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  1. I gioielli della Regina Viarum: il Sepolcro degli Scipioni

    Lungo via di Porta San Sebastiano, ultimo tratto del percorso urbano dell’Appia Antica, dopo il muro che cinge il parco degli Orti di Galatea, si erge il Sepolcro degli

    Il Sepolcro degli Scipioni – Giovan Battista Piranesi

    Scipioni, un insieme di gallerie dove continuarono a essere deposti per lungo tempo i membri della famiglia degli Scipioni uno dei rami più importanti della nobile gens Cornelia, i cui membri, a partire dagli inizi del V secolo avanti Cristo, avevano ricoperto importanti incarichi pubblici.
    Il sepolcro degli Scipioni è un monumento fondamentale per la conoscenza della Roma repubblicana. Identificato per la prima volta nel 1614 con il ritrovamento di due sarcofagi: quello di Lucio Cornelio Scipione, questore del 167 avanti Cristo rimasto intatto e quello di Lucio Cornelio Scipione, figlio di Scipione Barbato e console del 259 avanti Cristo, che fu privato dell’iscrizione originale successivamente venduta a un tagliapietre, e in seguito acquistata dai Barberini, che la collocarono nella loro biblioteca. Di qui l’iscrizione pervenne poi ai Musei Vaticani.
    Il Sepolcro verrà quindi “riscoperto” 1780, quando, nel mese di maggio, i fratelli Sassi, proprietari del terreno su cui insisteva una vigna, trovarono le sepolture durante lo scavo di una cantina. In quest’occasione l’area fu esplorata con metodi distruttivi. I sarcofagi furono spezzati e le iscrizioni portate in Vaticano, molti oggetti dispersi e le copie degli epitaffi collocate nei punti sbagliati. L’intervento di Angelo Quirini, senatore di Venezia, consentì di organizzare degli scavi più rigorosi tanto che nel giro di un pio di anni tutte le gallerie furono scavate e portati alla luce i diversi sarcofagi, a partire da quello, con iscrizione originale, di Publio Cornelio Scipione augure nel 180 avanti Cristo. Dagli scavi emersero anche una testa di tufo dell’Aniene , forse raffigurante il poeta Ennio, e un ritratto in marmo di età imperiale.

    Pianta del Sepolcro degli Scipioni

    Nel 1880 l’area fu acquistata dallo Stato e tra il 1926 e il 1929 viene avviata una nuova campagna di scavo, di restauro e di sistemazione dell’area. L’ultimo restauro dell’area che ha interessato anche la casa medievale che insiste sul sepolcro, oltre che il colombario di Pomponio Hylas, risale al 2008 e ha consentito la messa in sicurezza della struttura e la sua apertura al pubblico nell’ambito del Parco degli Scipioni, nonché la corretta ricostruzione di alcune iscrizioni e il riposizionamento di alcune sepolture.
    Dell’area archeologica fa parte anche una calcara di epoca medievale, ovvero un impianto destinato alla produzione di calce a partire dal marmo.
    La costruzione del Sepolcro degli Scipioni risale ai primi decenni del III secolo avanti Cristo e il progetto fu realizzato da Lucio Cornelio Scipione Barbato, capostipite della famiglia, console nel 298 avanti Cristo, il cui sarcofago di fatto si trovava di fronte all’ingresso principale del monumento. Oggi il sarcofago originale è sostituito da una copia, conservata in Vaticano, ma ugualmente è possibile apprezzarne l’eleganza.
    Nella memoria rimangono scolpiti i nomi Publio Cornelio Scipione Africano, noto come Scipione l’Africano, che sconfisse i Cartaginesi nella battaglia di Zama nel 202 avanti Cristo, e di Publio Scipione Emiliano, detto l’Emiliano o Africano Minore, che distrusse Cartagine a seguito di un lungo assedio nel 146 avanti Cristo. Entrambi i condottieri non furono però deposti nel sepolcro sull’Appia Antica: secondo quanto riportato dal poeta Livio e da Seneca entrambi furono inumati a Liternum in

    Busto presunto di Scipione l’Africano dalla Villa dei Papiri di Ercolano – Museo Nazionale di Napoli

    Campania, mentre Scipione l’Ispanico sarebbe seppellito in Spagna. L’Africano morì proprio nella villa di Liternum nel 183 avanti Cristo, mentre l’Emiliano si spense a Roma nel 129 avanti Cristo e fu portato nella villa in Campania. Nel sepolcro comunque non trovano dimora le sepolture di tutti gli Scipioni ma sembra solo quelli dei rami detti Africani, Asiatici e Ispanici a eccezione quindi proprio dei relativi capostipiti.
    Gli Scipioni praticarono la tumulazione fino all’avvento della carica di console di Silla, anche lui appartenente alla gens Cornelia, che fu il primo a scegliere come sua sepoltura l’incinerazione, dopo la morte avvenuta nel 78 avanti Cristo. Questo fa si che nel sepolcro oltre che a sarcofagi ci s’imbatte anche in olle cinerarie come quella di Cornelia Getulica.
    La decisione di collocare il grande sepolcro rupestre a poca distanza dalla via Appia, alla base di una collinetta, non è da considerarsi casuale ma frutto di una precisa volontà politica.
    La via Appia fu inaugurata nel 312 avanti Cristo. La sistemazione di questa strada, che seguiva uno dei percorsi viari più antichi che si dipanavano dalla città di Roma, fu voluta da Appio Claudio Cieco per agevolare l’espansionismo romano verso il Sud, espansionismo che avrebbe indotto una fusione dello Stato Romano con la Magna Grecia, e prodotto così una maggiore ellenizzazione della cultura, della politica e della società romana. Appio Claudio Cieco, infatti, non fu solo un accanito sostenitore della politica imperialistica di Roma ma anche del processo di ellenizzazione, a cui pure la famiglia degli Scipioni era interessata, insieme ad altre importanti famiglie della Roma medio – repubblicana.
    La scelta degli Scipioni dell’Appia, come via lungo la quale costruire il proprio sepolcro, indusse anche altre importanti famiglie a fare altrettanto come la gens Caecilia, di cui faceva parte il ramo dei Caecili Metelli, e la gens Servilia.

    Testa di Ennio – Sepolcro degli Scipioni. Oggi ai Musei Vaticani.

    Il sepolcreto ha restituito, tra gli altri reperti, un gruppo di epigrafi che sono molto importanti per ricavare informazioni sul latino tardo – arcaico, sulla sua evoluzione e poter studiare le forme epigrafiche istituzionali. Tra queste epigrafi la notissima iscrizione di Scipione Barbato: “Cornelius Lucius Scipio Barbatus, Gnaivod patre prognatus, fortis vir sapiensque quoius forma virtutei parisuma fuit consol censor aidilis quei fuit apud vos Taurasia Cisauna Samnio cepit subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit”, ovvero: “Lucio Cornelio Scipione Barbato, generato dal padre Gneo, uomo forte e sapiente, il cui aspetto fu in tutto pari al valore, fu console, censore, edile presso di voi. Prese Taurasia, Cisauna e Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò via ostaggi”.
    Questa forma latina è in pratica il latino di Ennio, il poeta degli Annales vissuto tra il 239 e il 169 avanti Cristo, il primo a compilare una storia epica di Roma e a “latinizzare” l’esametro greco. Con Ennio si realizza quindi la fusione tra la cultura greca e quella latina e non è a caso il poeta che viene protetto dagli Scipioni e che trova la sua sepoltura proprio all’interno di questo sepolcreto. Egli assurge a figura così importante e di riferimento per la famiglia che una sua statua era collocata nella spettacolare facciata del sepolcro insieme a quelle di Scipione l’Africano e di Scipione l’Asiatico, all’interno di nicchie.
    Chi avesse visto da lontano la facciata del sepolcreto degli Scipioni avrebbe avuto quindi la sensazione di trovarsi davanti ad un’imponente scena teatrale.

    Sepolcro degli Scipioni – Ricostruzione ipotetica della facciata.

    Le iscrizioni di almeno sette sarcofaghi del Sepolcro permettono di datare l’uso dell’ipogeo fino al 150 avanti Cristo, quando la struttura era completa e affiancata da un’altra stanza, di forma quadrangolare, dove furono deposti pochi altri membri della famiglia. Risale a quell’epoca la creazione di una facciata rupestre, la cui decorazione è attribuita a Scipione l’Emiliano. All’epoca, il sepolcro si trasformò in un vero e proprio museo di famiglia, che perpetuava le imprese dei suoi componenti. Vi fu sepolta anche una delle figure femminili di maggior rilievo nella storia di Roma: Cornelia, figlia dell’Africano e madre dei famosi tribuni della plebe Tiberio e Gaio Gracco.
    L’ultimo utilizzo conosciuto si ebbe in epoca claudio – neroiana, quando vi furono inumati la figlia e il nipote di Cornelio Lentulo Getulico, scelta determinata da motivi ideologici legati alla discendenza degli Scipioni.
    Il monumento è diviso in due corpi distinti: il principale, scavato in un banco di tufo a pianta grosso modo quadrata, e una galleria comunicante di epoca posteriore, costruita in mattoni, con ingresso indipendente.

    Sepolcro degli Scipioni. Ricostruzione di Luigi Canina.

    La regolarità dell’impianto fa ritenere che lo scavo sia avvenuto appositamente per la tomba, non sembra plausibile il riciclo di un’antica cava di tufo. Il corpo centrale è diviso da quattro grandi pilastri risparmiati nell’opera di escavazione per assicurare la solidità all’ipogeo; sono presenti quattro gallerie lungo i lati e due centrali che si incrociano perpendicolarmente, dando all’insieme un aspetto vagamente “a griglia”. Della facciata, rivolta verso nord-est, ci resta solo una piccola parte sulla destra, con scarsi resti di pitture, ma essa può essere pensata come una grande scena teatrale Era composta da un alto podio con severe cornici a cuscino, nel quale si aprivano tre archi in conci di tufo dell’Aniene: quello centrale conduceva all’ingresso dell’ipogeo, quello di destra alla nuova stanza, mentre quello di sinistra, era cieco ed aveva una funzione puramente ornamentale, a meno che non si fosse pensato alla realizzazione di un’ulteriore camera su questo lato in un momento successivo. Questo basamento doveva essere interamente ricoperto di affreschi, di cui rimangono solo piccole parti nelle quali sono stati individuati tre strati: i due più antichi, risalenti alla metà del II secolo avanti Cristo circa presentano scene storiche, nelle quali si riconoscono le figure di alcuni soldati, mentre l’ultimo, più recente, ha una semplice decorazione in rosso a onde stilizzate e viene datato al I secolo dopo Cristo.

    Roma, 7 gennaio 2018

  2. Insula di San Paolo alla Regola.

    Abbastanza ampio, il Rione Regola occupa una posizione molto regolare in riva alla sponda tiberina che gli ha dato il nome, che deriva infatti dai depositi di rena fluviale, o “arenula”, dopo una serie di alterazioni.

    San Paolo alla Regola – Giuseppe Vasi.

    I confini del rione, oltre che dal Tevere, fra Ponte Mazzini e il lungotevere Cenci, sono rappresentati da una linea che dalla chiesa di Santa Lucia al Gonfalone, per un tratto di via del Pellegrino e via dei Cappellari, costeggiando Campo de’ Fiori, procede lungo via dei Giubbonari fino alla via Arenula; da qui il confine si insinua fino a via del Progresso. Nonostante il bello sviluppo urbanistico ed edilizio che vi si verificò durante il RInascimento, anche come risposta all’impulso papale di attrarre la città verso il Vaticano, di cui furono splendidi esempi intere strade come di Monserrato, piazze come quella Farnese e palazzi come lo stesso Farnese o il Capodiferro Spada o quello del Monte di Pietà, sono ben presenti nel rione alcuni aspetti medievali, collegati all’antico percorso della primitiva “via papale” o “dei pellegrini” e alcune caratteristiche sociali collegate alle modestissime attività che vi venivano svolte nel passato, tra le quali, per esempio, quelle che svolgevano in riva al fiume i vaccinari, i quali diffondevano all’intorno il terribile odore di pelli scuoiate. L’apertura di via Arenula attraverso quella che fu la piazza di Sant’Elena e una serie di bonifiche talvolta realizzate incautamente, hanno risollevato il tono del rione.
    E proprio alla Regola si erge la Chiesa di San Paolo alla Regola popolarmente

    Casa detta di San Paolo in Via San Paolo alla Regola. Si ringrazia Roma Sparita.

    denominata “San Paolino”. È antichissima: la prima menzione ufficiale risale a una bolla di papa Urbano III del 1186 che la indica come parrocchia dipendente da San Lorenzo in Damaso, ma, secondo la tradizione, molto più antica perché fondata sullo stesso luogo dove vi era la casa di San Paolo durante il suo soggiorno romano. A conferma di quanto riporta la tradizione questa contrada, per buona parte del Medioevo, fu appunto denominata Pauli, come rammentato in una pergamena del 1245, mentre all’interno di questa chiesa si conserva ancora la stanza dell’apostolo trasformata in cappella. Dopo che per molto tempo fu officiata dai frati di Sant’Agostino, nel 1619 la chiesa fu affidata ai francescani del Terzo Ordine Regolare di San Francesco della Nazione Siciliana, i quali v’istituirono un Collegium Siculum, ospitato nell’edificio adiacente, tuttora esistente sulla sinistra della chiesa. Il Collegio, grazie alla diretta protezione del re Filippo IV di Spagna, era efficientemente dotato di una cospicua biblioteca, specializzata in libri di filosofia e teologia, e di un consistente archivio, entrambi andati distrutti nei tumulti avvenuti durante la Repubblica Romana del 1799, nonché di una preziosissima reliquia di san Paolo, consistente, nientemeno, che in una parte del suo braccio. Nel XVII secolo la chiesa fu ricostruita su disegno dell’architetto bolognese Giovanni Battista Bergonzoni, anche se venne completata soltanto nel 1728 con la bella facciata opera di Giuseppe Sardi, su disegno di Giacomo Coli: suddivisa in due ordini, presenta, nella parte inferiore, sei lesene che inquadrano il portale centrale e due portoncini laterali. Un ulteriore restauro fu effettuato nel 1930 da Antonio Muñoz. L’interno, a croce greca con cupola, custodisce un affresco del Trecento, un’immagine miracolosa detta Madonna delle Grazie, mentre sull’altare maggiore è murata una lapide datata 1096 della demolita chiesa di San Cesareo, situata nella vicina Piazza della Trinità dei Pellegrini.

    Biblioteca Centrale dei Ragazzi – Rione Regola.

    Tra il 1978 e il 1982 il Comune di Roma realizzò un progetto di restauro e riqualificazione urbana di un insieme di fabbricati di sua proprietà situati tra via del Conservatorio e la chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini. L’intervento mise sorprendentemente in luce poderose strutture di età romana conservate per quattro piani di altezza, due nel sottosuolo e due al di sopra, rimaneggiate e sopraelevate sin quasi alla situazione attuale già nel medioevo. Il complesso archeologico, che venne scoperto e restaurato per la prima volta in tale occasione, è attualmente visitabile al primo e al secondo livello sotto il piano odierno di calpestio del cinquecentesco Palazzo Specchi, occupato al primo piano dalla Biblioteca Centrale per Ragazzi e nei piani superiori da abitazioni private. Gli ambienti romani e medievali, databili tra la fine del I e il XIII secolo dopo Cristo, prospettano oggi sull’attuale via di San Paolo alla Regola, percorso che ricalca l’antico tracciato stradale che fin dall’età repubblicana collegava il Circo Flaminio con la pianura del Campo Marzio.
    L’urbanizzazione di questa porzione meridionale della piana si dovette all’intensa attività edilizia di Augusto; in particolare, fu Agrippa, genero dell’imperatore, a far costruire nella zona limitrofa agli edifici di San Paolo alla Regola il ponte oggi Ponte Sisto che, attraverso le odierne vie dei Pettinari e Arco del Monte, metteva in comunicazione il Trastevere con il vicino Teatro di Pompeo. Nell’area venne così delineandosi un reticolo di strade parallele e ortogonali al Tevere tutt’oggi

    Insula sotto Palazzo Specchi – Rione Regola.

    percepibili perché ricalcate, rispettivamente, dalle moderne via delle Zoccolette e via di San Paolo alla Regola e da via del Conservatorio e via dei Pettinari. All’epoca di Domiziano l’intera zona era occupata dagli Horrea Vespasiani, un vasto complesso di magazzini disposti a rastrelliera su strade e vicoli paralleli al fiume che si estendeva tra via dei Pettinari e via Arenula.
    In età severiana il quartiere fu oggetto di una radicale trasformazione: in particolare, negli edifici sotto Palazzo Specchi, accanto e al di sopra dei magazzini domizianei, furono edificati ambienti adibiti a uffici, ad abitazioni, corti e stanze di rappresentanza abbelliti da ricche decorazioni dipinte e musive, che raggiungevano non meno di quattro piani in altezza e che furono successivamente distrutti da un violento incendio sul finire del III secolo dopo Cristo. Con la ristrutturazione di età costantiniana fu interrato il piano inferiore dell’isolato e le cortine murarie vennero poderosamente consolidate. Dopo un lungo periodo d’utilizzo, tuttavia, gli ambienti furono abbandonati progressivamente e il livello del suolo, tra crolli e depositi alluvionali, raggiunse all’incirca la quota attuale.
    Nell’XI e nel XII secolo, a seguito di una nuova intensa attività edilizia, gli ambienti romani furono consolidati fino alle fondamenta e sopraelevati. In questo periodo, una casa a torre in laterizio con sopraelevazione a tufelli fu costruita a cavaliere dell’antico vicolo parallelo al fiume che separava tra loro i blocchi edilizi domizianei, mentre tra il XII e il XIII secolo tutta la zona fu occupata da costruzioni intensive con case di forma stretta ed allungata che saturarono gli spazi disponibili e costituirono la base per lo sviluppo del successivo palazzetto rinascimentale.
    Attraverso l’androne moderno di Palazzo Specchi si ha oggi accesso alle strutture antiche, articolate in una complessa successione di ambienti e sale che si distribuiscono su più livelli.

    Insula di San Paolo alla Regola.

    Al secondo piano del sottosuolo, a circa 8 metri di profondità dalla quota attuale della strada, si trovano i due grandi magazzini costruiti all’epoca di Domiziano in struttura laterizia e con ampie volte a botte di copertura, affacciati in antico su un vicolo cieco parallelo al Tevere.
    Il livello intermedio, detto “della colonna” per la presenza di una colonna in laterizio di epoca costantiniana, era in origine un cortile lastricato di pietre calcaree, posto a monte dei magazzini domizianei. In età severiana, in affaccio sul medesimo cortile, furono eretti altri due magazzini di dimensioni inferiori, oggi visitabili al primo piano del sottosuolo. Tutto l’ambiente “della colonna” fu radicalmente ristrutturato in età costantiniana a seguito di un grande incendio: fu allora interrato il piano terra dell’edificio e le murature domizianee e severiane furono rifoderate fino a triplicarne lo spessore.
    Al primo piano del sottosuolo si osserva lo sviluppo dei magazzini di età severiana che si articolavano attorno ad un altro ampio cortile, oggi tramezzato dai muraglioni sui quali s’impostano le volte cinquecentesche del soprastante palazzo, ma in origine dotato di rivestimento pittorico policromo a imitazione della più pregiata decorazione in marmi colorati, la cosiddetta “stanza della pittura”.
    I restanti due ambienti al primo livello sotto il suolo sono pavimentati a mosaico con tessere bianche e nere di età severiana e costituiscono il piano superiore degli originari magazzini affacciati sul vicolo. Qui, verosimilmente, dovevano trovare spazio attività polifunzionali legate all’amministrazione dei locali sottostanti.

    Roma, 10 dicembre 2017

  3. Aventino, il colle solitario e la basilica di Santa Sabina

    La sua perdurante relativa solitudine – nonostante gli insediamenti residenziali del secolo passato – ricorda il destino d’isolamento che contrassegnò questo colle dal più lontano passato. Fino all’epoca dell’imperatore Claudio esso fu mantenuto all’esterno del pomerio urbano e il luogo fu piuttosto considerato come

    Romolo traccia il solco – Bartolomeo Pinelli.

    particolarmente propizio al culto e alla religiosità, sicché vi furono costruiti molti edifici sacri. In particolare fu qui insediato un Tempio di Diana che, come quello di Giove sul Monte Cavo, ebbe un carattere federativo per le genti latine. Soprattutto all’epoca di Augusto, le pendici dell’Aventino accolsero le popolazioni popolari della gente di fatica del Porto Fluviale.
    L’Aventino ha un ruolo chiave nella storia fondativa delle città di Roma. E’ qui, infatti, che Remo si colloca per osservare il volo degli uccelli, mentre Romolo sceglierà il Palatino. Sarà quindi dall’Aventino che Remo vedrà per primo sei avvoltoi mentre Romolo ne vedrà dodici, solo dopo di lui sul Palatino. Sarà la furia cieca di Romolo a farne quindi il fondatore della città a discapito di Remo, il quale però una sua città alternativa, Remuria, pare fosse comunque riuscito a fondarla.
    Ad ogni modo, il particolare carattere del monte vi attrasse gradualmente le residenze dei mercanti forestieri, dei plebei arricchiti con il commercio e, infine, di coloro che operavano nel sottostante Emporium, nelle strutture connesse e nei relativi traffici e commerci. Con il concentrarsi qui delle abitazioni dei plebei, l’Aventino assunse il carattere di residenza alternativa a quella del Palatino abitata prevalentemente da patrizi.
    Nel 494 avanti Cristo si aprì inoltre il conflitto tra patrizi e plebei, passato alla storia come “secessione dell’Aventino” perché è su questo monte che i plebei decisero di dare origine a organismi di governo propri, visto che essi non avevano fino a quel momento alcuna rappresentanza politica. Venne così indetta un’assemblea generale che poteva prendere decisioni con valore vincolante per la plebe e furono istituite le figure dei tribuni della plebe.

    Fortezza dei Savelli sull’Aventino (l’orto circostante dal 1933 è il giardino degli Aranci) – Peter Paul Mackey, British School at Rome Archive.

    A questo primo conflitto altri ne seguirono, e l’insieme di queste lotte si estese almeno fino al 287 avanti Cristo.
    La creazione del Porto di Claudio e di Traiano, allontanò dall’Aventino molte abitazioni popolari che vennero rimpiazzate sempre più da residenze signorili e da impianti termali. Così durante l’epoca imperiale, sorsero sull’Aventino le case di grandi personaggi, si pensa che vi sorgesse anche la domus privata di Traiano, e un numero sempre maggiore di templi.
    Il Cristianesimo trovò su questo colle, nella Casa di Aquila e Prisca, ricordate da san Paolo, uno dei primi luoghi di riunione e gradualmente sostituì agli antichi templi della nuova fede. Accanto ad essi si ebbero importanti insediamenti monastici, dai quali partirono missionari per il Nord e per l’Est dell’Europa. Verso l’Anno Mille, il colle – dal quale si poteva controllare il movimento mercantile che si svolgeva sul Tevere nel fronteggiante approdo di Ripa Grande – divenne una roccaforte in funzione delle lotte imperiali e cittadine. Esso rimase un centro di forza della famiglia dei Savelli fino al secolo XIII, quando l’Aventino venne abbandonato al salmodiare dei conventi, fino all’epoca attuale.

    Basilica di Santa Sabina – Interno.

    La solitudine dell’Aventino – che si è parzialmente serbata fino ad oggi, custodita dal carattere puramente residenziale dell’insediamento edilizio che vi è sorto a partire dal primo dopoguerra – viene sottolineata in un passo del diario romano del Gregorovius, nel 1872, quando afferma, dopo una visita al luogo: “si deve prendere commiato da queste calme colline; la loro solitudine e il loro magico incanto verranno fra poco distrutti. Vogliono ricoprirle di edifici…”. Lo stesso Gregorovius afferma in un altro passo di aver avuto la fortuna di poter lavorare e studiare a Roma durante gli ultimi lustri della vita antica della città, godendo di un silenzio che era stato un fattore determinante del successo delle sue ricerche archivistiche sul medioevo.
    La basilica di Santa Sabina è un perfetto esempio di basilica del V secolo, e quindi venerabile e ammirevole modello della primitiva e pura concezione di tempio cristiano, la chiesa venne costruita dal prete Pietro d’Illiria – durante il pontificato di Celestino I – forse sulla casa di una matrona Sabina, confusa in seguito con l’omonima santa umbra.
    Vennero utilizzate 24 colonne di marmo ancirano del Tempio di Giunone Regina, che sorgeva nei pressi. Nel secolo IX vi furono aggiunte parti marmoree, parzialmente ancora esistenti: la schola cantorum, ricostruita ricomponendo gli antichi frammenti, gli amboni, l’iconostasi, la cattedra episcopale e il sedile marmoreo da Antonio Munoz agli inizi del 1900. Finalmente, nel 1222, papa Onorio III, che risiedeva nell’attiguo palazzo Savelli, concesse la chiesa al proprio maestro di palazzo, San Domenico di Guzman, all’atto di approvargli la regola del nuovo ordine domenicano. Ancora di quell’epoca sono il chiostro e il campanile, rimasto troncato verso la metà del Seicento.

    Gesù, gli Apostoli e i Santi sepolti nella basilica – Taddeo Zuccari.

    Domenico Fontana, nel 1587, trasformò l’aspetto interno della chiesa, facendole assumere una fastosa foggia manieristico – barocca.
    Dopo la soppressione dei monasteri, successiva al 1870, seguì un periodo d’abbandono, durante il quale la chiesa e l’intero convento vennero utilizzati anche come lazzaretto comunale. Finalmente Antonio Muñoz tentò, con lavori realizzati nel 1919 e nel 1936-38 (quando con lui collaborò anche il domenicano padre Gillet), di recuperare l’aspetto originario della chiesa, con un’operazione sostanzialmente rispettosa e che ha dato notevoli risultati.
    Dall’atrio antistante la chiesa si scorge il famoso albero di arancio amaro che la leggenda vuole piantato verso il 1220 da San Domenico: esso sarebbe la prima pianta di questa specie introdotta in Roma.
    Comunque l’atrio è prezioso per la presenza della celeberrima porta in ingresso, originaria del V secolo e intagliata finemente, oltre che con potenza espressiva, in legno di ciliegio. La porta arriva incompleta perché i pannelli scolpiti, in origine ventotto, sono oggi solo diciotto. Essi sono montati dentro fasce decorative che raffigurano motivi della vite. Di particolare risalto è il pannelletto che riproduce la Crocifissione, considerata la più antica rappresentazione della Crocifissione di Cristo. Solo nel Medioevo si affermerà infatti la rappresentazione del simbolo della crocifissione. Complessivamente ci troviamo di fronte ad uno dei massimi tesori dell’arte paleocristiana, a una delle più dimostrative manifestazioni della potenza creativa della nuova fede.

    Roma, 17 novembre 2017

  4. Archeo

    Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa.

    Il fascino dei Mercati sotto le luci da Oscar di Storaro

    La mostra allestita presso i Mercati di Traiano, ripercorre attraverso l’esposizione di statue, ritratti, decorazioni architettoniche, calchi della Colonna Traiana, monete d’oro e d’argento, modelli in scala, rielaborazioni tridimensionali e filmati la storia della

    Traiano

    costruzione dell’Impero di Traiano, che riuscì a tenere insieme popolazioni diverse che governate da uno Stato con leggi che ancora oggi sono alla base della giurisprudenza moderna.
    La buona amministrazione, l’influenza anche di donne capaci, vere e proprie “first ladies” che ebbero ruoli centrali nella politica e nella tenuta dell’Impero, campagne di comunicazione e capacità di persuasione atte ad ottenere il consenso popolare attraverso opere di pubblica utilità, sono tra gli ingredienti che consentirono all’Impero di costituirsi e di tenersi insieme.
    La mostra, che si apre con la morte di Traiano, avvenuta in Asia Minore, e, unico caso della storia romana, celebrata con trionfo nella capitale insieme alle sue gesta, è allestita proprio nello splendido complesso dei Mercati di Traiano oggetto qualche anno fa di una visita organizzata da Roma Felix.
    Per questo motivo proponiamo nuovamente la scheda pubblicata in quell’occasione impreziosita dagli splendidi disegni di Pietro Valenti.

    Non è sempre semplice datare la costruzione di un complesso monumentale grandioso e spettacolare come quello dell’area dei Mercati di Traiano,

    Mercati Traianei - Pietro Valenti

    Mercati Traianei – Pietro Valenti

    oggi diventato polo museale per l’intera area dei Fori Imperiali. Dai bolli laterizi edili sappiamo che i mercati vennero costruiti durante il primo quarto del II secolo d.C., ma gli archeologi non escludono l’ipotesi che gli architetti di Traiano (tra i quali non pare ci fosse – contrariamente a quanto si è a lungo ritenuto – il maggior indiziato di firma, Apollodoro di Damasco) avessero ripreso un precedente progetto di Domiziano e l’avessero poi posto in essere ampliandolo e adattandolo alle nuove necessità. E a Traiano, l’imperatore degli alimenta, un sussidio gratuito di Stato per l’infanzia in difficoltà, stava particolarmente a cuore l’annona, ossia il rifornimento di derrate per il popolo dell’Urbe. Sulla stessa lunghezza d’onda va collocata la costruzione del porto di Fiumicino che lo stesso Traiano fece realizzare per destinarlo all’approvvigionamento quotidiano di merce e viveri freschi per la città eterna.

    Mercati Trianei - Via Biberatica - Pietro Valenti

    Mercati Trianei – Via Biberatica – Pietro Valenti

    Prospiciente al complesso dei Mercati e diviso da un’ampia strada basolata, la via Biberatica – che i rilievi archeologici hanno attestato essere punteggiata di tabernae con ambienti abbastanza grandi – campeggia il Foro di Traiano, leggermente interrato rispetto al livello stradale di via dei Fori Imperiali. E poco discosta dai due monumenti, svetta la Colonna Traiana che racconta come un fumetto a sequenze continue le campagne militari daciche che termineranno nel 106 d.C. con la sconfitta del re Decebalo.
    Di sera e con l’illuminazione dei fari architetturali studiata dal maestro della fotografia Vittorio Storaro a scolpire i laterizi, la vista è mozzafiato: i monconi del Foro sottostante vengono sormontati dal complesso a sei ordini sovrapposti dei Mercati, dando pienamente l’idea della monumentalità e al contempo della praticità del progetto. Sì, perché i Mercati traianei non erano affatto un centro commerciale ante litteram, ma anzitutto un nevralgico centro amministrativo per l’intera città del tempo, la quale interagiva, secondo il modello di efficienza amministrativa voluto applicare urbi et orbi dall’imperatore spagnolo, con la

    Mercati Traianei da Via dei Fori Imperiali - Pietro Valenti

    Mercati Traianei da Via dei Fori Imperiali – Pietro Valenti

    polifunzionalità del Foro sottostante. L’architettura e i suoi migliori interpreti tradussero le idee in forme: i due emicicli di diversa grandezza posti a basamento del complesso mercantile, costruiti appositamente a esedra per puntellare il Quirinale sovrastante, donano aria e spazio agli uffici in cui si svolgeva la mercatura e si esercitava la buona amministrazione statale. E lì non si fa fatica ad immaginare l’eco antica di voci e di diversi dialetti e lingue. Quelle degli uomini dell’imperatore di allora e dei turisti stupefatti di oggi. 

    Roma, 16 novembre 2017

    I disegni di questo articolo sono tratti da Una Vista Su Roma Nei Disegni Di Pietro Valenti, a cura di Marco Valenti.