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  1. Santa Croce in Gerusalemme: gli scavi, la basilica, il museo

  2. Il fascino irresistibile dell’antico: Museo Nazionale al Palazzo Massimo alle Terme

    A Roma, nei pressi della stazione Termini, il Museo Nazionale di Palazzo Massimo accoglie una delle collezioni più importanti di arte classica del mondo.

    Magna Mater / Cibele – Museo Nazionale Romano al Palazzo Massimo

    L’edificio vanta una storia di grande prestigio. In stile neo-cinquecentesco, fu realizzato tra il 1883 e il 1887 su progetto di Camillo Pistrucci, in un’area precedentemente occupata dalla Villa Peretti, costruita da Sisto V e dimora della famiglia Massimo. Successivamente l’edificio divenne sede del prestigiosissimo collegio dei Gesuiti che vi rimase fino al 1960.
    L’area di pertinenza della Villa è stata gradualmente erosa per la realizzazione degli edifici e dell’assetto urbano circostante, in particolare per la costruzione della stazione Termini.
    Dopo alterne vicende Palazzo Massimo fu acquistato dallo Stato nel 1981 e restaurato su progetto dell’architetto Costantino Dardi. Tutto ciò fu possibile grazie al finanziamento di una legge speciale per la tutela del patrimonio archeologico romano.
    La sede museale venne inaugurata nel 1995 e completata nel 1998 con l’apertura del primo e secondo piano oltre a quello interrato.
    Il Massimo è la principale delle quattro sedi del Museo nazionale romano, insieme con la sede originaria delle Terme di Diocleziano, che attualmente ospita la sezione epigrafica e protostorica; con Palazzo Altemps, sede delle collezioni rinascimentali di scultura antica e con la Crypta Balbi, ricca di collezioni altomedievali.
    Tra i capolavori assoluti di arte romana di Palazzo Massimo ad accogliere i visitatori già al pianterreno, si erge una statua colossale di divinità femminile seduta, proveniente dalle pendici dell’Aventino. È composta da numerose tipologie di marmi colorati antichi, secondo una tecnica molto apprezzata dagli scultori romani. La statua, di età augustea, è stata restaurata come Minerva. Secondo recenti studi sembra però che la statua raffigurasse la Magna Mater – Cibele, un’antica divinità anatolica, il cui centro principale di culto era Pessinunte, in Frigia.
    Tantissime sono le opere raccolte. Quelle esposte al piano terreno e al primo piano documentano l’evoluzione della scultura romana che abbandona lentamente i modelli e gli stilemi dell’arte italica, fortemente legata in particolare all’arte etrusca, per andare incontro ad una ellenizzazione. Attraversare le sale del museo vuol dire anche partecipare a un’alternanza di emozioni legate alla visione di opere incredibili quale il Pugile in riposo, il Discobolo Lancellotti, l’Ermafrodito dormiente, la fanciulla di Anzio, la Niobide morente e il Dioniso bronzeo.

    Il Pugile a Riposo (particolare) – Museo Nazionale Romano al Palazzo Massimo

    Il Pugile in riposo è una statua in bronzo, greca, datata al IV secolo avanti Cristo, attribuita a Lisippo e rinvenuta alle pendici del Quirinale. L’atleta è colto subito dopo il combattimento. E’ stanco e ferito, come testimoniano gli inserti di rame che vogliono richiamare appunto le ferite e il sangue che ne è sgorgato, la possente figura e la struttura muscolare sono contenute e contrastano con la testa che di scatto è girata verso la sinistra, come se l’atleta fosse stato richiamato a sorpresa e stia iniziando un dialogo. L’insieme crea una palpabile tensione nella sala che induce ad interagire con il pugile, e spinge quasi a parlargli ancora in un orecchio.
    La Niobide Morente è un’altra statua di forte impatto emotivo. Anche in questo caso ci si trova di fronte ad un originale greco databile tra il 440 e il 430 avanti Cristo, rappresenta una donna colpita a morte da una freccia che le si è conficcata nella spalla. La donna è ritratta nel momento in cui consuma le sue ultime energie nel tentativo di estrarre la freccia medesima, cadendo per questo in ginocchio.
    La figura femminile è in genere interpretata come Niobide, ovvero come la figlia del re Niobe che si vantò di essere più prolifica di Latona, madre di Apollo e Artemide, avendo partorito sette figli. Per questo motivo Apollo e Artemide la punirono uccidendo lei e i suoi figli su ordine della madre.
    Il Discobolo è invece una copia del II secolo dopo Cristo di quello di Mirone, l’artista che lo realizzò nel V secolo avanti Cristo. L’originale greco da sempre rappresenta l’ideale dell’atleta e il modello da studiare per la riproduzione corretta di un corpo umano in movimento. Questa copia in marmo, di età antonina, è considerata la copia più fedele all’originale in bronzo.

    Augusto come Pontefice Massimo – Museo Nazionale Romano al Palazzo Massimo

    Tra i ritratti degli imperatori molto nota è la statua di Augusto come Pontefice Massimo, ovvero con la toga, com’era di moda negli ultimi decenni del I secolo avanti Cristo e che era ritenuta un po’ il costume tradizionale romano, e il capo coperto come era caratteristico dei sacerdoti durante i riti sacri. Si suppone che avesse nella mano destra la patera e nella sinistra il volumen. Il volto è un ritratto molto fedele di Augusto, comprese le rughe sulla fronte e ai lati del naso che indicano uno stato di età avanzata.
    Ma al Museo del Palazzo Massimo non c’è solo la statuaria, ma sono anche esposte testimonianze importanti della cultura romana quali i Fasti Antiates, due pannelli affrescati ritrovati nei pressi della Villa di Nerone ad Anzio, databili tra l’88 e il 55 avanti Cristo e contenenti il calendario romano di Numa Pompilio, in uso prima della riforma di Gaio Giulio Cesare, comprendente le festività romane e l’elenco delle magistrature principali, quali quella di consoli e censori del periodo compreso tra il 173 e il 67 avanti Cristo.
    In una sala successiva si può seguire l’evoluzione del calendario e l’applicazione della riforma di Giulio Cesare grazie al ritrovamento e all’esposizione dei Fasti Praenestini, così detti perché affissi a Praeneste, che illustrano un calendario di età augustea nel quale è ormai entrata in vigore la riforma di Cesare con l’anno di 365 giorni.
    Il museo raccoglie anche importantissimi sarcofagi di cui, probabilmente il più noto è il sarcofago di Portonaccio.
    Il meraviglioso sarcofago risalente al 180 dopo Cristo è stato ritrovato nel 1931 in via delle Cave di Pietralata. La scena rappresentata sul fronte è una serrata battaglia che si articola su più piani e la cui visione comunica tutta la concitazione del momento: ovvero la lotta e la sconfitta dei barbari.
    Il coperchio riassume varie fasi della vita del defunto, la nascita, l’educazione, il matrimonio riassunto dalla scena della dextrarum iunctio, la morte. Le scene hanno anche il ruolo di celebrare le virtù del defunto: la sapienza, sottolineata dalla presenza delle Muse, la concordia e la clemenza riservata ai barbari sconfitti.
    Come è nella tradizione della produzione del sarcofago la testa ritratto del defunto veniva terminata alla morte dell’acquirente, che comprava il sarcofago da vivo. In questo caso la testa ritratto non è terminata, non è possibile quindi definire con certezza il proprietario del sarcofago.

    Sarcofago di Portonaccio 8particolare) – Museo Nazionale Romano al Palazzo Massimo

    L’attribuzione quindi viene attualmente dedotta dalle insegne militari che sono rappresentate sempre sul bordo superiore della cassa. L’aquila della Legio IIII Flavia e il cinghiale della Legio I Italica fanno pensare che il defunto sia Aulus Iulius Pompilius, ufficiale di Marco Aurelio al comando di due squadroni di cavalleria nella guerra contro i Marcomanni, tra il 172 e il 175 dopo Cristo.
    La decorazione del sarcofago è decisamente ispirata a diverse scene della colonna Antonia e il fregio principale frontale è completato dalla riproduzione dei momenti successivi della battaglia, riprodotti sui fianchi del sarcofago.
    Tra i reperti unici e più interessanti esposti nelle sale del Palazzo Massimo ci sono gli arredi delle così dette navi di Caligola, ritrovate nel lago di Nemi e riportate in superficie tra il 1928 e il 1932. Della struttura delle navi, da considerarsi più come delle piattaforme galleggianti, oggi restano appunto le decorazioni, in parte conservate nel museo presso il lago di Nemi, poiché nel 1944 un incendio probabilmente causato dai Tedeschi, le distrusse completamente.
    Molte ipotesi si sono fatte sulla funzione delle due navi, oggi la più accreditata è che esse fossero destinate alla celebrazione di feste religiose, visto che il lago di Nemi aveva una sacralità elevatissima legata alla presenza del tempio di Diana Aricina, centro politico e religioso molto importante per le popolazioni italiche che lo frequentarono assiduamente fino all’avvento del cristianesimo.

    Testa di Medusa dalle Navi di Nemi – Museo Nazionale Romano al Palazzo Massimo

    Tra i reperti appartenuti alle navi di Caligola si possono ammirare i rostri di forma leonina o di lupo, delle teste di medusa in bronzo che competono in fascino con quella del Bernini conservata ai Museo Capitolini, le erme bifronte in bronzo e la balaustra decorata con eleganti testine dal profilo decisamente greco.
    Il museo conserva gli affreschi della villa di Livia a Prima Porta e della Villa Farnesina di cui abbiamo estesamente parlato in una precedente occasione, ma le decorazioni parietali e pavimentali sono completate da una collezione di mosaici di cui le più note sono forse le due tarsie marmoree provenienti dalla “Basilica di Giunio Basso”, un’aula di rappresentanza dell’edificio fatto erigere dal console Giunio Basso nel 331 dopo Cristo, sul colle Esquilino, che durante il pontificato di papa Simplicio, verso la seconda metà del V secolo dopo Cristo, venne trasformata nella Chiesa di Sant’Andrea Catabarbara.
    Le due meravigliose opere in opus sectile, la cui evoluzione “moderna” troverà la più alta espressione nelle opere prodotte dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze voluto da Ferdinando I de’ Medici nel 1588, rappresentano due scene di argomento diverso:

    Pompa circensis dalla Basilica Giunio Basso – Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo

    una è un episodio della saga degli Argonauti, ovvero il rapimento del giovane Hylas da parte delle ninfe, nella seconda si può ammirare una pompa circensis, ovvero la processione che precedeva l’inizio dei giochi nel circo. La tarsia della Basilica di Giunio Basso mostra, al centro del circo, il patrono dei giochi, forse da identificarsi con Giunio Basso stesso, mentre alle sue spalle le quattro fazioni sono presentate: la rossa o russata, l’azzurra o veneta, la verde o prasina e la bianca o albata.
    Altre due tarsie provenienti dal medesimo edificio sono conservate ai Musei Capitolini.

  3. Santa Croce in Gerusalemme

    La basilica di Santa Croce in Gerusalemme è il luogo che dal momento della sua fondazione ha conservato tra le più importanti reliquie della cristianità. Fu eletta a ruolo di basilica da papa Gregorio I nel 523 e fu inserita da Filippo Neri nell’itinerario del così detto Pellegrinaggio delle Sette Chiese.

    Santa Croce in Gerusalemme – Piranesi

    Sebbene la chiesa fosse posta ai margini della città di Roma, essa fu oggetto di un costante pellegrinaggio sin dalla sua costituzione, poiché custodiva le reliquie della Passione di Cristo ritrovate in situazioni miracolose sul monte Calvario da Elena.
    Le reliquie oggi sono conservate nella Cappella delle Reliquie, a cui si accede salendo dalla navata sinistra. La reliquia più famosa è costituita dai frammenti della Croce di Cristo. Insieme a questi frammenti sono conservati nella cappella: il Titulus Crucis, ovvero l’iscrizione che, secondo i Vangeli, era posta sulla croce; un chiodo della croce di Cristo, due spine appartenenti, secondo la tradizione, alla corona posta sul capo di Gesù, il dito di San Tommaso, l’apostolo che dubitò della resurrezione di Cristo e una parte della croce del Buon Ladrone.
    Il nucleo più antico della basilica risale al IV secolo dopo Cristo, quando Elena, madre di Costantino decise di trasformare la grande aula rettangolare coperta da un soffitto diritto, illuminata da venti finestre, disposte cinque su ogni lato, e facente parte del suo palazzo, detto Sessoriano, in basilica cristiana.
    Il palazzo Sessoriano, dalla parola latina sedeo ovvero siedo, poiché in età tardo imperiale il consiglio imperiale si riuniva in una sala del palazzo, sorgeva a sua volta sull’area di una villa imperiale la cui costruzione era stata iniziata da Settimio Severo e terminata da Eliogabalo nel III secolo dopo Cristo. Di questa enorme villa detta Horti Variani ad Spem Veterem facevano parte l’Anfiteatro Castrense, il Circo Variano, le Terme Eliane, dal nome di Elena e un nucleo residenziale, di cui faceva parte proprio l’aula scelta da Elena per dare origine alla basilica.

    Basilica di Santa Croce in Gerusalemme

    La villa perse alcune sue parti quando furono costruite le Mura Aureliane nel 272. Elena istituisce qui la sua residenza all’inizio del IV secolo.
    Proprio per la sua continua frequentazione la basilica fu restaurata una prima volta nell’VIII secolo per volere di Gregorio II e Adriano I, ma la trasformazione più importante si ha nel XII secolo quando la struttura della chiesa viene trasformata seguendo lo stile romanico, e la grande aula divisa in tre navate. Impostazione che è quella che ancora oggi può essere osservata.
    Inoltre in questo momento vengono aggiunti un campanile a torre, ancora esistente ed un portico oggi scomparso.
    Durante il regno di papa Benedetto XIV la chiesa subisce una nuova trasformazione, e oggi la chiesa romanica lascia il posto ad una architettura di gusto decisamente tardo barocco.
    Nel X secolo alla basilica viene associato un monastero nel quale si sono alternate diverse comunità religiose. Ad esempio nel 1049 Leone IX assegnò il monastero ai Benedettini di Montecassino. Nel 1372, sotto il regno di Urbano V arrivarono i Certosini che vi rimasero fino al 1561 quando arrivarono i Cistercensi di Lombardia, che rimasero a gestire la chiesa fino al 2009.
    Proprio per la presenza di un monastero per così tanti secoli e per la posizione marginale della basilica rispetto alla città, che veniva così a trovarsi in aperta campagna, vediamo oggi sopravvivere un orto piuttosto esteso che si apre alla destra della basilica chiuso da una splendida porta di vetro e ferro opera di Jannis Koonellis, inaugurata solo nel 2007.
    Grazie al lungo periodo di storia che la basilica di Santa Croce in Gerusalemme copre, essa si presenta ricca di opere d’arte, a cominciare dal pavimento cosmatesco in perfetto stato di conservazione e quale insieme di realtà composite, vista la compresenza di una grande sala absidata impropriamente definita Tempio di Venere e Cupido, di due domus di età costantiniana e dell’Anfiteatro Castrense, tra gli altri.
    Tra l’Anfitetaro Castrense e le Mura Aureliane, papa Sisto IV nel 1476 fece costruire l’oratorio di Santa Maria del Buon Aiuto come segno di ringraziamento. Era accaduto infatti che il papa era stato colto in aperta campagna da un violento nubifragio e chiedendo aiuto alla Vergine trovò riparo proprio nei pressi delle Mura. In quel luogo fece costruire un piccolo oratorio in cui è conservato un affresco con il tema della Madonna con Bambino, attribuito a Antoniazzo Romano.

    Mosaico della Cappella di Sant’Elena

    Nei sotterranei si trova la Cappella di Sant’Elena, ornata con una decorazione a mosaico risalente al regno di Valentiniano III. Sotto il pavimento di questa cappella è conservata la terra del Calvario, anch’essa riportata da Elena dai luoghi santi. In questa cappella le donne possono accedere solo il 20 marzo, giorno della dedicazione della cappella, pena la scomunica.
    Nella cripta è collocata la statua romana di Giunone trovata a Ostia Antica e trasformata nella statua di Sant’Elena, per mezzo della sostituzione della testa, delle braccia e l’aggiunta di una croce.

    Roma, 18 luglio 2017

  4. Racconto

    I misteri dell’Ara Pacis

    Paolo Biondi

    Pubblichiamo con piacere il Prologo del libro pubblicato per le Edizioni di Pagina, da Paolo Biondi dal titolo “I Misteri dell’Ara Pacis”, ringraziando Paolo Biondi per la sua gentilezza.

    Galleria di personaggi e di fantasmi
    C’era un generale spagnolo presuntuoso. Voleva distogliere Augusto dal suo destino. E il destino aveva assegnato un compito al principe di ritorno da Gallia e Spagna: far costruire un altare e dedicarlo alla dea Pace, dando così il via a una serie incredibilmente lunga di fatti e di vicende, di curiosità e di misteri legati a quell’Ara. Malgrado la sua ostinazione e il potere dei suoi soldi quel generale non riuscì a fermare la storia. Lui non sapeva che una dea, una dea potente, aspettava che qualcuno rendesse luogo sacro più di ogni altro la terra dove lei aveva fatto zampillare una fonte, fonte di acqua che sgorga per proteggere e custodire la vita di ogni partoriente, nella parte settentrionale del campo Marzio. E non poteva sapere che un matematico egiziano aveva già calcolato, con scientifica certezza, ogni minima variazione dell’ombra del sole per costruire un nuovo orologio. E che l’ombra di un obelisco egizio dedicato al dio Sole, meridiana di quell’orologio, sarebbe caduta a fecondare la terra alle porte di quell’Ara ogni anno al tramonto del 23 settembre, giorno di nascita del principe Augusto, portatore di prosperità e di pace nel mondo.
    continua…