Chiunque abbia deciso di visitare il Ghetto Ebraico di Roma non può non essere passato nel portico di Ottavia o nei pressi delle prime arcate del teatro di Marcello. I due monumenti contraddistinguono il Ghetto in
maniera così caratteristica che le due realtà sembrano essere nate insieme, mentre la loro storia si svolge su archi di tempo diversi, che solo alla metà del Cinquecento si incrociano e si fondono.
Fu, infatti, solo il 12 luglio del 1555 che il papa Paolo IV Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani e ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato anche “serraglio degli ebrei”, e identificò a questo scopo una regione nel rione Sant’Angelo, accanto al Teatro Marcello.
Questa prima realtà era chiusa da alte mura dotate solo di due porte che venivano chiuse al tramonto e aperte all’alba. Gli Ebrei avevano diverse limitazioni della loro libertà e si dovette aspettare che sul soglio pontificio arrivasse Sisto V, Felice Peretti, che nel 1586 cercò di alleviare la pressione sulla comunità ebraica permettendo anche un ampliamento del ghetto, che arrivò, sotto il suo pontificato, a occupare una superficie di tre ettari.
Un simile atteggiamento di maggiore disponibilità fu assunto anche da Paolo V Borghese, papa nella prima metà del 1600, il quale per sancire in qualche maniera il rispetto che la chiesa di Roma avrebbe portato alla comunità ebraica fece collocare nella piazza delle Scole una fontana nella quale il motivo araldico del drago alato dei Borghese si univa al candelabro con i sette bracci.
Uno spiraglio alle condizioni di estrema povertà della comunità ebraica si aprì una prima volta a seguito dell’occupazione francese di Roma del 1798 e la conseguente proclamazione della Prima Repubblica Romana, quando le porte del ghetto furono finalmente aperte e gli Ebrei poterono uscire. In piazza delle Cinque Scole per sancire questo momento fu eretto un “albero della libertà”, ma la libertà durò veramente poco visto che meno di due anni dopo, con la cacciata delle truppe francesi, le condizioni di vita tornarono a essere quelle di sempre. Di nuovo nel 1848 sembrò che le cose per la comunità ebraica potessero cambiare. Infatti Pio IX per un certo periodo del suo pontificato sembrò ispirarsi alle idee repubblicane, e questo per gli Ebrei si tradusse nel fatto che le mura del ghetto vennero abbattute. La libertà sembrò diventare ancora più concreta durante la Repubblica Romana del 1849, ma il ritorno del papa dopo la sconfitta della Repubblica spense di nuovo le speranze. Pio IX inasprito da quanto era accaduto, considerando la comunità ebraica in parte responsabile dell’esperienza della Repubblica, emanò leggi repressive
nei confronti della comunità che riguardarono anche la libertà con cui gli ebrei potevano muoversi all’interno della città, sebbene le mura del ghetto non esistessero più. Si dovrà attendere l’unità d’Italia e la proclamazione di Roma capitale per avere un’equiparazione reale tra gli Ebrei e gli altri cittadini romani. Ma anche questa sarà una parentesi che dal 1871 durerà in buona sostanza fino al 1938, quando Mussolini sceglierà di seguire Hitler sulla scelta discriminatoria nei confronti degli Ebrei. L’episodio certamente più grave della storia della comunità ebraica a Roma sarà quello che si compirà il 16 ottobre del 1943 durante l’occupazione nazista della città. In questa data i Tedeschi, al comando di Kappler, in poche ore, alle prime luci del mattino, rastrellarono e deportarono ad Aschwitz milleduecentocinquantanove Ebrei di tutte le età. Di questi ritornarono a Roma in sedici di cui quindici uomini e una sola donna Settimia Spizzichino, che da subito scelse di testimoniare l’orrore che aveva vissuto.
A tutti questi tragici eventi della comunità ebraica romana, ma anche a quelli lieti hanno assistito muti e hanno fatto da scenario i due monumenti del portico d’Ottavia, quest’ultimo restituito da poco tempo all’ammirazione dei romani e dei visitatori da un accurato restauro, e il teatro di Marcello.
Il primo nasce come un grandissimo portico quadrato che Augusto fece ricostruire, tra il 33 e il 23 avanti Cristo sul portico di Quinto Cecilio Metello Macedonico dedicandolo alla amatissima sorella Ottavia. All’interno del portico sorgevano due templi, quello di Giunone Regina e di Giove Statore, mentre facevano parte del portico stesso la biblioteca, che raccoglieva testi latini e greci, dedicata alla memoria di Marcello, figlio di Ottavia e la Curia Octaviae.
Nell’80 dopo Cristo il complesso subì danni in seguito a un incendio e fu probabilmente restaurato da Domiziano. Ancora nel 203 dopo Cristo, il portico e i templi furono ricostruiti e nuovamente dedicati da Settimio Severo e Caracalla, dopo le distruzioni dovute a un altro incendio. A seguito del terremoto del 441 dopo Cristo le colonne del propileo d’ingresso vennero sostituite dall’arcata tuttora esistente. Intorno al 770, a partire dal propileo d’ingresso, fu edificata la chiesa di San Paolo in summo circo, per volere di Teodoto, zio del papa Adriano I Colonna, come viene detto in un’iscrizione datata 780 e conservata all’interno della piccola chiesa. Nel XII la chiesa fu dedicata a Sant’Angelo, a seguito del miracolo dell’apparizione dell’Arcangelo Michele sul Gargano, e assunse anche l’attributo in foro piscium. La chiesa aveva però anche la denominazione di Sant’Angelo in piscibus e di Sant’Angelo iuxta templum Iovis.
Il toponimo in summo circo ricorda che il portico d’Ottavia delimitava il Circo Flaminio sul lato settentrionale. Il toponimo iuxta templum Iovis, ricorda la vicinanza con il tempio di Giove Statore, che era stato edificato nell’area tra il 143 e il 131 avanti Cristo per iniziativa di Quinto Cecilio Metello Macedonico. Il tempio fu il primo tempio di Roma edificato completamente in marmo. I toponimi in foro piscium, in piscibus e in pescheria indicano la vicinanza del mercato del pesce, che si svolgeva tra le rovine del portico e che era chiamato forum piscium o pescheria vecchia.
La vita di questo mercato sarà lunghissima, arrivando fino ai primi anni del Novecento quando esso sarà trasferito all’interno dei Mercati Generali sulla Via Ostiense. Molti sono i documenti che ne descrivono la vita più antica, come la targa posta a destra del grande arco del portico che ricorda, in latino, che:“Debbono essere date ai Conservatori le teste di tutti i pesci che superano la lunghezza di questa lapide, fino alle prime pinne incluse”. I Conservatori erano alti funzionari del Campidoglio e le teste erano considerate la parte più prelibata del pesce per preparare la zuppa. Pene severe erano previste per i trasgressori di questa imposta e il privilegio sancito da questa lapide durò fino alla Repubblica del 1798.
La vita più recente del mercato del pesce nel portico d’Ottavia, quella di fine di Ottocento, in particolar modo, è stata cantata da un artista del tutto particolare: Ettore Roesler Franz, che ha ritratto la vita del mercato e più in generale del Ghetto con attenzione e grande affetto attraverso i suoi acquerelli e le sue fotografie che restano una delle più importanti testimonianze della vita che si svolgeva in queste vie.
Dalla chiesa di Sant’Angelo in pescheria Cola di Rienzo si mosse alla conquista del Campidoglio nel giorno della Pentecoste, il 20 maggio, del 1347.
Gli imponenti resti del teatro di Marcello mostrano l’affascinante stratificazione di successive edificazioni nelle varie epoche. Il teatro, iniziato da Cesare, fu compiuto da Augusto tra il 13 e l’11 avanti Cristo e dedicato alla memoria dell’amatissimo Marco Claudio Marcello, suo nipote e genero prediletto, quest’ultimo era infatti figlio della sorella Ottavia e marito di sua figlia Giulia, morto non ancora ventenne nel 23 avanti Cristo e per il quale Virgilio scrisse i suoi famosi versi di rimpianto: «[…] Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l´anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo […]».L’imponente e severo monumento, che non di rado fu preso a modello dagli artisti del Rinascimento, era costituito da due ordini di quarantuno arcate ciascuno, coronati da un attico; la cavea, che si apriva ove attualmente è il giardino di Palazzo Orsini, poteva contenere circa quindicimila spettatori.
Nell’era cristiana molti dei teatri romani caddero in disuso e questa sorte toccò anche al teatro Marcello, tanto che nel 370 parte del travertino della facciata che guardava verso il Tevere sembra che fu utilizzato per un restauro del ponte Cestio, mentre altro materiale di pertinenza della facciata si accumulava e veniva poi ricoperto dalle piene del Tevere stesso, dando origine a quello che oggi si chiama Monte Savello.
Nel Medioevo ciò che era ancora in piedi del teatro veniva trasformato in una fortezza che appartenne prima ai Pierleoni, poi ai Faffo e quindi ai Savelli che tra il 1523 e il 1527 vi fecero costruire da Baldassarre Peruzzi i due piani del palazzo, il quale acquistò così forma definitiva e nel 1712 passò agli Orsini.
Nell’area compresa tra il teatro di Marcello e il portico di Ottavia svettano le tre colonne angolari del tempio di Apollo Sosiano, eretto nel 433 avanti Cristo e rifatto nel 179 quando lo stesso dio viene indicato con l’appellativo di Apollo Medicus. Il nome Sosiano deriva invece dal nome del console Gaio Sosio che lo ricostruì, nel 34 avanti Cristo, forse a causa di un suo trionfo. I lavori furono interrotti a causa tra Ottaviano e Antonio, per riprendere l’anno dopo quando Augusto si riconciliò con Sosio. Accanto a questo tempio infine sorgeva quello di Bellona, dea della guerra italica a cui fu dedicato il tempio nel 296 avanti Cristo. Il tempio si trovava fuori dal pomerium e in vicinanza delle mura, per questo motivo ospitò diverse riunioni del Senato quando a queste partecipavano personaggi stranieri, appartenenti ad ambascerie di altri popoli, o comandanti militari qualora essi fossero in armi ad esempio perchè dovevano partire per la guerra.
Roma, 6 ottobre 2019