. Altrettanto imponente fu il sistema di canalizzazioni e fognature realizzato dai Tarquini, che, risanando i fondovalle paludosi e malsani, ne rese possibile l’urbanizzazione: principale fra tutte la Cloaca Maxima, che bonificò la valle del Foro, allora per la prima volta pavimentata, e l’altro canale che drenò la vallis Murcia, dove, sempre a opera dei Tarquini, sarebbe stato realizzato il primo edificio per gli spettacoli, il Circo Massimo
    ».

  4. Il Campidoglio, maestà e sacralità dell’Urbe

    Il Campidoglio è il più piccolo e il meno esteso dei sette colli, ma di certo il più augusto. Centro religioso e politico di Roma antica, è tuttora il cuore della maestà

    La struttura urbana di roma in epoca arcaica. Si vedono bene il Campidoglio e l’Arx.

    dell’Urbe e sede del governo cittadino. Il suo nome è universalmente riconosciuto come la somma espressione dell’idea di società organizzata in forma di Stato.
    La collina, alta 50 metri, presenta due sommità divise da un’insellatura, oggi Piazza del Campidoglio; su quella meridionale si ammirava il Tempio della Triade Capitolina, il più venerato di Roma. Su quella settentrionale – ora occupata dalla Basilica dell’Ara Coeli – s’innalzava la vera rocca, l’Arx, con funzioni difensive per tutto il tempo della Repubblica. Vi sorgeva il Tempio della Virtus e quello di Giunone Moneta, cioè “ammonitrice”.
    La conformazione del colle, con ripidi pendii tufacei sulla pianura acquitrinosa del Velabro, e la sua posizione sul Tevere nel punto in cui il fiume aveva dei guadi, giocarono un ruolo fondamentale nelle vicende del Campidoglio. L’accesso avveniva attraverso un’unica strada, il Clivus Capitolinus, attuale via del Campidoglio, che partiva dal Foro Romano come continuazione della Via Sacra e arrivava all’Area Capitolina, dinanzi al Tempio di Giove. Gli altri accessi erano due scalinate:

    Campidoglio Arcaico

    le Scalae Gemoniae che salivano all’Arx, l’attuale scalinata presso il Carcere Mamertino che oggi conduce al Campidoglio, e i Centus Gradus situati sul versante opposto e che all’altezza del Teatro di Marcello conducevano al Capitolium.
    La tradizione narra che un centro abitato, forse il più antico sorto nell’area della futura Roma, sarebbe stato fondato da Saturno sopra il colle: l’antichità del villaggio è provata dalla ceramica dell’età del Bronzo, XIV – XIII secolo avanti Cristo, scoperta proprio ai piedi del Campidoglio. Le leggende tramandano il ricordo di fondazioni antichissime e di lotte feroci tra Sabini, insediati sul Quirinale, e Romani, che invece abitavano il Palatino, per assicurarsi il controllo del colle capitolino, che culmineranno nel celebre episodio del tradimento di Tarpea, la figlia del comandante della guarnigione del Campidoglio, che avrebbe aperto le porte agli invasori sabini in cambio di monili.

    Rupe Tarpea prima delle demolizioni. anno 1856. Si ringrazia Roma Sparita.

    Questi, per tutto compenso, l’avrebbero uccisa, seppellendola sotto gli scudi. Tarpea, in origine, era la divinità tutelare del colle, Mons Tarpeius è il nome di una delle due cime del Campidoglio, e il nome di Rupe Tarpea fu sempre attribuito al precipizio meridionale del colle: da qui, in ricordo del misfatto di Tarpea, venivano gettati i rei di tradimento e di altri gravi delitti contro lo Stato. La statua della divinità, sorgente da una catasta di armi, a mo’ di trofeo, deve essere all’origine della leggenda. Secondo i Mirabilia Urbis Romae, racconti medioevali tra fantasia e verità equivalenti alle nostre guide turistiche diffusi dal XII al XVI secolo, si dice che sul colle sorgesse un’altissima torre che emanava luccichii d’oro di giorno e balenii di lampada ardente di notte, per additare ai nocchieri del mar Tirreno che lì era Roma.
    L’incendio dell’83 avanti Cristo devastò il Campidoglio: in conseguenza di ciò il colle fu sottoposto a importanti lavori di ricostruzione, in occasione dei quali fu edificato i Tabularium. Altri incendi lo devastarono: nel 69 dopo Cristo durante la battaglia tra i partigiani di Vespasiano e i sostenitori di Vitellio e nell’80 dopo Cristo. Toccò a Domiziano, divenuto imperatore nell’81, l’onore della ricostruzione.
    Esauritasi la funzione difensiva dell’Arx in epoca imperiale, il Campidoglio rimase unicamente come sede delle più solenni cerimonie celebrative e rituali, teatro dei trionfi militari. Fu poi progressivamente abbandonato alla fine del mondo antico tanto da essere denominato Monte Caprino perchè ridotto a pascolo per le capre o Colle di Fabatosta perché, nel mercato che vi si svolgeva, si vendevano le fave, secche o fresche che fossero, un cibo povero per una popolazione povera.

    Campidoglio e Aracoeli – Canaletto – 1720.

    La sacralità delle antiche funzioni lasciò comunque al colle un’eredità affascinante: gli imperatori germanici vennero qui a sottoporre formalmente il loro potere all’avallo del popolo romano. Poi vennero i poeti a ricevere la corona d’alloro come gli antichi trionfatori. Petrarca, su tutti, che ne fu cinto nel 1341.
    La ripresa del Campidoglio avvenne all’inizio dell’età moderna fino alla definitiva rinascita nel XVI secolo con la sistemazione michelangiolesca. La bellezza della Piazza del Campidoglio, un unicum urbanistico e architettonico che reca evidente il suggello del genio di Michelangelo, si manifesta di colpo salendovi dalla monumentale rampa: grandiosa e armoniosa per l’impianto architettonico, la giustezza delle proporzioni e la coerenza stilistica dei tre palazzi – dei Conservatori, Senatorio e Museo Capitolino – che la limitano senza chiuderla. Una terrazza permette di apprezzare tutta la vista sul Foro Romano e sul Palatino, cuore e origine di Roma. Da lì templi, basiliche, archi monumentali ci rimandano alle tre funzioni che caratterizzavano la più antica piazza di Roma: funzione religiosa, politica e di mercato.

    Piazza del Campidoglio e basilica dell’Aracoeli oggi.

    Alla destra del Campidoglio si erge la Basilica dell’Aracoeli, denominata anticamente Santa Maria in Capitolio. Il nome attuale si impose nel 1323 per via di una leggenda tratta dalle Mirabilia Urbis Romae che vuole la chiesa sorta là dove l’imperatore Augusto avrebbe avuto la visione di una donna con un bambino in braccio e avrebbe udito una voce che diceva: «Questa è l’ara del Figlio di Dio». Essa sorse sulle rovine del tempio di Giunone Moneta attorno al VII secolo.
    L’imponente scalea fu commissionata dal libero comune di Roma nel 1348 e inaugurata da Cola di Rienzo come voto alla Madonna affinché ponesse fine alla peste che imperversava in tutta Europa, e realizzata con i marmi di spoglio ricavati da ciò che rimaneva del Tempio di Serapide al Quirinale. Per questo l’Aracoeli è stata sempre considerata la chiesa del popolo romano e delle sue istituzioni civiche, in particolare il vicino Senato. Sempre qui si svolse il trionfo di Marcantonio Colonna dopo la battaglia di Lepanto del 1571, a ricordo del quale fu costruito lo splendido soffitto ligneo con profusione d’oro.

    Roma, 26 luglio 2018