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  1. Roma arcaica e repubblicana: l’area sacra di Sant’Omobono

    In prossimità della piccola chiesa di Sant’Omobono, lungo il tratto più occidentale del vicus Iugarius, ai piedi del Campidoglio, è situata un’area archeologica ormai celebre, scoperta nel 1937.

    Ricostruzione delle varie fasi della così detta Area Sacra di Sant’Omobono.

    L’esplorazione, ancora ben lontana dall’essere terminata, ha già restituito documenti di eccezionale importanza per la storia di Roma arcaica e repubblicana.
    Si tratta di un’area sacra che include due piccoli templi che, fin dal momento della scoperta, sono stati giustamente identificati con quelli della Fortuna e Mater Matura, la fondazione dei quali è attribuita dalla tradizione antica a Servio Tullio. Gli scavi in profondità hanno permesso di ricostruire la storia del monumento e le sue diverse fasi – ben sette – che vanno dal XIV secolo avanti Cristo a un’ultima pavimentazione in travertino di età imperiale, forse domizianea, ma con rifacimenti adrianei. Restano tracce, al centro dell’area, di un doppio quadriportico quadrifronte, nel quale con tutta probabilità si deve identificare la Porta Triumphalis, attraverso cui i cortei dei trionfatori entravano in città dando inizio alla cerimonia spettacolare del trionfo riservata a un generale e alle sue truppe al rientro in patria.

    La Porta Triumphalis sull’arco di Costantino. Sullo sfondo si vede anche il Tempio della Fortuna.

    La Porta Triumphalis, infatti, secondo le pochissime fonti a disposizione, non si apriva né nelle mura serviane né in quelle aureliane, ma nel breve tratto di mura tra la Porta Carmentalis e la Porta Flumentana, e quindi in una zona compresa tra il Campidoglio e il Tevere.
    Il collegamento tra le diverse fasi archeologiche, che gli scavi nell’area di Sant’Omobono hanno restituito, e quelle testimoniate per i due templi dalle fonti letterarie sembra sufficientemente chiaro. L’area testimonia anche la presenza degli Etruschi in Roma già prima della costruzione dei templi arcaici, poiché qui è stato ritrovato un piccolo ex voto in avorio con l’iscrizione estrusca “araz silqetenas spurianas” che fa riferimento alla famiglia degli Spurinna, originaria di Tarquinia. Questa è, quindi, un’attestazione importante della presenza in Roma di gentes tarquiniesi ed è considerata un’indiretta conferma della dinastia dei Tarquini, che avrebbe avuto la stessa origine. La creazione dei templi può essere datata intorno alla metà del VI secolo avanti Cristo, in accordo con la tradizione che attribuiva questi edifici a Servio Tullio, che regnò a partire dal 579 fino al 537 avanti Cristo.
    L’abbondante ceramica greca di importazione, attica, laconica, ionica, scoperta in connessione con i templi, conferma la loro cronologia e l’epoca della loro distruzione volontaria: poco prima della fine del VI secolo avanti Cristo. Anche in questo caso, la concordanza con la data della Repubblica è impressionante: i templi dinastici dei re etruschi di Roma sembrano

    Gruppo Acroteriale di Eracle e Atena dall’Area Sacra di Sant’Omobono.

    distrutti in coincidenza con il violento cambiamento istituzionale. Le terrecotte architettoniche del tempio orientale comprendono parti decorative, un fregio con divinità su carri e statue di terracotta a due terzi del vero, Ercole, una divinità femminile armata. Esse sono databili intorno al 530 avanti Cristo e oggi questi reperti sono conservati ed esposti nei Musei Capitolini.
    La ricostruzione dei templi sarebbe dovuta a Furio Camillo, subito dopo la presa di Veio, 396 avanti Cristo. La fase successiva è data da frammenti di un’iscrizione su blocchi di peperino, scoperta al centro dell’area «M. Fulvio, figlio di Quinto, console, dedicò in seguito alla presa di Volsinii». Si tratta dunque del console Marco Fulvio Flacco che conquistò nel 264 avanti Cristo Volsinii, da cui portò via 2000 statue di bronzo, probabilmente depredando il vicino santuario federale etrusco di Fanum Voltumnae. È interessante notare che tutti i ricostruttori del santuario di Fortuna e Mater Matuta erano in rapporto con gli Etruschi e dedicarono un santuario sull’Aventino: Servio Tullio il Tempio di Diana, Furio Camillo il tempio di Giunone Regina, Fulvio Flacco quello di Vertumnus. Tra l’altro, si tratta di divinità «evocate», cioè sottratte ai rispettivi luoghi d’origine. Il livello successivo corrisponde certamente alla ricostruzione del 212 avanti Cristo, ricordata da Livio, successiva all’incendio del medesimo anno che distrusse il Foro Boario.

    Acroteri dei templi dell’Area Sacra di Sant’ Omobono.

    Sul lato opposto del Vico Iugario, si nota un portichetto tardo-repubblicano, costituito da due serie parallele di arcate in peperino con semi colonne tuscaniche, prolungato verso Nord da una simile struttura in travertino. Questo portico, che doveva avere inizio all’altezza del Portico di Ottavia, si dirigeva verso la Porta Carmentalis, tracce della quale sono state viste al centro della strada moderna. Il portico doveva, probabilmente, continuare fino ai templi di Apollo e di Bellona, tanto che un tratto di esso è ancora oggi visibile lungo i lati destro e posteriore al Tempio di Bellona. Il suo percorso ne rende probabile l’identificazione con la Porticus Triumphalis, collocato lungo il percorso dei cortei, tra il Circo Flaminio e la Porta Triumphalis.

    Roma, 16 giugno 2019

  2. Domiziano, lo Stadio, la Piazza

    È stato detto che, a Piazza Navona, Roma sia più autenticamente sé stessa. Grandiosa e solenne, vivace e raffinata, non in funzione del mondo come Piazza San Pietro, che rappresenta la missione di Roma.

    Piazza Navona 1699 - Caspar van Wittel

    Piazza Navona 1699 – Caspar van Wittel

    Questa piazza è un luogo esclusivo per la città, è lì dove la città vive per sé stessa, per il proprio gusto di esistere.
    Meravigliosamente, la piazza ripete nelle sue dimensioni e nel suo circuito la foggia dello Stadio di Domiziano che sorse qui, nell’anno 86 d.C., nelle vicinanze dell’Odeon, dove oggi è il Palazzo Massimo alle Colonne, alla cui decorazione aveva partecipato anche colui che fu poi l’architetto di Traiano: Apollodoro di Damasco. Probabilmente nei pressi della piazza, e presso il Tevere, dovette sorgere la Naumachia di Domiziano costruita per gli spettacoli nautici che non si potevano più dare nell’Anfiteatro Flavio dopo che lo stesso Domiziano ebbe costruito gli impianti di servizio sotto l’arena. L’imperatore apprezzava in modo particolare i giochi atletici greci che, insieme a quelli musicali ed equestri, facevano parte del Certamen Capitolinum, la gara in onore di Giove Capitolino.

    Stadio di Domiziano ed Odeon - ricostruzione

    Stadio di Domiziano ed Odeon – ricostruzione

    Il Certamen Capitolinum era triplice (musicum, equestre, gymnicum), cioè articolato in competizioni di diverso carattere: gare iniziali di poesia greca e latina che si svolgevano nell’Odeon alle quali seguivano competizioni musicali e canore, rappresentazioni teatrali ed equestri (queste ultime si dovevano svolgere nel Circo Massimo, edificio di cui Domiziano inizia il grandioso lavoro di ricostruzione poi ultimato da Traiano) e, da ultimo, si tenevano le gare sportive strutturate sul ciclo olimpico greco: atletica leggera (corse di vario tipo), atletica pesante (lotta, pugilato e pancrazio), oltre alle gare riunite nel pentathlon (corsa, lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, lotta). La gara più importante era la corsa dello stadio (circa 180 metri). Queste ultime gare si tenevano appunto nello stadio.
    Trattandosi di uno stadio e non di un circo, mancavano naturalmente i carceres (i box dai quali prendevano il via i carri) e la spina centrale che caratterizzava ed ha caratterizzato a lungo il profilo del Circo Massimo. L’arena dello stadio era quindi completamente libera e in nessun caso l’obelisco, che era al centro della piazza, poteva qui essere collocato in antico, come si è favoleggiato.

    Naumachia di Domiziano

    Naumachia di Domiziano

    Questa fantomatica Naumachia, che non dovette avere fortuna ed ebbe certamente vita breve poiché Domiziano medesimo ne utilizzò le pietre per un restauro al Circo Massimo, è forse all’origine delle contaminazioni leggendarie che fanno derivare da “nave” anziché da “agone” il nome di Piazza Navona. Il toponimo “in agonis” fu, però, molto usato nel medioevo per indicare tutta la zona.
    E’ noto che lo stadio fosse interamente costruito in travertino, a diversi ordini di fornici ed ornato da statue. La sua larghezza era di 54 metri e la lunghezza di 276; la cavea raggiungeva un’altezza di 33,40 metri. Essa poteva contenere fino a 30mila spettatori. Gli edifici che ammiriamo nell’area di Piazza Navona sono fondati sulle gradinate della cavea, come si può agevolmente controllare in Piazza di Tor Sanguigna, dove è visibile un tratto del lato curvo, perfettamente conservato al di sotto delle abitazioni moderne. Nel 222-235 furono realizzati dei restauri a cura di Alessandro Severo, che mise mano anche alle vicine Terme Neroniane; mentre Costanzo II, poco più di un secolo dopo, per quanto pieno di ammirazione, privò lo stadio dei suoi ornamenti marmorei per trasferirli a Costantinopoli. Alla ricca decorazione scultorea dell’edificio, alcuni pezzi superstiti della quale sono stati recuperati negli scavi degli anni Trenta del secolo scorso, appartiene forse la statua del Pasquino, copia di un gruppo ellenistico pergameno rappresentante probabilmente Aiace con il corpo di Achille, che attualmente è sull’angolo di Palazzo Braschi che insiste su Piazza Pasquino.
    E’ noto ancora che nel V secolo, alla caduta di Roma, lo stadio era ancora agibile.

    Festa del Lago di Piazza Navona 1756 - Giovanni Paolo Pannini

    Festa del Lago di Piazza Navona 1756 – Giovanni Paolo Pannini

    L’agiografia cristiana localizza nello stadio il martirio di sant’Agnese: esso avrebbe avuto luogo, infatti, in uno dei lupanari che, come nel Circo Massimo, avrebbero occupato i fonici dell’edificio, lupanare che probabilmente si trovava proprio nel punto dove ora è la chiesa omonima, nei cui sotterranei si possono vedere i resti appartenenti all’edificio.
    Nella generale rovina del primo medioevo, mentre le arcate crollavano e sopra vi crescevano gli orti, il ricordo della vergine Agnese fece sorgere un oratorio in mezzo alle torri delle fazioni baronali. Verso il 1250 si stabilirono nella piazza le prime famiglie nobili e nel ‘400 arrivarono gli spagnoli con un loro ospizio. A metà del secolo, secondo un memorialista del Giubileo del 1450, la piazza presentava ancora buona parte delle gradinate dello stadio di Domiziano. La rinascita dell’area era ormai avviata: qui, infatti, fu trasferito il mercato che si svolgeva alle pendici del Campidoglio: Roma stava spostando, seguendo gli orientamenti dei pontefici, il suo centro di gravità verso occidente, cioè verso la nuova sede papale del Vaticano.
    La piazza cominciò così ad essere centro di animazione: giostre e tornei, processioni e luminarie ne fecero un luogo di divertimento per quanto fosse anche sede di scontri, specie tra esponenti delle gelose colonie straniere.

    Piazza Navona - Giovan Battista Piranesi

    Piazza Navona – Giovan Battista Piranesi

    Alla fine del Cinquecento Gregorio XIII fece collocare, ai due estremi, due bacili di fontane da Giacomo della Porta: al centro venne posto un abbeveratoio.
    L’ascesa al pontificato di Innocenzo X Pamphilj, le cui case familiari si trovavano sulla piazza, determinò il destino della piazza. Fu così che qui il Barocco trionfante lasciò una delle sue impronte scenografiche più mozzafiato, e fu quasi una gara tra: Bernini, Borromini, Rainaldi, Pietro da Cortona vi lasciarono i segni tra i più strabilianti della loro immaginazione.

    Roma, 7 aprile 2018

  3. Catacombe di Marcellino e Pietro ad duas lauros

    La regione denominata ad duas lauros rappresenta una delle più importanti testimonianze storico-archeologiche nella vasta area della periferia romana attraversata dall’antica via Labicana, l’odierna via Casilina. Tale tracciato, realizzato su solidi strati di tufo vulcanico,

    Il Mausoleo di Sant’Elena – Giovan Battista Piranesi.

    rappresentava la principale area di comunicazione tra i Colli Tuscolani e Roma e fu in seguito prolungato fino a confluire con via Latina. La sua importanza è attestata anche dalla presenza nel territorio compreso ad duas lauros situato a circa tre chilometri da Porta Maggiore.
    La denominazione latina deriva probabilmente da due grandi alberi di alloro esistenti nella zona che sarebbero stati lasciati come testimoni di un bosco distrutto, oppure, come rivelano gli studiosi, potrebbe trarre origine dalla decorazione di un padiglione imperiale recante un doppio lauro.
    L’area archeologica è compresa tra un edificio – il Mausoleo di Sant’Elena – e una serie di cunicoli sotterranei – le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro e una basilica dedicata ai medesimi santi, oggi completamente interrata.
    Si hanno inoltre notizie dell’esistenza di un cimitero degli equites singulares, corpo scelto delle milizie imperiali che godeva di particolari privilegi, tra i quali, anche quello della sepoltura nella proprietà imperiale.

    Mausoleo di Sant’Elena, oggi.

    Diverse ricerche sono state fatte circa la presenza di una Villa dei Flavi Cristiani, impiegata come luogo di sosta degli imperatori e del Campo Marzio, zona compresa nelle vaste proprietà imperiali ad oriente di Roma riservato appunto al corpo scelto degli equites singulares. E sembrerebbe che il sepolcro delle milizie non sia l’unico cimitero pagano della zona: qui esistevano probabilmente tombe e mausolei fin dal tempo di Augusto. La sospensione dell’uso del cimitero degli equites singulares avvenne, verosimilmente, intorno al 313 – 315, nel periodo costantiniano.
    Non è chiaro il rapporto esistente tra il fondo imperiale, il sepolcro dei cavalieri e i reperti cristiani. È certo comunque che quando l’area divenne patrimonio dell’Augusta Elena, la zona, già interessata dalle sepolture dei martiri cristiani, godeva di particolari attenzioni da parte dell’Augusta madre dell’imperatore. Come dimostrano le ricorrenti donazioni. Il territorio assunse anche la denominazione di “Subaugusta” per indicare i possedimenti imperiali di campagna che si estendevano dal Mausoleo all’odierna Centocelle.

    Plastico del Mausoleo di S. Elena in Roma

    Dopo la morte di Elena la proprietà ad duas lauros fu assegnata alla Chiesa che, con papa Fabiano, 236 – 251, disegnò nuovamente le zone cimiteriali. Un passo significativo del Liber Pontificalis relativo alla vita di papa Silvestro, 314 – 335, rivela l’esistenza di un fundus laurentus definito possessio Augustae Helenae, che si estendeva dalla Porta Sessoriana, oggi Porta Maggiore, fino alla via Latina e, a Sud, fino al Monte Gabus, presso Centocelle.
    Marcellino e Pietro
    Marcellino e Pietro: la più antica notizia su questi due martiri ci è stata tramandata da Damaso, che fu Papa 366 al 384, il quale dichiara di averla appresa in gioventù dallo stesso carnefice, convertitosi poi alla fede cristiana. Siamo al tempo della sanguinosa persecuzione di Diocleziano. Nel 303, il prete Marcellino e l’esorcista Pietro vennero arrestati e condannati alla pena capitale, per il loro zelo apostolico e per essersi rifiutati di

    Catacombe dei Santi Marcellino e PIetro – Roma.

    sacrificare agli dei. Il giudice ordinò che fossero decapitati in un bosco, in modo che le loro tombe rimanessero sconosciute. I due furono condotti al luogo del supplizio e prima di essere uccisi dovettero scavarsi con le proprie mani la fossa in cui sarebbero stati seppelliti. I loro corpi rimasero a lungo ignorati finché una pia matrona di nome Lucilla, venuta a conoscenza del fatto, riuscì a recuperarli e a farli trasferire nel cimitero detto ad duas lauros, al terzo miglio della via Labicana, dove Costantino fece costruire una basilica – di cui nel 1897 fu scoperta la cripta – che fu subito meta di pellegrinaggi. Il carme che papa Damaso aveva composto sul loro sepolcro fu distrutto dai Goti, ma papa Vigilio lo rifece e inserì i nomi dei due martiri nel Canone della Messa. La testimonianza di papa Damaso contribuì certamente a diffondere il culto dei due santi, la cui basilica a Roma, a nord-ovest di San Giovanni in Laterano, diventò sede di una “stazione” nel secondo sabato di quaresima. Il Martirologio Geronimiano li commemora il 2 giugno, data su cui concordano i libri liturgici, Sacramentari, e i martirologi storici.
    Le catacombe dei SS. Marcellino e Pietro
    Si estendono per una superficie di 18.000 m². Si stima che, nel solo III secolo accolsero più di 15.000 sepolture sotterranee a cui vanno aggiunte alcune

    Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Roma.

    migliaia in superficie. Nel 2006, grazie ad una scoperta fortuita, vennero alla luce nuovi ambienti inesplorati, alcuni contenenti affreschi, e una fossa comune con oltre 1.200 corpi di persone, a quanto pare di rango, il cui decesso appare pressoché simultaneo, testimoniato ad esempio dall’uso di medesimi incensi cerimoniali per molti dei corpi, tra i quali sandracca, incenso e ambra, e risalente alla seconda metà del II secolo, inizi del III, forse in occasione di una epidemia di peste, probabilmente la cosiddetta “peste antonina”.
    Si è ipotizzato che questi corpi, collocati in queste stanze ipogee anteriormente all’epoca delle sepolture cristiane, appartenessero a famiglie degli equites singulares. Dopo un’opera di restauro degli ambienti finanziata dalla Repubblica dell’Azerbaigian, dall’aprile 2014 le catacombe sono regolarmente visitabili. Il complesso, segnalato dalle fonti come inter duas lauros dal nome antico della località, comprende la Catacomba di Marcellino e Pietro, la basilica omonima e il Mausoleo di Elena, noto anche con il nome di Tor Pignattara. Si accede alle catacombe dal cortile della

    Catacombe dei santi Marcellino e Pietro – Roma.

    basilica. Il sepolcro dei due Santi, accanto ai quali erano venerati anche Tiburzio, Corgonio, i Santi Quattro Coronati e due gruppi anonimi di martiri, tutte vittime della grande persecuzione di Diocleziano, era inizialmente costituito da due semplici loculi, in seguito arricchiti da monumentali decorazioni marmoree per volontà di papa Damaso, 366 – 384, il quale si tramanda abbia conosciuto le vicende di Marcellino e Pietro direttamente dal loro carnefice.
    Damaso fece costruire la scala d’accesso e un percorso obbligatorio per i pellegrini che si snodava tra sopra e sottoterra. I corpi dei due martiri rimasero nella cripta sotterranea fino al pontificato di Gregorio IV, 826, quando furono trasportati in Francia e di qui in Germania. La grande devozione dei fedeli per questo sito è documentata dai numerosi graffiti nell’absidiola e nelle gallerie che conducono verso le tombe dei martiri; non solo compaiono invocazioni in latino, ma anche in runico, a testimonianza della frequentazione del luogo di culto da parte anche di Celti e Germani.
    Le catacombe, decorate da scene bibliche, sono tra le più grandi di quelle presenti a Roma. Onorio I, 625 – 638, fece costruire una piccola basilica

    Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro – Roma.

    sotterranea absidata per accogliere i fedeli sempre più numerosi, raddoppiò la scala d’ingresso al vano basilicale e consacrò un altare proprio sopra i due loculi; tra il V e il VII secolo fu creato il nuovo santuario dedicato ai Santi Quattro Coronati, collegato al primo nucleo martiriale tramite percorsi a senso unico contrassegnati da lucernari; inoltre, per agevolare il cammino delle schiere di pellegrini, furono sbarrate le gallerie secondarie e i cubicoli e costruite nuove scale. Adriano I infine, ultimo quarto del secolo VIII, provvide all’ultimo allargamento dell’edificio.
    Tra le pitture presenti, merita una segnalazione quella che rappresenta l’Epifania con due Magi.

    Roma, 23 maggio 2019

  4. Il colle del Quirinale, il Palazzo Pallavicini Rospigliosi e il Casino dell’Aurora di Guido Reni

    Il colle del Quirinale rappresenta la storia stessa di Roma: esso sta all’origine della città quasi

    Tempio di Quirino - Ricostruzione

    Tempio di Quirino – Ricostruzione

    come il Palatino perché di qui discesero le popolazioni dei villaggi che, nella valle del Foro, si incontrarono con gli abitanti della Roma quadrata e diedero vita al primo ordinamento cittadino. Tradizionalmente si ritiene che questi primi abitanti fossero i Sabini di Tito Tazio, poi assorbiti nella città latina.
    Il colle prese nome dalla costruzione di un Tempio di Quirino, localizzato tra la Via del Quirinale e la Via delle Quattro fontane, insieme con altri edifici sacri importantissimi tra i quali il Tempio di Serapide, costruito da Caracalla e localizzato tra Piazza della Pilotta e Piazza del Quirinale. Nel IV secolo l’imperatore Massenzio vi costruì piccole ma importantissime Terme, che, dopo la sconfitta di Ponte Milvio, cambiarono nome e vennero indicate come terme di Costantino.
    Nel corso dei secoli, il Quirinale mantenne la sua enorme importanza per un motivo apparentemente banale, ma che rappresentò la sua “fortuna”: la straordinaria aria temperata perfettamente salubre rispetto a molte altre zone dell’Urbe, insidiate, soprattutto d’estate, dai miasmi malarici.

    Terme di Costantino - Incisione Etienne Duperac 1575

    Terme di Costantino – Incisione Etienne Duperac 1575

    La presenza di reperti archeologici faceva del colle un luogo di grande fascino e di un certo interesse anche per gli artisti. Basti pensare che lo stesso Michelangelo saliva spesso al Quirinale per passeggiare tra le rovine dei templi maestosi che qui sorgevano e per incontrare Vittoria Colonna nei giardini del Palazzo Colonna che ancora oggi conservano i resti della scalea che conduceva al tempio dedicato a Serapide. Recenti ricerche indicano che le statue dei due Dioscuri, oggi collocate nella Piazza del Quirinale, potessero appartenere all’apparato decorativo di questo tempio, insieme con le statue del Tevere e del Nilo che oggi sono state collocate nella piazza del Campidoglio.
    Fu solo per questo che, a partire dal XVI secolo, i papi decisero di trascorrere molto tempo al colle per godere della sua aria frizzantina.
    Paolo III, per esempio, fu ospite della villa che il cardinale Ippolito d’Este aveva qui sistemato su di una proprietà dei Carafa che gli era stata affittata. Nel 1574, proprio di fronte alle rovine delle terme costantiniane, sulla sommità del colle del Quirinale, Gregorio XIII diede inizio alla costruzione di un palazzo che sarebbe diventato, in futuro, la residenza estiva dei papi. I lavori furono affidati ad Ottaviano Mascherino e si conclusero nel 1585.

    Terme di Costantino - Ricostruzione

    Terme di Costantino – Ricostruzione

    Il primo papa ad insediarsi definitivamente nel Palazzo del Quirinale fu Paolo V Borghese. E di lì a poco, anche suo nipote, il segretario di stato cardinal Scipione Borghese, decise di costruirsi un palazzo al Colle. E, per far spazio alla villa, le Terme di Costantino furono quasi completamente rase al suolo: la splendida dimora di Scipione si estendeva fino alle pendici del Viminale e confinava con un’altra enorme villa di una potente ed antica casata romana, gli Aldobrandini. L’enorme quantità di materiali, accumulati dopo la demolizione delle terme, fu quindi utilizzata per la costruzione del terrapieno sul quale doveva sorgere il casino dell’Aurora, risolvendo in un colpo solo due problemi: quello di utilizzare la gran mole di detriti che l’abbattimento delle terme aveva creato e permettendo che il casino avesse l’ingresso allo stesso livello del piano nobile del palazzo.
    La costruzione del palazzo di Scipione Borghese fu curata dal Vasanzio e dal Maderno, fra il 1611 e il 1616; contemporaneamente essi progettarono anche un ampio giardino digradante verso Magnanapoli.

    Aurora - Guido Reni - Casino Pallavicini

    Aurora – Guido Reni – Casino Pallavicini

    Nel 1612 Scipione commissionò a Guido Reni, per il suo Casino nel parco del suo palazzo, l’affresco dell’Aurora, terminato nell’agosto del 1614: il carro di Apollo circondato dalle figure delle ore è preceduto dall’Aurora mentre sopra i quattro cavalli vola Phosphoros, l’astro del mattino, con una torcia accesa; in basso a destra, una marina.

    Nel momento stesso in cui Guido Reni dipinge il Carro dell’Aurora per Scipione Borghese, Guercino sta dipingendo lo stesso soggetto per Ludovico Ludovisi nella scomparsa Villa Ludovisi sul Pincio e Pietro da Cortona si cimenta con un’Aurora nella Villa del Vascello al Gianicolo. Delle tre, quella di Pietro da Cortona purtroppo andò irrimediabilmente perduta a seguito dei bombardamenti francesi della Villa del Vascello durante la Repubblica Romana del 1849.
    Per motivi non documentati, avendo avviato quasi in contemporanea la realizzazione di quella che sarà la Villa Borghese sul Pincio, Scipione Borghese abbandonò la villa sul Quirinale, portandosi via molte delle antichità che aveva nel frattempo collezionato, ma lasciando nel palazzo statue e quadri d’immenso valore.

    Loggia - Affreschi di Paul Bril e Guido Reni

    Loggia – Affreschi di Paul Bril e Guido Reni

    Dopo l’abbandono da parte di Scipione Borghese, al palazzo subentrarono i Bentivoglio e, in seguito, il cardinale Mazzarino che lo ampliò, destinandolo ad ospitare, oltra ai suoi parenti, anche personalità francesi di passaggio e gli ambasciatori che prima avevano risieduto a Palazzo Farnese. Finalmente, alla fine del Seicento, il palazzo pervenne ai Rospigliosi, che intanto si erano imparentati con i Pallavicini. La nobile famiglia incrementò ulteriormente il palazzo, arricchendolo di decorazioni pittoriche che andarono a comporre la celebre Galleria d’arte che vantava opere di Botticelli, di Signorelli, di Rubens, dei Carracci, oltre ai quadri attribuiti Leonardo e al Caravaggio.
    Molto belle anche le sale affrescate da Paolo Brill; una loggia nel giardino è adorna di affreschi di Orazio Gentileschi e Agostino Tassi.
    Attualmente il palazzo – che, dalla costruzione di via Nazionale, è stato mutilato di una parte del giardino, anche per far posto a nuovi edifici – si presenta in fondo ad un vasto cortile, delimitato sulla strada da un alto muraglione con apertura a foggia di finestre. Il nobile edificio risulta articolato in vari corpi dominati dalla svettante loggia-belvedere. L’ingresso principale, sulla sinistra, è preceduto da un bellissimo porticato, al di là del quale si scorge il “giardino segreto” con un ampio ninfeo a grandi nicchie e statue.

    Casino delle Muse - Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi

    Casino delle Muse – Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi

    Sul retro del palazzo, si snoda un pittoresco insieme di edifici annessi, di passaggi e cortiletti. Sul fianco del cortile antistante, si sviluppa un giardino pensile al cui fondo sorge il celeberrimo Casino dell’Aurora, famoso per la decorazione pittorica del soffitto del salone realizzata da Guido Reni. La visita al Casino Pallavicini, noto anche come Casino dell’Aurora, sarà l’occasione non solo per ammirare il capolavoro di Guido Reni, ma anche per avvicinarsi alla filosofia e allo stile di vita, alla ragion d’essere di queste ville della prima metà del seicento. Ville nate non solo come mere residenze, ma come spazi per la meditazione e l’ozio, in un pieno revival degli horti romani.

    Roma, 11 marzo 2017