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  1. Necropoli Ostiense

    Nell’area compresa tra la Rupe di San Paolo e l’ansa del Tevere si addensava una grande Necropoli le cui tombe si disponevano lungo la via Ostiense. L’area

    Lavori di sbancamento della Rupe di San Paolo. Si ringrazia Roma Sparita.

    sepolcrale era molto vasta e oggi resta in gran parte inesplorata, almeno per le zone che non sono andate perse nel passaggio tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento. Alcuni archeologi ritengono che quest’area andasse a fondersi con le poco distanti catacombe di Comodilla, dove oltre alla cappella dedicata alla patrizia romana, è presente la chiesetta dedicata ai due santi martirizzati proprio all’inizio di Via delle Sette Chiese, Felice e Adautto, qui sepolti.
    L’esteso sepolcreto assume poi una grande rilevanza, e successiva enorme espansione, dal momento in cui qui viene sepolto l’apostolo Paolo. Intorno a questo sepolcro, infatti, non solo i cristiani ci tenevano ad essere sepolti, ma si articolò pure una importantissima area di culto, che successivamente, in epoca costantiniana, portò alla costruzione della Basilica di San Paolo Fuori Le Mura.
    Le prime tombe vennero in luce nel 1700 con una delle prime sistemazioni dell’area di pertinenza della Basilica. Altri momenti di scavo furono nell’Ottocento, quando sulla Rupe di San Paolo venne realizzato un vero e proprio sbancamento necessario per collocare un collettore. Durante questo scavo ottocentesco moltissimi reperti sono andati perduti e non fu realizzata nemmeno una documentazione fotografica. Questi scavi furono seguiti da quelli condotti in occasione dell’allargamento della Via Ostiense tra il 1917 e il 1919, quando riemersero non solo nuove tombe, ma anche le decorazioni a stucco e ad affresco, i pavimenti a mosaico in ottimo stato di

    La necropoli Ostiense alla base della Rupe di San Paolo. Si ringrazia RomaSparita.

    conservazione, e anche alcuni oggetti di uso quotidiano. I reperti archeologici più significativi entrarono nelle collezioni archeologiche dei Musei Capitolini. Tali ritrovamenti costituirono un’importante testimonianza della popolazione che abitava questo settore della città dalla tarda età repubblicana al IV secolo dell’impero.

    Nel 2017 per decisione della Sovrintendenza capitolina lo studio dell’area archeologica è ripresa in collaborazione con gli antropologi del dipartimento dell’Università di Valencia, ed è stato avviato un nuovo programma di ricerca scientifica per scoprire, analizzare e catalogare i resti ossili combusti conservati ancora intatti all’interno delle olle cinerarie. La necropoli romana, infatti può ancora restituire importanti informazioni poiché copre un arco temporale che va dal II secolo avanti Cristo al IV secolo dopo Cristo e permette di leggere in maniera continua il passaggio dalla pratica della sepoltura per incinerazione a quella per inumazione.
    Il sepolcreto si sviluppa su tre piani principali con le tombe più antiche che occupano gli strati più profondi, costituite da una cella in blocchi squadrati di tufo, a quelle più recenti poste sopra alle prime, risalenti all’epoca imperiale, e costruite in laterizio. E’ identificabile anche un colombario.
    Le numerose iscrizioni funerarie rinvenute nell’area documentano l’appartenenza dei defunti a un ceto medio di artigiani e mercanti, spesso di origine servile, con nomi orientali o greci. Così, oltre a Giulia Fortunata, ricorrono nomi più orientaleggianti quali Selene e Cleopatra. E passeggiando tra i resti si notano affreschi colorati d’ogni tipo, dai più semplici ai più particolari. Si tratta di un’area interessantissima dal

    La necropoli di San Paolo

    punto di vista archeologico, forse una delle meglio conservate in tutta Roma.
    Dietro le grate emergono una gran quantità di loculi, edicolette, sarcofagi e casse. Un percorso accidentato tra spoglie e cinerari di schiavi e liberti. Stanno accanto ai loro gentilizi, con le loro età e mestieri. E invocano i Mani per scongiurare un trapasso funesto. Si affacciano su vicoli e stradine, vantando una certa dignità architettonica ed eleganza. Si tratta, perlopiù di tombe individuali e di corporazioni, le cui epigrafi implorano l’aldilà.

    A nord della necropoli, le tombe più antiche hanno le facciate in tufo accanto a quelle in laterizio di età imperiale. Nel piccolo ambiente sottostante la scala, ecco un pavone e accanto un Ercole nerboruto che riporta Alcesti fuori dalla morsa dell’Ade. Si tratta di un piccolo ambiente dipinto, nascosto nascosto tra le tombe del sottoscala. A pochi passi, si estende un’ampia area sepolcrale in opus reticolatum, tecnica muraria che si presenta in superficie con una disposizione di bozze e mattoni a reticolo in diagonale, dell’inizio dell’Impero.
    Al muro di recinzione sono addossati sepolcri di varia epoca. Quasi tutti – a fossa o terragni – appartenenti a schiavi e liberti, eccetto due a forma di edicola, una in marmo e l’altra in laterizio.
    Dalla parte opposta, due aree rettangolari con le pareti forate da nicchie sono riferibili a colombari. Il primo, vicino all’ingresso, è caratterizzato da un’elegante edicola che, sulla fronte incorniciata di serti di margherite, reca l’immagine di due leonesse che si avventano su una gazzella. Accanto, un piccolo pozzo.
    Alla gens Pontia, I secolo dopo Cristo, appartengono le olle funerarie con le relative iscrizioni.

    La necropoli Ostiense.

    Affacciati al tratto di collegamento con la via Ostiense si trovano altri colombari disposti in sequenza del I secolo dopo Cristo: tra di loro, colpisce quello di Livia Nebris, figlia di Marco, qui sepolta insieme con gli altri membri della famiglia. A fianco, una stanza trapezoidale è circondata da sepolcri a fossa, identificata come sede della famiglia che aveva costruito quei sepolcri per i propri congiunti.
    Purtroppo poco visibili i resti di riquadri pittorici con figurine volanti – grifi, pegasi e un’aquila – che si librano in fondali bianchi.

    Roma, 16 novembre 2018.

  2. Chiesa di San Giovanni a Porta Latina, la pittura medievale romana e la memoria dell’apostolo Giovanni

    Atmosfera rarefatta, verde diffuso, silenzio. Via di Porta Latina è tutto questo: un’area di Roma incantata, salvaguardata dalle costruzioni che invece sono cresciute

    San Giovanni a Porta Latina in una foto di fine Ottocento. Si ringrazia RomaSparita.

    al di là delle mura Aureliane, che in questo tratto – tra le porte Metronia, Latina e San Sebastiano – si sono conservate splendidamente.
    L’antica porta che dà il nome alla strada fu ristrutturata dall’imperatore Onorio, 384-423, ampliando quella originaria di Aureliano. Nell’elemento centrale dell’arco esterno si nota il monogramma di Cristo. In quello dell’arco esterno, la croce greca inscritta in un cerchio. Siamo in un’area di grande fascino, a due passi dal Sepolcro degli Scipioni, dalla Casa del Cardinal Bessarione e dal colombario di Pomponio Hylas.
    Appena oltrepassata Porta Latina, si erge, un elegante tempietto ottagonale isolato: è l’Oratorio di San Giovanni in Oleo, eretto dal prelato francese Beniamino Adam, auditore della Sacra Rota per la Francia al tempo di Giulio II, 1509, restaurato sotto Alessandro VII per cura del cardinale Francesco Paulucci, 1658, e sotto Clemente XI,1716. Sorge sul luogo ove, secondo tradizione, l’evangelista Giovanni uscisse illeso dal supplizio dell’olio bollente, il che gli valse salva la vita con l’esilio a Patmos. Una notizia trasmessa da Tertulliano, dice:
    «Quando gli apostoli dopo la Pentecoste si separarono, lui [Giovanni Evangelista] andò in Asia, dove fondò molte chiese. Quando l’imperatore Domiziano venne a conoscenza della sua fama, lo fece venire a Roma e lo fece buttare in un recipiente di olio bollente, immediatamente davanti alla porta Latina: ma Giovanni ne uscì illeso, come era rimasto estraneo alla corruzione della carne. L’imperatore, visto che anche così non desisteva dalla predicazione, lo mandò in esilio nell’isola di Patmos dove nella completa solitudine scrisse l’Apocalisse».

    San Giovanni a Porta Latina. Interno.

    L’attuale costruzione, rifatta sull’antica, è ritenuta di Bramante, ma l’elegante coronamento, con decorazione classicheggiante, e la sistemazione dell’interno è di Borromini. Sopra la porta che guarda verso Porta Latina è inserito emblema araldico di Alessandro VII Chigi; la porta del lato opposto reca lo stemma del prelato francese, col motto: AU PLAISIR DE DIEU, 1509.
    Di fronte, al di là del muro del Collegio Missionario dei padri Rosminiani, ecco un grosso nucleo di sepolcro antico. Dietro il collegio sorge, preceduta da un pittoresco e raccolto sagrato ombreggiato da un grande cedro e con un pozzo medievale tra due colonne, l’antica chiesa di San Giovanni a Porta Latina fondata da Gelasio I nel V secolo: la tradizione trova conferma nelle tegole del vecchio tetto, che portano stampigli dell’epoca di Teodorico, 495-526.
    Riedificata da Adriano I nel 772, fu restaurata nel 1191, anno in cui, sotto Celestino III, furono traslate qui le reliquie dei Ss. Gordiano ed Epimaco. Dei tempi di Adriano I è il parapetto esterno del pozzo che si trova nel sagrato, ornato di una rozza decorazione formata da due serie di infiorescenze che corrono orizzontalmente per tutto il corpo del pozzo. Sull’orlo, tutto intorno, appare un’iscrizione latina, certamente di epoca posteriore all’VIII secolo, che recita: «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». E le parole del profeta Isaia: «O voi tutti che avete sete venite alle acque». E contrassegnata dal nome dell’incisore: «Io Stefano».
    Originariamente la chiesa era tenuta da una congregazione spirituale dedita alla povertà ma nel tempo passò sotto diverse amministrazioni. Nei primi anni del Novecento, quando veniva amministrata dalle suore di clausura, le Suore Turchine della Ss. Annunziata, furono rinvenuti affreschi medioevali che diedero l’impulso ad un’opera generale di ripulitura.

    San Giovanni aPorta Latina, oggi.

    Un restauro fortemente voluto negli anni Quaranta dai Missionari Rosminiani, che hanno tuttora in carico sia la chiesa che il tempietto, ha ridato alla chiesa il suggestivo aspetto medioevale. Sul fronte, un portico a cinque arcate su antiche colonne marmoree e di granito con capitelli ionici, è addossato alla facciata, su cui, in alto si aprono tre finestre ad arco; incluso nel portico, a sinistra, si alza lo slanciato campanile romanico a sei piani con trifore. Sotto il portico e nell’interno del campanile, sono esposti lapidi e frammenti romani, lastre paleocristiane di recinto presbiteriale e resti di affreschi medioevali.
    L’interno conserva la semplice ed antica armonia di forme originaria, diviso in tre navate da due file di cinque colonne ciascuna di marmo diverso, sulle quali poggiano archi semicircolari. Intorno all’altare sono conservati avanzi di un pavimento cosmatesco a disegno geometrico mentre nella predella dell’altare stesso spicca in lettere capitali romane l’antico “titolo” della Chiesa, ritrovato durante gli ultimi restauri: “TIT. S.IOANNIS ANTE PORTAM LA(TINAM)”.
    Il ciclo di affreschi del XII secolo che decorano la navata centrale, rinvenuti durante il restauro del 1940, rappresentano 46 differenti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento e rivestono una straordinaria importanza per lo studio dell’arte medioevale a Roma. Insieme con il salone gotico nel Monastero dei Santi Quattro Coronati, il ciclo di San Giovanni a Porta latina rappresenta uno degli esempi maggiori di pittura medievale a Roma, realizzati precedentemente all’importante periodo del Cavallini e della sua Scuola Romana.
    Al centro dell’arco trionfale è raffigurato il Libro dei Sette Sigilli, indice dei segreti nascosti di Dio, che doveva essere sorretto da una cattedra sormontata da croce gemmata; ai lati, due angeli in atteggiamento riverente e, dietro di essi, i simboli dei quattro Evangelisti. Sui peducci dell’arco sono dipinte due figure santi, identificate con Giovanni Evangelista, a destra, e Giovanni Battista. Il personaggio sulla destra sorregge un volume con l’iscrizione in principio erat Verbum, l’incipit del Vangelo di Giovanni. In alto corre una greca multicolore e prospettica interrotta da riquadri, nei quali si affacciano busti di angeli dalle mani velate. Una ghirlanda avvolta da un nastro chiude verticalmente i lati corti dell’arco. Le pareti laterali del presbiterio

    La creazione della donna – San Giovanni a Porta Latina.

    ospitano i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse, genuflessi in direzione dell’abside e disposti su due file di sei. Tutti reggono corone gemmate sulle mani velate. In basso quattro edicole, estremamente lacunose, inquadravano gli Evangelisti. Di esse rimangono solamente i tituli e i simboli inseriti in timpani. Le iscrizioni consentono l’identificazione di Marco e Matteo a sinistra e di Luca e Giovanni a destra. I lati corti sono bordati dallo stesso motivo decorativo dell’arco absidale, mentre il fregio che in alto delimita la decorazione, è costituito da mensoloni abitati da elementi zoomorfi, fitomorfi e da esseri mostruosi. L’iconografia delle pitture dell’arco e del presbiterio è basata sull’Apocalisse (4-5), i cui prototipi figurativi sono da riconoscere nella pittura romana di V-VI secolo.
    A Porta Latina, la traduzione figurata del tema è però caratterizzata da una contaminazione tra fonti diverse, rintracciabili non solo in esempi di pittura monumentale paleocristiana, ma anche nella produzione miniata di VI-X secolo. Inoltre, l’ipotesi di Richard Krautheimer, che vuole la chiesa fondata nel V-VI secolo, e la notizia di un suo rifacimento nell’VIII, inducono a ritenere che i soggetti apocalittici dell’Adorazione dei Viventi e dei Vegliardi, dei due Giovanni e degli Evangelisti, fossero già stati illustrati sulle pareti del presbiterio prima del XII secolo. Del tutto innovativa è la presenza degli evangelisti nelle pareti del presbiterio, in prossimità dell’altare. Lungo le pareti della navata centrale le scene vetero e neotestamentarie si succedono con un andamento anulare che consente una lettura continua dei cicli scena dopo scena, senza ‘percorsi ciechi’ che obblighino a ritornare, passando da un registro all’altro, al punto di partenza. La sequenza delle scene della Genesi ha inizio sulla parete destra con la Creazione del Mondo, e

    Abele e Caino – San Giovanni a Porta Latina.

    prosegue – dall’abside verso la controfacciata – con le Storie dei Progenitori, di Caino e Abele, di Noè, di Abramo e di Giacobbe, per terminare con il Sogno di Giuseppe. Il ciclo continua sulla controfacciata e, successivamente, sulla parete sinistra fino all’abside.
    Il programma neotestamentario segue lo stesso percorso, ma si sviluppa lungo i due registri inferiori delle pareti della navata centrale senza interessare la controfacciata. Comprendeva originariamente 30 scene a partire dall’Annunciazione per concludersi con l’Apparizione sul lago di Tiberiade. Dal momento che il ciclo delle storie veterotestamentarie scorre parallelo a quello delle storie neotestamentarie che occupa i due registri più bassi, vengono a crearsi degli accoppiamenti che non sembrano affatto casuali. Emblematico è quello tra la scena della Cacciata dal Paradiso e la Crocefissione correlate dal titulus che corre al di sotto dell’episodio veterotestamentario e al di sopra di quello neotestamentario: «Inmortalem decus per lignum perdidit hoc lignum». Dove la perdita dello splendore del Paradiso, la parola “decus”, splendore, sottintende “coeli”, a causa del legno dell’albero della Conoscenza verrebbe riscattata dal legno salvifico della croce.
    Il primo registro della controfacciata ospita le seguenti scene veterotestamentarie: Il Lavoro dei Progenitori, Il sacrificio di Caino e Abele, l’Uccisione di Abele, La condanna di Caino. Nel registro inferiore, separata dalle sovrastanti scene bibliche da una larga cornice a fasce ondulate, è una versione abbreviata del Giudizio con Cristo Giudice tra gli angeli. Ai lati del Salvatore, assiso entro un clipeo, stanno gli arcangeli con globo e cartigli, sui quali gli storici dell’arte leggono versi rivolti ai beati e ai dannati, rispettivamente “Venite benedicti fratres” e “Ite maledicti”. Due angeli per parte chiudono il registro. In basso, sotto i piedi del Cristo, è posto un altare con gli Strumenti della Passione. Nel catino absidale si trova un affresco realizzato nel 1715 da Antonio Rapreti sulla base di cartoni preparatori lasciati dal cavalier d’Arpino. L’affresco – che raffigura San Giovanni trascinato in giudizio dinanzi all’imperatore Domiziano – è stato riportato alla luce soltanto nel 2007 giacchè era stato ricoperto per proteggerlo dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e se ne era persa la memoria.

    San Giovanni a Porta Latina – Adamo ed Eva.

    Il portico medioevale e le navate della basilica sono sostenuti da colonne di spoglio appartenenti, probabilmente, ad un tempio di Diana, parzialmente spogliate a favore del Laterano alla fine del 1700.
    Al bel sito è legato un episodio dell’ Inquisizione:  varie notizie riportano la storia di un gruppo di portoghesi che verso il 1578 aveva fondato una sorta di confraternita, e usava questa chiesa – all’epoca in stato di quasi abbandono, con il titolo lungamente vacante, per essere stata praticamente espropriata del proprio patrimonio dall’arcibasilica di San Giovanni in Laterano – per celebrare i propri riti. Secondo una versione si trattava di marrani rifugiati in Italia. Quel che è certo è che per questa storia furono eseguite, a Porta Latina, non meno di sette condanne a morte per rogo. Così riportano Ludwig von Pastor, nella Storia dei Papi e Michel de Montaigne nel suo Journal de Voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne (en 1580 et 1581).

     

    Roma, 28 ottobre 2018

  3. Area archeologica dei Fori Imperiali

    Chi almeno una volta nella vita non ha espresso il desiderio di poter passeggiare tra le imponenti vestigia dei gloriosi Fori Imperiali? Dal 26 novembre 2016, dopo

    Roma Moderna da Campo Vaccino – James Turner – 1839.

    vent’anni di scavi, è finalmente possibile godere di un percorso affascinante e carico di storia. Questo si sviluppa in senso topografico e non cronologico: toccherà una parte del Foro di Traiano, passerà sotto via dei Fori Imperiali percorrendo le cantine delle antiche abitazioni del Quartiere Alessandrino, attraverserà il Foro di Cesare e terminerà in prossimità del Foro di Nerva.
    L’itinerario prende il via ai piedi dell’immensa colonna che Traiano volle far edificare nel cuore del suo nuovo e imponente Foro, opera del suo architetto di fiducia, Apollodoro di Damasco, agli inizi del II secolo dopo Cristo. Sulla colonna si dipana un lungo e particolareggiato racconto per immagini: le importanti vittorie dell’imperatore ottenute contro i Daci. I rilievi corrono lungo tutto il fusto della colonna alta quasi trenta metri, senza contare la base, segnando con la sua estremità superiore l’altezza della sella collinare che univa il Quirinale al Campidoglio e che fu sbancata per fare spazio all’immensa spianata necessaria per la costruzione del Foro. Nel suo nuovo centro politico e amministrativo Traiano volle far erigere, oltre alla Colonna, anche due Biblioteche, una Basilica, una serie di imponenti portici e l’edificio detto dei Mercati di Traiano, un vero e proprio centro polifunzionale dell’antichità.

    I Fori Imperiali.

    Attraversando l’area ci s’imbatte nella grandezza, nell’imponenza e nel lusso dell’opera traianea. Un esempio sono le colonne della Basilica Ulpia, edificata tra il 106 e il 113, data d’inaugurazione del Foro di Traiano, che era la più grande basilica di Roma, intitolata alla famiglia dell’imperatore, di cui oggi è visibile solo il tronco centrale, con l’abside occidentale, che arriverebbe fino alle pendici del Vittoriano, nascosto sotto via dei Fori Imperiali, e quella orientale, che arriverebbe sotto la scalinata di Magnanapoli e degli edifici adiacenti.
    Dall’epoca imperiale si passa poi a quella medievale grazie alla presenza di abitazioni edificate sopra le imponenti strutture di età romana. È questo il momento in cui inizia a sorgere quello che in epoca rinascimentale sarà il quartiere Alessandrino: la prima sistemazione urbanistica moderna realizzata attorno al 1570 per opera di Michele Bonelli, nipote di Pio V Ghisleri, detto l’Alessandrino poiché nato a Bosco Marengo, vicino ad Alessandria. Questi provvide a bonificare l’area e a renderla edificabile, tracciandovi la via detta, Alessandrina, sempre dal suo appellativo. La strada tagliava l’antico Argiletum raggiungendo il Tempio della Pace, al di là dell’odierna via Cavour. Il quartiere fu poi completamente smantellato negli anni Trenta per far posto a via dei Fori Imperiali. Ma non tutto andò perduto: restano, al di sotto della via, le cantine e altri locali di fondazione, attraverso i quali è possibile raggiungere il Foro di Cesare. Questi angusti ambienti sono stati utilizzati come depositi e magazzini dagli archeologi che nel corso degli ultimi anni hanno scavato l’intera area, ma qua e là sono ancora visibili anche le scale che collegavano le cantine con le abitazioni delle palazzine dell’antico quartiere.

    I Mercati di Traiano e la Torre delle Milizie.

    Al termine di questo percorso, che passa sotto la Via dei Fori Imperiali, ci si ritrova a pochi metri di distanza dalle imponenti colonne del celebre Tempio di Venere Genitrice, edificato al centro del Foro per volere di Giulio Cesare. La necessità di rinnovare le strutture amministrative e giudiziarie più antiche e di adeguarle alla nuova dimensione – fisica e politica – della città di Roma fu il pretesto che Giulio Cesare utilizzò per portare a termine un’innovativa e brillante iniziativa di autocelebrazione. Così, in aperta competizione con il suo rivale Gneo Pompeo, che nel 55 avanti Cristo aveva inaugurato il suo splendido teatro in Campo Marzio, nel 54 avanti Cristo Cesare incaricò un gruppo di stretti collaboratori di progettare un nuovo complesso monumentale, la cui costruzione fu giustificata come un necessario ampliamento del Foro Romano. L’area scelta per costruire il nuovo foro era fittamente abitata: dopo aver fatto demolire gli edifici espropriati, Giulio Cesare fece eseguire dei consistenti lavori di livellamento dell’intera area allo scopo di ottenere i piani destinati a ospitare i corpi di fabbrica del nuovo impianto. Il Foro di Cesare sarà preso a modello dai suoi successori.
    Il Foro di Augusto nacque per onorare la memoria di Giulio Cesare: nel 42 avanti Cristo, alla vigilia della battaglia di Filippi contro la coalizione dei cesaricidi, il giovane Gaio Ottaviano fece voto solenne di edificare in caso di vittoria, un tempio a Marte Vendicatore, Ultore. Ottaviano era nipote di Giulio Cesare, sua madre, Azia, era figlia di Giulia, sorella di Cesare, e dal 45 avanti Cristo suo figlio adottivo ed

    Il Quartiere Alessandrino. Si ringrazia Romasparita.

    erede. Vinta la battaglia e vendicato così Cesare, al proprio ritorno a Roma Ottaviano sciolse il voto e avviò i lavori per la costruzione del tempio, che egli volle inserire in un nuovo Foro, replicando così il modello architettonico creato pochi anni prima proprio da Cesare quando fece realizzare il Foro a lui intitolato. Il pretesto per la costruzione di un altro Foro fu dato dalla crescita vertiginosa del numero dei processi, per accogliere i quali erano diventati insufficienti il Foro Romano e quello di Cesare, pure inaugurato da poco nel 46 avanti Cristo.
    Nel 70 – 75 dopo Cristo, a conclusione delle guerre civili per la successione all’Impero e della sanguinosa repressione della rivolta giudaica, l’imperatore Vespasiano, 69 – 79 dopo Cristo, fece costruire un santuario dedicato alla Pace, detto in antico Tempio della Pace, Templum Pacis, o Foro della Pace, costituito da una grande piazza con portici. Al centro del portico meridionale era l’aula di culto, affiancata da due aule per lato. Il complesso entrò a far parte dei cinque Fori Imperiali, il terzo in ordine cronologico dopo i Fori di Cesare, 46 avanti Cristo, e di Augusto, 2 avanti Cristo, e prima di quelli di Nerva, 97 dopo Cristo, e di Traiano, 112 – 133 dopo Cristo.
    Nello spazio compreso tra l’estremità orientale del foro di Traiano e quella settentrionale del Foro di Augusto si trova uno svettante edificio al quale fu sovrapposta, nella seconda metà del XV secolo, l’elegante Loggia dei Cavalieri di Malta, insediatisi nell’area dal XII secolo. La struttura è convenzionalmente denominata, dagli studiosi, “Terrazza Domizianea” con riferimento alle sue caratteristiche edilizie e alla prevalenza di bolli laterizi risalenti all’epoca di Domiziano rinvenuti nelle sue murature.

    I Fori Imperiali – Ippolito Caffi – 1841.

    Essa, in realtà, racchiude al suo interno diverse fasi di costruzione. La più antica, costituita da un edificio porticato con arcate su pilastri in opera quadrata di travertino, di età tardo-repubblicana, identificata con l’abitazione del console del 14 dopo Cristo, Sesto Pompeo è attualmente occupata dalla cappella di culto dei Cavalieri di Malta, dedicata a San Giovanni Battista. A questo edificio si addossarono, nella seconda metà del I secolo avanti Cristo, l’aula del Colosso e la grande abside settentrionale del portico Nord del Foro di Augusto.
    Gli studiosi ritengono che il grande edificio potesse far parte di un progetto domizianeo di sistemazione urbanistica dell’intera area, che non fu mai portato a termine poiché contro la sua facciata furono addossate le strutture della testata del portico orientale del Foro di Traiano le cui impronte scalpellate sono ancora oggi ben visibili.
    L’area attribuita al Foro di Nerva era occupata da edifici di carattere prevalentemente commerciale e dagli ingombranti perimetri delle due gigantesche absidi del lato meridionale del Foro di Augusto. Nel suo sottosuolo correva la Cloaca Maxima,

    Terrazza Domizianea.

    monumentale condotto fognario che la tradizione fa risalire all’epoca dei re, più esattamente al VI secolo avanti Cristo. Essa proveniva dalla Suburra, attraversava il Foro Romano e il Velabro e sboccava nel Tevere, subito a valle dell’Isola Tiberina. Sulla base dei dati degli scavi recenti e delle notizie fornite dagli autori classici è possibile stabilire che la trasformazione di questo tratto dell’Argiletum in Foro avvenne a opera dell’imperatore Domiziano, 81 – 96 dopo Cristo e che forse già negli anni 85 – 86 il nuovo complesso doveva avere assunto una sua fisionomia ben precisa. Tuttavia Domiziano fu assassinato nel 96 e così non poté inaugurare il suo nuovo Foro, cosa che fu invece fatta nell’anno 97 dal suo successore Nerva, 96 – 98 dopo Cristo, a nome del quale il Foro è infatti tuttora conosciuto.

    Roma, 8 agosto 2018.

  4. I porti di Claudio e Traiano a Fiumicino

    Nel II secolo avanti Cristo, in età repubblicana, il sistema portuale a servizio di Roma si basava sui porti marittimi di Ostia, alla foce del Tevere, di Pozzuoli, Puteoli, nel

    Cartina degli scavi di Ostia antica dove si evince il cambio di corso del Tevere.

    golfo di Napoli e sullo scalo fluviale interno della città, l’emporium, realizzato sulla riva sinistra del Tevere nella pianura ai piedi dell’Aventino, attualmente compresa nel territorio del rione di Testaccio, che divenne rapidamente il centro logistico della città.
    Il porto di Ostia, realizzato secondo la leggenda dal re Anco Marcio, non è mai stato localizzato, e le ipotesi più accreditate, a questo proposito, sono due. La prima sostiene che la città fondata da Anco Marcio sia, probabilmente, da identificarsi con Ficana, i cui resti sono stati ritrovati presso l’attuale Acilia. Questa ipotesi è sorretta dal fatto che, a tutt’oggi, gli scavi di Ostia la sua parte più antica, ovvero il castrum, che è di epoca successiva al regno di Anco Marcio. La seconda ipotesi è che il porto di Ostia antica sulla sponda del Tevere sia stato completamente cancellato dalla disastrosa inondazione del 1557 che cambiò completamente il corso del fiume, allontanandone, per altro, il percorso dal centro della città e dal sistema di magazzini.

    Mosaico dal Piazzale delle Corporazioni in cui è mostrato il trasbordo delle merci da un’imbarcazione all’altra.

    Dai dati, anche iconografici, che si hanno a disposizione, è certo, invece, che l’utilizzo dell’antico porto di Ostia era reso difficoltoso dai continui insabbiamenti causati dall’azione congiunta del Tevere, che portava una gran massa di detriti, e del mare, tanto che le navi più grandi di fatto non attraccavano quasi mai nel porto. Esse venivano perciò scaricate, o caricate, a largo della foce con l’uso d’imbarcazioni più piccole. Queste poi risalivano il fiume fino a raggiungere l’approdo in città, l’emporium.
    L’importanza per Roma di disporre di un porto più sicuro, indusse l’imperatore Claudio a far costruire, a partire dal 42 dopo Cristo, un nuovo scalo marittimo a circa 3 km a nord di Ostia. Il progetto comprese la realizzazione di un grande scalo che occupava una superficie di circa 150 ettari. Il nuovo porto, terminato da Nerone e inaugurato nel 64 dopo Cristo, era costituito da un bacino portuale scavato in parte a terra e in parte del mare. Per la realizzazione del faro, copia di quello di

    Porto di Claudio e Traiano, ricostruzione.

    Alessandria d’Egitto, fu creato un isolotto artificiale, affondando e riempendo di terra e enormi pietre la grande nave mercatile con cui l’imperatore Caligola aveva trasportato l’obelisco egizio, destinato al circo Vaticano, che ancora oggi si trova in piazza San Pietro. Il bacino fu dotato di canali che assicuravano il collegamento tra il mare, il porto di Claudio e il porto fluviale di Ostia antica. In questo modo le navi potevano risalire il Tevere raggiungendo il punto di attracco urbano dell’emporium.
    In pochi anni però le condizioni ambientali cambiarono e le correnti marine provenienti da Nord – Ovest provocarono il progressivo e inarrestabile insabbiamento del bacino portuale.
    Questo fu uno dei motivi principali, insieme al fatto che l’Impero Romano raggiunse il massimo della potenza economica e militare, che spinse l’imperatore Traiano, ad affidare il progetto per la realizzazione di una nuova struttura portuale all’architetto Apollodoro di Damasco. Il porto di Traiano vide la luce tra il 110 e il 112 dopo Cristo.
    Il fulcro del nuovo scalo marittimo era rappresentato dal bacino dalla caratteristica forma esagonale, che, si calcola, permetteva l’attracco contemporaneo di 200 grandi navi e che fu interamente scavato nella terraferma e collegato al Tevere da un nuovo sistema di canali. Il faro del nuovo porto fu costruito quale copia di quello del porto di Leptis Magna, nell’attuale Libia.

    Porto di Traiano

    Il grande porto esterno di Claudio non fu dismesso, ma continuò a funzionare come rada, il cui uso era assicurato da dragaggi programmati. Analogamente continuarono a essere utilizzati i canali fatti costruire da Claudio. Il bacino esagonale era collegato a quello di Claudio, attraverso un canale interno, mentre dalla Darsena un canale trasverso permetteva di raggiungere la Fossa Traiana. Da qui le merci potevano risalire il Tevere e raggiungere l’emporium, o andare verso ostia e la foce. Oltre a queste due vie d’acqua le merci potevano muoversi via terra attraverso la Via Portuense e la via Flavia-Severiana.
    Intorno al bacino esagonale e sui moli lungo i canali di collegamento del porto di Traiano fu edificata una serie di grandi edifici di servizio destinati soprattutto all’immagazzinamento, un tempio e un complesso termale. In un’area compresa tra i bacini di Claudio e di Traiano, in un punto centrale del sistema, fu costruito il

    Porto di Claudio e Traiano – Cartina d’epoca.

    Palazzo Imperiale e altri edifici amministrativi a esso associati. Nella stessa area sono stati recentemente individuate strutture forse pertinenti ad arsenali, i probabili cantieri navali.
    Nasceva così il nuovo centro abitato di Portus, che divenne il principale scalo marittimo di Roma, capace di assolvere la sua funzione almeno fino al VI-VII secolo dopo Cristo. Questa cittadina ottenne, nel 314 dopo Cristo, dall’imperatore Costantino il tutolo di civitas, fatto che le garantiva la totale autonomia amministrativa da Ostia.
    Così come prima a Ostia anche a Portus la maggior parte degli edifici erano horrea, ovvero magazzini. Questi insieme a quelli dell’emporium costituiscono una delle più grandi aree logistiche di epoca antica, così come il porto di Traiano è il porto romano che è arrivato meglio conservato fino a noi.

    Rapporti tra il porto di Claudio, quello di Traiano e i collegamenti con Roma e Ostia.

    Negli stessi anni, Traiano fece costruire anche il porto di Centumcellae, Civitavecchia, 80 km a nord di Roma. Con la costruzione di Portus sia Pozzuoli che Ostia non cessarono di funzionare, ma anzi furono potenziati: il primo in quanto organizzato centro portuale a Sud di Roma in un’area di grande importanza economica, la seconda soprattutto come grande polo amministrativo e commerciale, legato direttamente alla città attraverso il Tevere e la via Ostiense, collegata a Portus con un canale e al Sud per mezzo della via Flavia-Severiana.
    A oggi l’area archeologica del Porto di Traiano è formata da realtà distinte. Quello che resta del porto di Claudio è un’area in prossimità dell’aeroporto di Fiumicino, territorio in cui ricade anche il Museo delle Navi Romane.
    Il porto di Traiano, ovvero il bacino esagonale, separato dal primo, nonostante oggi si trovi in piena terraferma, effetto dell’azione del Tevere nei secoli, è ancora perfettamente leggibile. Il parco del Porto di Traiano è attualmente una riserva naturale protetta di grandissimo valore culturale e naturale, in cui i resti dell’antico impianto portuale si legano al patrimonio arboreo e agli specchi d’acqua, in una

    Oasi di Porto.

    unità armonica resa suggestiva dalle tracce del tempo e dall’ambiente creato con la bonifica delle paludi nei primi decenni del 1900. Il parco sorge sul terreno di sedimentazione depositatosi in circa duemila anni nell’antico bacino portuale che, all’inizio dell’età moderna, XV secolo, era ormai completamente insabbiato e trasformato in palude. Nel 1924 Giovanni Torlonia, con l’intento di trasformare il sito in tenuta agricola modello, iniziò quelle opere di bonifica idraulica e di piantumazione che trasformarono radicalmente l’area quale oggi si può vedere, nelle sue linee essenziali. Dell’iniziale tenuta Torlonia 32 ettari sono tornate al demanio.

    Roma, 7 agosto 2018