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  1. Roma massonica, ovvero la “città degli altri”

    Roma, non basta una vita titolava il grandissimo cultore di romanità Silvio Negro un suo libro-gioiello del 1962, appena ripubblicato dalla casa editrice Neri Pozza.

    L'Elefantino della Minerva

    L’Elefantino della Minerva

    Incredibili sono le sorprese che l’Urbe riserva anche a chi crede di conoscerla. Demolizioni, allargamenti, ripuliture aiutano moltissimo perché rompono, con il richiamo della novità, l’abitudine dell’occhio. Allora si comincia a capire che cosa rappresenti questa città nella storia del mondo, allora la continuità della sua storia e la grandezza e unicità del suo destino appaiono evidenti: c’è qualcosa a Roma che supera le generazioni e i secoli, li plasma e li ricrea secondo il suo genio, ed è veramente intangibile perché al di sopra della comune ragione degli uomini.
    Allora, accanto alle meraviglie classiche e cristiane, ecco che si mimetizzano altre storie, altri miti, altre sensibilità. Insomma, c’è anche la Roma “degli altri”. La Roma massonica, per esempio. Rappresentata da aspetti e luoghi poco conosciuti che compongono, pietra su pietra, un grande edificio di significato occulto e di messaggi sapienziali. Una Roma esaltata e propagandata soprattutto dopo l’avvento dell’Unità d’Italia e di una lunga serie di governi fortemente anticlericali.
    La visita che proponiamo è un viaggio alla scoperta del “non svelato”, del genius loci iniziatico e massonico di cui è intessuta la storia della città. L’Urbe, come già sottolineato, è una città che non ti aspetti. A cominciare dal suo stesso nome.

    Giordano Bruno - Campo de' Fiori

    Giordano Bruno – Campo de’ Fiori

    L’anagramma di Roma è Amor, in cui l’alfa privativo evoca la “non morte”. Attraverso un labirinto di percorsi simbolici che si snoda tra le piazze, palazzi e chiese della Città Eterna, ricca di suggestioni magiche ed arcane, impareremo a riconoscere i messaggi esoterici che si nascondono dietro un’opera d’arte. Questo sarà lo scopo della visita guidata che ci condurrà alla scoperta delle radici della massoneria operativa e speculativa celate tra le opere di molti artisti noti del ‘600 romano. Simboli esoterici e misteriosi guideranno i nostri passi fino a svelare gli ideali massonici che accompagnarono gli eroi del Risorgimento italiano e i primi governi dell’Italia unita. Itinerario: dai resti dell’Iseo Campense a Campo dei Fiori attraversando i rioni Pigna, Sant’ Eustachio, Parione e Regola.

  2. La Suburra, miseria e nobiltà

    arco dei pantani

    Arco dei Pantani

    Il rione Monti brilla nel ventre topografico della città, come il suo centro perfetto, celebre da sempre, come recita una canzone popolare, per le “arubbacori”, le bellezze monticiane in eterna lite con le trasteverine.
    Il luogo, sinonimo di Suburra, trascina inevitabilmente il ricordo di delitti, di zuffe e di bordelli dell’antica Roma (e non solo di quella antica). Dove di notte, Nerone si aggirava travestito da poveraccio per carpire i giudizi del popolino sulle sue gesta. E la famigerata Messalina, sempre al calar del sole, usciva dal palazzo imperiale per provare l’ebrezza della trasgressione.
    Plauto, grande autore teatrale latino, definiva le “operatrici del piacere” della Suburra «rifiuti appena adatti a servi coperti di farina, ragazze fameliche dal profumo volgare e appiccicaticcio». Senza dimenticare però che qui era nato Giulio Cesare e il poeta Marziale.
    Quartiere di peccatori e delinquenti, la Suburra. Ma anche di santi. Di uno in particolare: Benedetto Giuseppe Labre, un francese che, rifiutato da tutti gli ordini religiosi per la sua salute fragile, giunse a Roma nel marzo del 1777 per servire il suo Signore da mendicante, e condividere quel poco che riceveva in elemosina con i poveri del malfamato quartiere.

    Piazza Santa Maria ai Monti - Incisione di Giuseppe Vasi

    Piazza Santa Maria ai Monti – Incisione di Giuseppe Vasi

    Labre aveva stabilito la sua dimora in un’arcata del Colosseo e trascorreva tutto il giorno a pregare nelle chiese mariane di Roma. Viste le condizioni di stenti in cui era vissuto, la sua salute peggiorò e il giorno di mercoledì santo del 1783, a soli 35 anni, si sentì male sulle scale della chiesa di Santa Maria ai Monti e fu trasportato nel retrobottega di un macellaio di via dei Serpenti dove nel pomeriggio morì. I suoi funerali videro la presenza di un’enorme folla di ogni stato sociale. Tanta fu l’affluenza di folla che si recò a visitare le sue spoglie a Santa Maria ai Monti, dove il suo corpo fu sepolto. Subito dopo i romani cominciarono a invocarne l’intercessione recandosi in pellegrinaggio presso la sua tomba.
    Nei decenni a noi vicini, le percezione della Suburra è profondamente cambiata: i borghesi del centro storico più cool, tra via della Scrofa e via Margutta, fino a quando non hanno dovuto capitolare, ritenevano il quartiere una scelta da “sfigati”. Ora, non è più così, da quando, cioè, le astute agenzie immobiliari hanno fatto lievitare i costi degli appartamenti incastonati nei palazzi medievali e rinascimentali di via Madonna dei Monti o di via Panisperna. Qui, presso l’Istituto di Fisica, dal 1926, operarono Fermi, Pontecorvo, Amaldi, Majorana, Segré e il chimico d’Agostino. O, ancora, via dei Serpenti, dove abitava il grande regista Mario Monicelli.

    Mario Monicelli - Diavù per MuRO

    Mario Monicelli – Diavù per MuRO

    I monticiani ancora lo ricordano, nella sua passeggiata mattutina per il quartiere, vestito come Capannelle, il personaggio dei Soliti Ignoti: cappelletto in testa e sciarpa al collo, con la speranza di non essere riconosciuto.
    Qual è la storia della Suburra? Di quest’angolo di Roma, separato, già dall’antichità da un possente muro dalla città dei potenti?
    Tutto inizia dall’VIII secolo a.C., nell’ampia e bassa valle a nord-est del Foro Romano, racchiusa tra Quirinale, Viminale ed Esquilino, il colle che ospitava la maggiore necropoli cittadina. Qui si formò una sorta di borgo suburbano della primitiva città situata sul Palatino. Sorsero il quartiere delle Carinae – posto su un’altura, di natura aristocratica e residenziale – e quella della Subura, situata più in basso e spiccatamente popolare. A metà del VI secolo quest’area venne inclusa da Servio Tullio tra le quattro regioni cittadine: Palatina, Collina, Suburana ed Esquilina.
    La Subura, il cui nome ha la stessa origine del termine latino suburbium (cioè sottostante alla città, al di fuori dell’urbs, ossia del primitivo stanziamento patrizio sul Palatino), costituiva la parte più popolare di Roma antica: un dedalo di viuzze, botteghe, mercati, catapecchie e insulae, i palazzi a più piani con appartamenti d’affitto. L’area era connessa al Foro tramite l’Argiletum, la via che iniziava nelle vicinanze del tempio di Giano, presso il lato nord-occidentale della Basilica Emilia. Oltre l’Argiletum, corrispondente all’odierna via della Madonna dei Monti, l’area arrivava fino alla Porta Esquilina, oggi nota come Arco di Gallieno.
    Nella Subura, abitata da mimi, gladiatori e cortigiane, si trovavano i luoghi più malfamati, le bettole e i vicoli bui teatro di delitti e misfatti.

    Foro di Nerva

    Foro di Nerva

    Nella zona vivevano numerosissime le famiglie plebee e si manifestavano tutte le problematiche umane e sociali della capitale dell’impero.
    Tuttavia la Subura non era soltanto un luogo di ambigua fama: seppur priva di importanti monumenti o edifici pubblici, era ricca di santuari di devozione popolare, come quello di Giunone Lucina, protettrice delle partorienti. Qui operavano schiavi esperti di scrittura, quasi una sorta di strutture editoriali dell’epoca, che per conto dei loro padroni copiavano e vendevano su ordinazione le più ricercate opere letterarie latine e greche.
    Nel periodo tardo-repubblicano e poi in quello imperiale si accentuò la tendenza a ridimensionare notevolmente l’area, che nella parte meridionale, lasciò il posto ai grandi Fori Imperiali e in quella più alta e salubre, a nord-est, vide moltiplicarsi le grandi residenze aristocratiche.
    Il Medioevo vide una forte contrazione della sua popolazione, trasferitasi in gran parte nell’area presso la riva del Tevere, e tuttavia la zona del Rione Monti, perché era posta lungo l’itinerario percorso dai pellegrini per raggiungere San Giovanni in Laterano, continuò a vivere e a poter esercitare un ruolo preminente nella politica cittadina.

    Demolizioni di Via Alessandrina - Roesler Franz

    Demolizioni di Via Alessandrina – Roesler Franz

    La valorizzazione delle aree collinari nord-orientali operata dai papi del Rinascimento non determinò un incremento della popolazione, che rimase sostanzialmente invariata sino al 1870. Stretta tra i grandi sventramenti e i rinnovamenti di Roma capitale, la zona, come una sorta d’isola nel flusso della storia, riuscì lungamente a conservare la propria secolare impostazione urbanistica e una schietta connotazione popolare. Caratteristica che in gran parte continua a mantenere ancora oggi, sebbene si presenti al tempo stesso come uno dei luoghi più innovativi della città, fervido d’iniziative culturali e ricco di locali, negozi e ristoranti.

  3. Centrale Montemartini: l’industria e l’antico

  4. A Pasquetta la Villa dei Quintili

    Questi grandiosi ruderi sono estesi per un’area così vasta che dalla fine del Settecento il luogo fu chiamato “Roma Vecchia”, perché si credeva appartenessero ad una città: si tratta invece dei resti della proprietà di due ricchi fratelli, Sesto Quintiliano Condiano e Sesto Quintiliano Valeriano

    Villa dei Quintili

    Villa dei Quintili

    Massimo (come si poté appurare tramite i loro nomi impressi sulle fistule di piombo attraverso le quali passava l’acqua), entrambi consoli nel 151 d.C. e nota con il nome di Villa dei Quintili. L’imperatore Commodo, volendosi impadronire delle ricchezze dei due fratelli, nonché di questa lussuosa villa, nel 182 li fece processare per un’ipotetica congiura e condannare a morte. Confiscati i beni dei Quintili, compresa questa villa, l’imperatore la fece restaurare trasformandola in una vera reggia di campagna. Le strutture superstiti della villa denunciano due grandi fasi costruttive: la prima, caratterizzata dall’opera laterizia, riferibile al tempo dei proprietari originari, la seconda, caratterizzata dall’opera listata, attribuibile ai rifacimenti e alle aggiunte di Commodo. Il complesso è formato da cinque nuclei diversi, estesi su un terreno ondulato di circa 1.000 mq

    Villa dei Quintili - Veduta aerea

    Villa dei Quintili – Veduta aerea

    che arriva fino all’Appia Nuova: un grande ninfeo, un giardino a ippodromo, uno stadio, un nucleo residenziale e due ambiente termali  e  disposti ai lati del nucleo residenziale. Sulla via Appia, dopo alcune strutture probabilmente riferibili a tabernae, la villa si apriva con un monumentale ninfeo a due piani formato da un’ampia esedra semicircolare, scandita da nicchie e con al centro una grande fontana. In origine il ninfeo era separato dalla strada tramite un muro, dopodichè ebbe un ingresso fiancheggiato da due colonne su alte basi e pilastri laterizi ai lati. Il pavimento, di cui restano tracce, era in mosaico bianco a grosse tessere. Nel Medioevo l’imponente complesso, in particolare il ninfeo monumentale, fu inglobato in un castello di proprietà della potente famiglia degli Astalli, come accadde anche per il Castrum Caetani presso mausoleo di Santa Cecilia. Il fortilizio oggi è in gran parte diroccato, ma si possono ancora notare le alte pareti in blocchetti di peperino, munite di fori per le impalcature lignee e l’ingresso rinforzato con mura di tufo e selce. Dietro il ninfeo si estendeva un grande peristilio o giardino porticato lungo circa 300 metri e largo, dopo la demolizione di un originario muro di cinta, oltre 100 metri: proprio su questo muro di cinta, sul lato orientale, poggiava lo “speco” dell’acquedotto Anio Novus che riforniva la villa.

    Villa dei Quintili - ricostruzione

    Villa dei Quintili – ricostruzione

    Al di là del giardino, verso nord, alcuni grandiosi ambienti facevano parte delle terme: un’aula rettangolare di m 13,50 x 11,60, con pareti aperte da finestroni su due piani ed una piscina al centro, originariamente rivestita di marmo; una grande sala rotonda, del diametro di m 36, probabilmente scoperta ed adibita a piscina. Nel lato rivolto a Occidente si trova una cisterna circolare  del diametro di 29 metri, a due piani, in laterizio con contrafforti in opera reticolata, sulla quale fu edificato nel Medioevo il “Casale di Santa Maria Nuova”, seguito da un massiccio nucleo cementizio di un sepolcro a forma di piramide che, per la ricchezza dei frammenti di sculture ed elementi di decorazione architettonica rinvenuti, viene attribuito proprio ai due fratelli Quintili. Il nucleo residenziale della villa era articolato intorno ad un ampio cortile rettangolare, pavimentato con lastre di marmi colorati così come anche le pareti e i pavimenti, mentre pitture e stucchi decoravano le volte e la parte superiore degli ambienti. Tutte le stanze del complesso erano dotate di un vero e proprio sistema di riscaldamento tramite tubi di terracotta, inseriti nelle pareti, all’interno dei quali era fatta passare l’aria preriscaldata. Infine, sul versante orientale, si estendeva un secondo giardino a forma di circo, probabilmente utilizzato come ippodromo, lungo circa 400 m e largo tra i 90 ed i 115 m. Lo scrittore greco Olimpiodoro scrisse che «la villa conteneva tutto ciò che una città media può avere, compresi un ippodromo, fori, fontane e terme». In un ampio locale, precedentemente adibito a stalla, situato in un moderno casale accanto all’attuale ingresso della villa sulla via Appia Nuova, è stato recentemente allestito un Antiquarium, dove vi sono conservati preziosi reperti ritrovati tra il 1925 ed il 1929,

    Villa dei Quintili - le terme

    Villa dei Quintili – le terme

    quando la proprietà apparteneva ai Torlonia (che la acquistarono nel 1797), e quelli rinvenuti alla fine degli anni Novanta, quando la villa era divenuta proprietà dello Stato (il passaggio avvenne nel 1985). La sala è dominata da un’imponente statua di Zeus seduto su una roccia, risalente alla prima metà del II secolo d.C. e circondata da vetrine in cui sono esposte statuette provenienti dall’area di un santuario dedicato a divinità orientali e a Zeus Bronton, dio dal carattere agricolo. Ritratti, erme, rilievi, monete, frammenti di affreschi parietali e decorazioni architettoniche completano la piccola esposizione. Il resto dei ritrovamenti sono conservati nei Musei Vaticani oppure sparsi in varie collezioni pubbliche e private, come quella immensa della famiglia Torlonia.