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  1. Santi, martiri, artisti al Foro Romano: il Carcere Mamertino e i Santi Luca e Martina

    Stanno una di fronte all’altra, alle pendici del Campidoglio prospicente la valle del Foro Romano: la chiesa dei Santi Luca e Martina, uno dei capolavori del primo barocco romano, e il complesso del Carcere Mamertino, considerato il più antico carcere del mondo.

    Schema del Complesso del Carcere Mamertino. 1 – Chiesa di San Giuseppe Falegname; 2 – Cappella del Santissimo Crocefisso; 3 – Mamertino ; 4 – Tullianum

    Nella prima, è sepolta Martina, martire del III secolo, tra le più amate dai romani. Il secondo, seguendo la tradizione, ospitò i condannati a morte Pietro e Paolo, fondatori della Chiesa di Roma.
    Il complesso del Carcere Mamertino ci appare oggi molto ridotto nella sua struttura iniziale, almeno da quanto si possa desumere dalle descrizioni che diversi autori romani, a partire da Tito Livio, ne hanno fatto. Quello che arriva fino a noi è la parte più segreta del carcere originario, che equivale grosso modo ad un carcere di massima sicurezza moderno, anche per il tipo di prigionieri che vi venivano rinchiusi. L’insieme degli ambienti pervenuti era scavata nella cinta muraria di età regia e può quindi essere fatta risalire, anche per la modalità di costruzione e per il tipo di pietra utilizzata, ad un periodo compreso tra il V e il III secolo avanti Cristo, anche se alcuni scavi più recenti farebbero identificare delle fasi costruttive risalenti all’VIII e al VI secolo avanti Cristo.
    Questo nucleo era poi in continuità con altri ambienti scavati nel Campidoglio, dette Lautumiae, delle antiche cave di tufo, che venivano utilizzati per la detenzione di prigionieri di basso rango. Probabilmente il complesso era in connessione anche con le Scalae Gemoniae dalle quali venivano gettati i condannati. Certamente ciò accadde sotto l’imperatore Tiberio a quei condannati a morte per aver commesso il delitto di lesa maestà e successivamente anche le vittime di conflitti legati al potere imperiale, come ad esempio accadde all’imperatore Vitellio, subirono questa sorte.
    Tutte le ricostruzioni del complesso carcerario, a partire da quelle più antiche, ad esempio di Piranesi, a quelle più moderne, hanno utilizzato le fonti bibliografiche per restituirne un’immagine compiuta.

    Tullianum – Si ringrazia Riccardo Auci per la foto

    Al di là della difficoltà di immaginare l’intera struttura, l’identificazione del Carcere Mamertino con gli ambienti che oggi si trovano sotto la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami è certa, poiché dalle fonti, ad esempio in Plinio, si sa che esso era in prossimità del Tempio della Concordia nelle vicinanze del Foro, il che coincide con la presenza nella medesima zona del Clivus Lautumiarum, ovvero la strada lungo la quale si trovavano le Lautumiae e nel muro di uno degli ambienti del carcere, il Tullianum, si vede incidere il muro della Curia Hostilia.
    Il complesso carcerario che arriva fino a noi è costituito da una camera sotterranea più profonda detta Tullianum, e da una seconda camera, sempre sotterranea ma posta al di sopra del Tullianum, detta Mamertino. La comunicazione tra le due camere, oggi è assicurata da una scala moderna, ma in antico l’unica comunicazione era una botola che si apriva nel pavimento del Mamertino e che è ancora visibile.
    Il nome di Tullianum ha sempre indotto a pensare che la sua costruzione fosse da attribuire a Servio Tullio o a Tullio Ostilio, ma Livio ne attribuisce la fondazione a Anco Marzio. Più probabilmente l’etimologia deve essere fatta risalire alla parola latina tullus, ovvero polla d’acqua. In effetti ancora oggi c’è una sorgente all’interno del Tullianum, che la tradizione popolare racconta che fu fatta scaturire da Pietro e Paolo nel corso della loro detenzione. Con l’acqua di questa sorgente battezzarono poi i loro carcerieri, Processo e Martiniano, dopo averli convertiti, e quindi abbandonarono il carcere per andare incontro ai loro destini. In realtà è possibile che il Tullianum fosse in origine una cisterna e che potesse avere anche una funzione sacrale.

    Colonna alla quale sarebbe stato legato Pietro – Tullianum

    Del Tullianum una descrizione molto precisa ci è lasciata da Sallustio nel De Catilinae coniuratione. Nel suo resoconto dell’imprigiona- mento e dell’esecuzione dell’ex console Lentulo, di Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario, lo storico tratteggia una concisa quanto fedele descrizione del luogo, ancora valida per il sito così come ci è giunto: “Vi è un luogo nel carcere chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa 12 piedi sottoterra. Esso è chiuso tutto intorno da robuste pareti e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta di pietra: il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità e il puzzo”.
    Il Tullianum era il carcere simbolo per i prigionieri illustri dell’antica Roma e non a caso si trova in un’area centralissima a ridosso della Via Sacra nel Foro. Ha ospitato in ceppi, per circa mille anni, i grandi nemici del popolo e dello Stato, i grandi vinti e i grandi traditori di Roma. Qui vennero gettati, tra gli altri: Ponzio, re dei Sanniti, vincitore delle Forche Gaudine qui decapitato nel 290 avanti Cristo, Erennio Siculo, amico di Gaio Sempronio Gracco nel 123 avanti Cristo, Giuturna, re della Numidia nel 104 avanti Cristo, Lenulo e Centego, i Catilinari nel 61 avanti Cristo, Vercingetorice, capo dei Galli nel 49 avanti Cristo, Seiano e i suoi figli nel 31 dopo Cristo.
    La tradizione vuole che qui furono rinchiusi Pietro e Paolo, e racconta che Pietro, scendendo con il compagno nel Tullianum, cadde battendo il capo contro la parete lasciandovi un’impronta. Secondo quanto ci trasmette lo storico Ammiano Marcellino nelle sue Storie, il Carcere Mamertino diviene luogo oggetto di pellegrinaggio, perché luogo di detenzione dei santi Pietro e Paolo, solo a partire dal VI secolo. Ma alcune fonti affermano che fu elevato a luogo di culto già nel 314 dopo Cristo, quando il Papa Silvestro lo dedicò a San Pietro in Carcere.

    Chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro – Piranesi

    Proprio di fronte al complesso Mamertino, si trova una delle più belle e meno conosciute chiese di Roma dedicata ai Santi Luca e Martina, a cui è legata una storia avvincente.
    Nel 1634: Pietro Berrettini, meglio noto come Pietro da Cortona, immenso pittore e architetto del primo Barocco, si attribuisce l’incarico di ricostruire a sue spese la chiesa di Santa Martina al Foro Romano, ormai in stato di abbandono da molti anni. Il culto di Martina era ormai avvolto dall’oblio e delle sue reliquie non si era persa traccia. A differenza di altre martiri più celebri, infatti, lei non aveva avuto il dono di una devozione costante, capace di conservarne il ricordo nel tempo.
    Pietro da Cortona, oltre alla ricostruzione della chiesa, desiderava ardentemente ritrovare le reliquie della martire, accanto alle quali, qualora fossero state ritrovate, voleva essere sepolto. Un’impresa che avrebbe dovuto realizzare da solo, dal momento che papa Urbano VIII non voleva in alcun modo finanziarla.
    Chi era Martina? Di lei, come del resto della gran parte dei martiri della cristianità delle origini, sappiamo pochissimo, se non quello che ci trasmettono le Passiones, scritti agiografici dove realtà e leggenda si mescolano.
    La sua vicenda terrena si colloca nella prima metà del III secolo dopo Cristo. La giovanissima Martina, nata in una nobile famiglia romana, rimase orfana di entrambi i genitori. A seguito di ciò Martina decise di rinunciare a tutte le sue ricchezze per donarle ai poveri: una pratica di carità comune a molte donne delle prime comunità cristiane.

    Santa Martina – Nicola Menghini – Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella” per la foto

    Regnava allora Alessandro Severo, un imperatore originario della Frigia, regione dell’Anatolia occidentale. Egli era un uomo tollerante, tanto da includere Cristo nel suo larario, ma evidentemente non abbastanza per proteggere Martina dalla persecuzione di Ulpiano, celebre giureconsulto e potente prefetto del Pretorio. Arrestata per la sua fede, che professava apertamente, la giovane fu sottoposta ad atroci sevizie, tra cui, quella più crudele, di straziarne le carni con uncini di ferro. La Passio narra che Martina fu condotta davanti alla statua di Apollo e torturata, ma la statua del dio andò in frantumi e un terremoto distrusse il tempio e ne uccise i sacerdoti. Lo stesso prodigio si ripeté quando ella fu condotta e seviziata nel tempio di Artemide. Nessuno dei due prodigi arrestò la mano dei suoi torturatori, che accecati dall’odio la decapitarono. Era il 228: da quel momento su Martina scese il silenzio.
    Il suo martirio, però, ebbe grande eco nella prima comunità cristiana di Roma. Tanto che, quattro secoli dopo la sua morte, papa Onorio I le volle dedicare una piccola chiesa in un luogo dove un tempo sorgeva l’antica Curia Hostilia, così denominata perché fondata, secondo tradizione, dal re Tullo Ostilio. L’invidiabile posizione della chiesa, posta tra il Foro Romano e i Fori di Cesare e di Augusto, era valso alla chiesa l’appellativo di Sancta Martina in tribus foris.
    Ma il culto durò poco tempo, tanto che la chiesa fu adibita ad usi civili e ancora una volta la memoria della martire si perse, fino al 1256, durante il pontificato di Alessandro IV, quando, nel corso di lavori di ripristino della chiesa, vennero alla luce le reliquie di Martina e di altri tre martiri: Concordio, Epifanio e un terzo rimasto senza nome. Restaurata e riconsacrata, la chiesa, incredibilmente, andò incontro a un nuovo abbandono.
    Passarono altri secoli. Nel 1588 papa Sisto V concesse la chiesa di Santa Martina all’Università delle Arti della pittura, della scultura e del disegno – l’attuale Accademia Nazionale di San Luca – come compensazione per l’abbattimento della chiesa dell’Esquilino intitolata a Luca evangelista protettore dei pittori, demolita a causa dell’ampliamento della piazza di Santa Maria Maggiore.

    Cupola – Chiesa dei santi Luca e MArtina al Foro

    Tra il 1592 e il 1618 diversi artisti come Federico Zuccari e Giovanni Baglione realizzarono vari progetti per la ricostruzione della chiesa accademica, ma il lavoro di restauro era davvero arduo: dalle murature da rialzare ai pavimenti da rifare e poi la cripta per i sepolcri degli artisti da scavare e costruire ex novo. Insomma, occorreva un’immane quantità di denaro che non si poteva coprire neanche con la vendita delle antichità rinvenute nei dintorni. A quel punto si fece avanti Pietro da Cortona, divenuto nel 1634 principe dell’Università delle arti, chiarendo a tutti, al papa in primis, che al denaro avrebbe provveduto lui stesso. Sperava, infatti, che nella chiesa potesse rinvenire le spoglie della martire, delle quali si era perduta traccia.
    Pietro da Cortona elaborò il progetto e poi, come prima cosa, iniziò a scavare sotto l’altare, dove intendeva predisporre la tomba di famiglia, esattamente sotto la confessione, secondo l’uso antico. Ed ecco che il 25 ottobre del 1634 affiora dallo scavo una cassa con molti resti e una lamina di terracotta con su scritto “qui riposano i corpo de’ Sacri Martiri Martina Concordio Epifanio con loro Compagno”.
    La scoperta fece accorrere tutta Roma, la città fu inondata da un clima di festa. Urbano VIII, commosso, si recò subito a rendere omaggio alla martire. Non solo, il papa decise di stanziare una gran quantità di danaro per aiutare nell’impresa Pietro da Cortona. L’euforia è così contagiosa da spingere anche il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, a donare fondi. In questo clima gioioso e commosso, Urbano VIII fissò al 30 gennaio la celebrazione di Martina e la eleva a compatrona di Roma.

    Busto di Pietro da Cortona – chiesa dei santi Luca e Martina al foro – Si ringrazia “I Viaggi di Raffaella” per la foto

    Quanto a Pietro da Cortona, l’emozione intensa che provò al ritrovamento delle reliquie lo spinse a modificare il suo progetto architettonico tanto da trasformarlo in una testimonianza di commossa devozione. Nella realizzazione della chiesa mise tutto se stesso: talento, passione, impegno, denari. E il risultato fu quell’autentico gioiello del barocco romano che si può ammirare nel cuore del Foro Romano, accanto ai marmi istoriati dell’arco di Settimio Severeo e all’umbilicus urbis, cioè il centro ideale di Roma. La chiesa dei Santi Luca e Martina è un capolavoro di armonia, di morbidezza e di luce, con la curvatura dolce della facciata, la preziosità della cupola.

    Roma, 16 luglio 2017

  2. Storia di Giovanni e Paolo alle Case Romane del Celio

    Chi erano Giovanni e Paolo? Due fratelli cristiani martirizzati durante l’impero di Giuliano l’Apostata (361-363).

    Martirio dei Santi Giovanni e Paolo – Piastrini, Triga e Barbieri.

    È quanto racconta la passio redatta nel IV secolo che consta di tre versioni consecutive: nella prima vengono presentati come maggiordomo e primicerio, ovvero capo della cancelleria imperiale, di Costantina, figlia di Costantino imperatore, poi come soldati del generale Gallicano e infine come privati cittadini, nella loro casa del Celio, molto munifici di elemosine e aiuti grazie ai beni ricevuti da Costantina.
    La versione adottata dalla tradizione racconta che nel 361 era salito al trono l’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, per via della sua decisione di ripristinare il culto pagano. Egli, per farlo, chiamò a corte proprio Giovanni e Paolo così che potessero collaborare al progetto. I due fratelli – che dovevano avere molta considerazione a corte – rifiutarono l’invito dell’imperatore e Giuliano mandò loro il capo delle guardie, un certo Terenziano, con l’intimazione di adorare l’idolo di Giove. Persistendo nel rifiuto, Giovanni e Paolo vennero sequestrai nella loro casa per una decina di giorni, perché riflettessero sulle conseguenze del gesto d’insubordinazione attuato. A quel punto, un prete di nome Crispo, informato del fatto, si recò insieme con Crispiniano e Benedetta, entrambi cristiani, a visitare i due fratelli portando loro la santa Comunione e un po’ di conforto. Trascorsi i dieci giorni, Terenziano tornò alla casa minacciando e lusingando i due per tre lunghe ore. Vista l’impossibilità di convincerli ad adorare Giove, li fece decapitare e seppellire in una fossa scavata nella stessa casa, spargendo la voce che erano stati esiliati. Era il 26 giugno del 362.
    Crispo, Crispiniano e Benedetta, avendo ricevuto notizia della morte di Giovanni e Paolo, si recarono alla casa dei due fratelli, dove furono sorpresi dalle guardie dell’imperatore e, a loro volta, uccisi.

    Sala dell’Orante – Case romane

    Dopo questi drammatici eventi, il figlio di Terenziano cadde preda di un’ossessione: aveva continue visione dei due martiri che reclamavano giustizia, tanto che il padre decise di condurlo nel luogo della sepoltura. Qui giunto, il ragazzo riacquistò la serenità.
    Il successore di Giuliano l’Apostata, Gioviano (363-364) abrogò la persecuzione contro i cristiani e diede incarico al senatore Bizante di ricercare i corpi dei due fratelli, nella loro casa sul Celio. Quando i resti furono portati alla luce Gioviani ordinò a Bizante e a suo figlio Pammachio di far erigere un luogo di culto sopra la casa – sepolcro, costituito da una tomba capace di ospitare i corpi di Giovanni e Paolo.
    Su questo sepolcro fu eretto il piccolo vano della confessio, che successivamente fu inglobato in una basilica detta Celimontana edificata nel 389, basilica che, pur attraverso molti adattamenti, giunge fino ai nostri giorni ed è conosciuta con il nome di basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio.

    Confessio – Case romane

    I primi scavi sotto la basilica furono intrapresi nel 1887 dal padre passionista Germano di San Stanislao, rettore della basilica, che calandosi in una delle camere funerarie dell’area presbiteriale, scoprì vasti ambienti sotterranei le cui pareti conservavano, sotto un leggero strato di calce, tracce di pitture antiche. A guidare il padre nell’esplorazione dei sotterranei della basilica era stata, ovviamente, la passio dei due martiri, e il racconto maggiormente sostenuto dalla tradizione.
    Nuove indagini archeologiche furono condotte tra il 1913 ed il 1914 sempre dai padri passionisti e nel 1951 ulteriori interventi portarono alla riscoperta dell’intero complesso archeologico.
    Il complesso archeologico è molto articolato ed oggi in parte inglobato nella basilica, sia nella zona absidale che nella navatella destra.

    Clivus Scauri

    Lungo il clivus Scauri, il lato sinistro della chiesa ha riutilizzato la facciata della casa del II secolo dopo Cristo, quella in cui si sarebbero svolti i fatti narrati dalla passio di Giovanni e Paolo, e che, proprio perché inglobata nella chiesa, si è conservata in modo eccezionale, finendo solo in parte ricoperta dalle arcate medievali che scavalcano in questo punto la via.
    Per poter inglobare questa costruzione dentro la basilica per altro si possono notare oltre il taglio dell’edificio all’altezza del secondo piano, anche la chiusura delle finestre e delle arcate al pian terreno.
    In questo nucleo originale s’identifica una domus con impianto termale privato del II secolo dopo Cristo e un’insula, con portico e tabernae a livello della strada costruita all’inizio del III secolo dopo Cristo proprio lungo il clivus Scauri.
    Nel corso del III secolo le diverse unità abitative furono riunificate da un unico proprietario e trasformate in un’elegante domus pagana con ambienti decorati ad affresco.
    Tra tutti gli ambienti oggi visitabili, circa una ventina, uno di quelli con maggiore interesse è la così detta sala dell’Orante, dove in un affresco è riprodotta una figura a braccia levate in atteggiamento di preghiera, interpretata come il segno che quegli ambienti fossero utilizzati da una comunità cristiana primitiva.

    Case romane – interno

    La Confessio, che viene appunto legata al martirio di Giovanni e Paolo, si trova a metà della scala che conduceva ai piani superiori. Anche questo ambiente è decorato con affreschi a tema cristiano, risalenti al IV secolo dopo Cristo.
    Alcuni degli ambienti delle domus romane furono utilizzati anche in epoca medievale, tanto che in un settore del portico sono stati messi in luce i resti di un oratorio con affreschi datati tra l’ VIII e il IX secolo dopo Cristo, dove si può ammirare una rarissima rappresentazione della crocifissione del Cristo vestito.
    La piazza su cui si affaccia la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo è uno dei luoghi più suggestivi della città per la presenza di testimonianze storiche distribuite lungo l’arco di due millenni; per il severo influsso dello stile romanico evocatore di tempi aspri e forti, e infine per il verde ambiente naturale della vicinissima Villa Celimontana.
    L’edificio molto danneggiato in occasione dell’invasione di Alarico, 410 dopo Cristo, dovette essere consolidato murando le aperture della facciata e creando due arconi di sostegno sul fianco sinistro. Le distruzioni operate da Roberto il Guiscardo, 1084, portarono alla ricostruzione del convento fatta tra il 1099 e il 1118, all’epoca di papa Pasquale II, dal cardinal Teobaldo il quale avviò anche la costruzione del campanile. I lavori furono portati a termine dal cardinale Giovanni di Sutri il quale, alla metà del XII secolo, ultimò l’elegante campanile ravvivandolo con ceramiche arabo spagnole, collegò campanile e convento con un edificio ad eleganti polifore e creò il portico sul cui architrave lasciò una lunga iscrizione.

    Soffitto a cassettoni – Basilica Santi Giovanni e Paolo al Celio

    Nel secolo XIII, il cardinale Cencio Savelli, poi Onorio III, costruì sul portico una galleria e aggiunse un anello di arcatelle decorative all’esterno dell’abside.
    Attualmente l’aspetto dell’interno è ricco e maestoso anche se non corrisponde all’attesa di chi entra, con gli occhi e lo spirito presi dal carattere romanico dell’esterno, questo perché l’interno è stato oggetto di radicali trasformazioni attuate per adeguare la struttura al gusto dei tempi che mutavano.
    Tra queste trasformazioni, ad esempio, il cardinal Cusani fece costruire nel 1518 il bel soffitto a cassettoni, il cardinal Howard nel Seicento fece eliminare il ciborio e schola cantorum cosmateschi e il cardinal Fabrizio Paolucci, tra il 1715 e il 1718, fece operare un totale rinnovamento della chiesa, intercalando le arcate con zone a muratura piena e creando una sobria decorazione a stucco.
    Al centro dell’abside si ammira un grande affresco del Pomarancio raffigurante il Redentore in gloria. All’altar maggiore c’è una splendida antica vasca di porfido con decorazioni settecentesche in bronzo dorato. All’interno, Benedetto XIII vi raccolse le reliquie di Giovanni e Paolo, ritrovate nel punto indicato ancora oggi nella navata da una lapide, nel corso di una delle tante esplorazioni condotte nel tempo.

  3. Agnese e Costanza: alle origini del cristianesimo

    Un viaggio nel tempo alla scoperta della piccola e amatissima martire Agnese nei luoghi che la videro protagonista, e che testimoniano l’ininterrotta devozione verso di lei, definita dalla pietà popolare la “piccola fidanzata dell’Agnello sulle orme degli Apostoli”.

    Basilica costantiniana di Santa Agnese

    Ma il viaggio nel tempo è anche andare alla scoperta di Costanza, principessa di nobilissimo sangue, figlia di Costantino il Grande, che pretese espressamente di essere sepolta in questo luogo per stare vicina alla martire da lei tanto venerata.
    Il complesso monumentale oggi è costituito da tre realtà: la basilica costantiniana di Sant’Agnese, la basilica di Santa Costanza e la più recente basilica di Santa Agnese.
    La basilica costantiniana di Sant’Agnese, fatta costruire proprio da Costanza, costituisce una delle più importanti basiliche cimiteriali. Essa fu realizzata proprio sulle catacombe cristiane, che avevano sostituito nel tempo quelle pagane, per onorare la giovane romana figlia di un liberto, martirizzata a tredici anni probabilmente nel corso dell’ultima persecuzione operata da Diocleziano tra il 303 e il 313, e che proprio qui era stata sepolta, dopo essere stata prima posta sul rogo e poi decapitata in quella che oggi si chiama Piazza Navona, dove infatti sorge la chiesa di Sant’Agnese in Agone.
    Dell’originale basilica, probabilmente costruita intorno alla metà del IV secolo dopo Cristo, poi restaurata da papa Simmaco (498-514) all’inizio del VI secolo contemporaneamente a un restauro che interessò anche il sepolcro vero e proprio della beata Agnese, oggi resta solo un grandioso muro perimetrale ellittico.

    Basilica di Santa Agnese

    L’attuale basilica di Santa Agnese fu invece costruita da papa Onorio I (625-38) proprio sulla tomba della santa. Essa si presenta a tre navate, pur avendo subito ripetuti restauri fra i quali quelli di Adriano I, di Paolo V (1614) e di Pio IX. Dell’epoca di Onorio è il bel mosaico nel catino dell’abside, mentre del periodo del pontificato di Paolo V è il ciborio sull’altare maggiore dove si trova la fine statua della martire, ricavata dallo scultore francese Nicolas Cordier (1610), sovrapponendo testa, veste e mani in bronzo dorato ad un antico torso di alabastro. La chiesa presenta un matroneo che fu forse la soluzione data all’esigenza di raccordarsi con il piano di campagna, che risultava sopraelevato rispetto alla costruzione fondata al livello della tomba venerata. Il livello reale della basilica, infatti, si raggiunge scendendo lungo una scalinata marmorea costruita nel 1590 e ornata di frammenti scultorei e di iscrizioni sepolcrali. La basilica volge l’abside alla via Nomentana, dove si affaccia anche un bel campanile del Quattrocento, con due ordini di bifore. Gli edifici annessi presentano fra l’altro una torre con lo stemma di Giulio II e la sala il cui pavimento cedette durante una visita di Pio IX, il 12 aprile 1885, lasciando il papa incolume. La giornata del 12 aprile fu giornata solenne fino al 1870, poiché in questa data, coincidevano la ricorrenza della prodigiosa incolumità conservata dal papa, con quella del ritorno di Pio IX da Gaeta il 12 aprile 1850, dopo gli eventi della Repubblica Romana. La giornata divenne così occasione di duplice festa, celebrata con pubbliche manifestazioni fino al 1870, quando furono realizzati archi di trionfo effimeri e con luminarie, che provocarono le reazioni dei liberali.

    Basilica di Santa Costanza

    Completa il complesso attuale, il mausoleo di Santa Costanza, costruito tra il 340 e il 345 dopo Cristo, fu a lungo utilizzato come battistero di pertinenza della basilica costantiniana, e che solo dal 1254, ebbe funzione di chiesa. A causa della sua particolare struttura architettonica di edificio a pianta centrale e delle decorazioni musive dell’interno, con scene di vendemmia, venne a lungo interpretato come Tempio di Bacco e così riportato in numerose illustrazioni.
    Splendida testimonianza di edificio paleocristiano a pianta circolare, preceduto da nartece, ha l’interno ripartito da dodici coppie di colonne, che definiscono un ambulacro a volta rivestito di bellissimi mosaici del quarto secolo e una zona centrale, dove oggi trova posto l’altare, sul quale piove abbondante luce dai finestroni posti sotto la cupola. Nel mausoleo si trova la riproduzione del sarcofago di porfido di Costanza, ospitato dai Musei Vaticani.

    Roma, 3 giugno 2017.

  4. Memorie di Adriano. Quando Castel Sant’Angelo era il Mausoleo dell’Imperatore

    Publio Elio Traiano Adriano, nato nel 76 e morto nel 138 dopo Cristo, muore a Baia, nei Campi Flegrei, di edema polmonare.

    Adriano

    In ventuno anni di regno, Adriano era riuscito: a mantenere le conquiste del suo predecessore Traiano, a governare con tolleranza, a coltivare le arti e la filosofia, a continuare l’opera di abbellimento dell’Urbe e di molti altri centri dell’impero quali Antiochia, Alessandria, Segovia, Timgad in Algeria e, in Italia, Benevento.
    Formatosi alla scuola ellenistica, Adriano si era comunque rivelato alto interprete della concezione architettonica imperiale romana. Emulo di Augusto, l’attività edilizia, durante il suo governo interessa di nuovo la zona del Campo Marzio, già ricca di monumenti del periodo augusteo. Per questo motivo qui sorgono altri portici, i templi dedicati a Marciana e a Matidia e si ricostruisce il Pantheon, che è corredato della grande cupola emisferica, che caratterizza la struttura attuale.
    Tra le grandiose realizzazioni adrianee è impossibile non ricordare la villa residenziale presso Tivoli, ove l’imperatore, fervido ammiratore della civiltà greca e lui stesso dilettante di architettura, volle fossero riprodotti i più celebri edifici da lui visitati in Grecia e in Asia Minore.
    A Roma, Adriano, sempre sull’esempio di Augusto, si fa erigere sulle sponde del Tevere un monumentale Mausoleo destinato a divenire il sepolcro dinastico degli Antonini. L’opera eseguita, forse, dall’architetto Demetriano e lo storico Cassio Dione, descrivendolo nella sua Storia Romana, parla, tra l’altro, di «un enorme monumento equestre che lo rappresentava in una quadriga. Era così grande che un uomo di alta statura avrebbe potuto camminare in un occhio dei cavalli, ma, a causa dell’altezza esagerata del basamento, i passanti avevano l’impressione che i cavalli ed Adriano fossero molto piccoli».

    Mole adriana – ricostruzione

    La zona scelta da Adriano per edificare il mausoleo furono gli Horti di Domizia, che si trovavano proprio di fronte al Campo Marzio, nell’ager Vaticanus, oggi rione Borgo. Per mettere in comunicazione il sepolcro con il Campo Marzio fu costruito quindi un nuovo ponte, che dal nome dell’imperatore fu detto Elio. Il ponte, corrispondente all’attuale Ponte Sant’Angelo, fu inaugurato nel 134 dopo Cristo come indicato dalle iscrizioni ripetute ai due ingressi, copiate nell’VIII secolo dall’«Anonimo di Einsiedeln». L’anonimo è un viaggiatore – pellegrino che visitò Roma in epoca carolingia e che compilò una sorta di guida con piante e disegni e descrizione dei principali monumenti della città, a uso di tutti quelli che fossero venuti poi a Roma.
    Il ponte Elio non era un vero e proprio ponte perché, di fatto, connetteva solo la città con il Mausoleo e affiancò quello neroniano, posto più a valle: esso comprendeva tre grandi archi centrali, ancora oggi superstiti, e due rampe inclinate, sostenute da tre archetti, la rampa della riva sinistra, e da due, quella della riva destra. Queste strutture furono portate alla luce nel 1892 durante i lavori di sistemazione delle rive e furono in seguito inglobate nei muraglioni del Tevere.
    Il mausoleo sorse subito là del ponte, sulla riva destra. La sua struttura, inserita nel Medioevo dentro Castel Sant’Angelo, si è in gran parte conservata. I lavori furono iniziati in una data che ci è ignota, forse intorno al 130 dopo Cristo, e completati solo nel 139, dopo la morte di Adriano a Baia. Il corpo dell’imperatore fu sepolto in un primo tempo a Pozzuoli.

    Primo itinerario Einsiedeln dalla Mole adrianea alla Porta San Paolo

    Difficile sapere oggi l’aspetto effettivo della Mole adrianea, ma molto probabilmente il suo aspetto fu ispirato dal Mausoleo di Augusto che nel frattempo era stato terminato.
    Si sa che il mausoleo era costituito da un basamento quadrato in opus latericium, corrispondente all’attuale muro di cinta, sul quale poggiava una costruzione cilindrica in opus caementicium rivestito di marmo, e su cui erano fissate tabelle pure marmoree con gli epitaffi dei personaggi sepolti all’interno del monumento.
    Lo storico bizantino Procopio ricorda che sui quattro angoli del basamento poggiavano gruppi bronzei, rappresentanti uomini e cavalli. All’esterno era una recinzione, una cancellata sostenuta da pilastri, della quale si sono trovate le fondazioni in peperino. Su alcuni di questi pilastri posavano forse i pavoni in bronzo dorato, ora nel Cortile della Pigna in Vaticano.
    L’ingresso originario, a tre fornici, non è conservato. L’ingresso moderno è più alto di 3 metri rispetto a quello antico. Da qui si può ammirare il tamburo del sepolcro, che costituisce la parte inferiore di Castel Sant’Angelo: esso è in opera cementizia, rivestita di blocchi di peperino, tufo e travertino. Il parametro esterno era marmoreo.
    Attraverso un breve corridoio si accedeva al vestibolo quadrato, con una nicchia semicircolare nel muro di fondo; qui probabilmente era collocata la grande statua di Adriano, la cui testa, proveniente da Castel Sant’Angelo, è ora conservata nella Rotonda dei Musei Vaticani. È ignota invece la posizione del grande ritratto di Antonino Pio, la cui testa si conserva nel Castello.

    Castel Sant’Angelo – Giovan Battista Piranesi

    L’atrio era rivestito di lastre di marmo giallo antico e sulla destra di esso ha inizio la galleria elicoidale che porta alla camera funeraria. Questo corridoio, in opera laterizia, era anch’esso rivestito di marmo fino a 3 m da terra, dove è una cornice. La volta è murata a secco; il pavimento, di cui sono conservati alcuni tratti, è in mosaico bianco. Quattro pozzi verticali servivano a illuminare la galleria. Questa descriveva un giro completo, raggiungendo un livello di 10 m superiore a quello del vestibolo. Qui s’innestava in un corridoio, che conduceva alla stanza sepolcrale, posta al centro del monumento. La stanza era quadrata, con tre nicchie rettangolari ad arco su tre lati, era interamente rivestita di marmo. L’illuminazione proveniva da due finestre che si aprivano obliquamente nella volta. Qui erano deposte le urne cinerarie di Adriano, di sua moglie Vibia Sabina, del figlio adottivo Elio Cesare e di tutti gli imperatori Antonini e dei Severi fino a Caracalla. Al di sopra della camera funeraria si trovavano due stanze sovrapposte, e forse anche una terza, entro l’elemento quadrangolare emergente al centro. Un tumulo di terra colmava lo spazio compreso tra di esso e il tamburo esterno, ed era coltivato a fitta alberatura. Questo podio sosteneva una quadriga bronzea con la statua di Adriano.
    Il mausoleo fu incluso in un bastione delle Mura Aureliane, realizzato probabilmente da Onorio nel 403 d.C. Esso dovette sostenere, nel 537, l’assedio dei Goti di Vitige: allora, come narra Procopio ne La guerra gotica, i difensori utilizzarono come proiettili anche le numerose statue che ornavano il monumento. La trasformazione in castello avvenne probabilmente nel X secolo.

    Castel Sant’Angelo da Sud – Van Wittel

    In seguito alla leggenda di origini medievali secondo cui l’Arcangelo Michele apparve a papa Gregorio Magno sulla sommità della Mole annunciando la fine della peste, nel 590 dopo Cristo, il Mausoleo di Adriano vide cambiare il suo nome in castellum Sancti Angeli e passò gradualmente sotto il controllo del Papato.
    A partire dalla metà del Quattrocento, all’interno del Castello, furono realizzati gli appartamenti papali che arricchirono i piani nobili con ambienti dotati di raffinate decorazioni a grottesche; il castello divenne anche sede dell’Erario e dell’Archivio Segreto. In occasione del Sacco di Roma del 1527 le sue stanze ospitarono la corte pontificia di papa Clemente VII Medici, in fuga dai palazzi vaticani attraverso il Passetto di Borgo, corridoio che collega il bastione San Marco del castello con il Palazzo Apostolico.

    Roma, 14 maggio 2017