Lungo via di Porta San Sebastiano, ultimo tratto del percorso urbano dell’Appia Antica, dopo il muro che cinge il parco degli Orti di Galatea, si erge il Sepolcro degli
Scipioni, un insieme di gallerie dove continuarono a essere deposti per lungo tempo i membri della famiglia degli Scipioni uno dei rami più importanti della nobile gens Cornelia, i cui membri, a partire dagli inizi del V secolo avanti Cristo, avevano ricoperto importanti incarichi pubblici.
Il sepolcro degli Scipioni è un monumento fondamentale per la conoscenza della Roma repubblicana. Identificato per la prima volta nel 1614 con il ritrovamento di due sarcofagi: quello di Lucio Cornelio Scipione, questore del 167 avanti Cristo rimasto intatto e quello di Lucio Cornelio Scipione, figlio di Scipione Barbato e console del 259 avanti Cristo, che fu privato dell’iscrizione originale successivamente venduta a un tagliapietre, e in seguito acquistata dai Barberini, che la collocarono nella loro biblioteca. Di qui l’iscrizione pervenne poi ai Musei Vaticani.
Il Sepolcro verrà quindi “riscoperto” 1780, quando, nel mese di maggio, i fratelli Sassi, proprietari del terreno su cui insisteva una vigna, trovarono le sepolture durante lo scavo di una cantina. In quest’occasione l’area fu esplorata con metodi distruttivi. I sarcofagi furono spezzati e le iscrizioni portate in Vaticano, molti oggetti dispersi e le copie degli epitaffi collocate nei punti sbagliati. L’intervento di Angelo Quirini, senatore di Venezia, consentì di organizzare degli scavi più rigorosi tanto che nel giro di un pio di anni tutte le gallerie furono scavate e portati alla luce i diversi sarcofagi, a partire da quello, con iscrizione originale, di Publio Cornelio Scipione augure nel 180 avanti Cristo. Dagli scavi emersero anche una testa di tufo dell’Aniene , forse raffigurante il poeta Ennio, e un ritratto in marmo di età imperiale.
Nel 1880 l’area fu acquistata dallo Stato e tra il 1926 e il 1929 viene avviata una nuova campagna di scavo, di restauro e di sistemazione dell’area. L’ultimo restauro dell’area che ha interessato anche la casa medievale che insiste sul sepolcro, oltre che il colombario di Pomponio Hylas, risale al 2008 e ha consentito la messa in sicurezza della struttura e la sua apertura al pubblico nell’ambito del Parco degli Scipioni, nonché la corretta ricostruzione di alcune iscrizioni e il riposizionamento di alcune sepolture.
Dell’area archeologica fa parte anche una calcara di epoca medievale, ovvero un impianto destinato alla produzione di calce a partire dal marmo.
La costruzione del Sepolcro degli Scipioni risale ai primi decenni del III secolo avanti Cristo e il progetto fu realizzato da Lucio Cornelio Scipione Barbato, capostipite della famiglia, console nel 298 avanti Cristo, il cui sarcofago di fatto si trovava di fronte all’ingresso principale del monumento. Oggi il sarcofago originale è sostituito da una copia, conservata in Vaticano, ma ugualmente è possibile apprezzarne l’eleganza.
Nella memoria rimangono scolpiti i nomi Publio Cornelio Scipione Africano, noto come Scipione l’Africano, che sconfisse i Cartaginesi nella battaglia di Zama nel 202 avanti Cristo, e di Publio Scipione Emiliano, detto l’Emiliano o Africano Minore, che distrusse Cartagine a seguito di un lungo assedio nel 146 avanti Cristo. Entrambi i condottieri non furono però deposti nel sepolcro sull’Appia Antica: secondo quanto riportato dal poeta Livio e da Seneca entrambi furono inumati a Liternum in
Campania, mentre Scipione l’Ispanico sarebbe seppellito in Spagna. L’Africano morì proprio nella villa di Liternum nel 183 avanti Cristo, mentre l’Emiliano si spense a Roma nel 129 avanti Cristo e fu portato nella villa in Campania. Nel sepolcro comunque non trovano dimora le sepolture di tutti gli Scipioni ma sembra solo quelli dei rami detti Africani, Asiatici e Ispanici a eccezione quindi proprio dei relativi capostipiti.
Gli Scipioni praticarono la tumulazione fino all’avvento della carica di console di Silla, anche lui appartenente alla gens Cornelia, che fu il primo a scegliere come sua sepoltura l’incinerazione, dopo la morte avvenuta nel 78 avanti Cristo. Questo fa si che nel sepolcro oltre che a sarcofagi ci s’imbatte anche in olle cinerarie come quella di Cornelia Getulica.
La decisione di collocare il grande sepolcro rupestre a poca distanza dalla via Appia, alla base di una collinetta, non è da considerarsi casuale ma frutto di una precisa volontà politica.
La via Appia fu inaugurata nel 312 avanti Cristo. La sistemazione di questa strada, che seguiva uno dei percorsi viari più antichi che si dipanavano dalla città di Roma, fu voluta da Appio Claudio Cieco per agevolare l’espansionismo romano verso il Sud, espansionismo che avrebbe indotto una fusione dello Stato Romano con la Magna Grecia, e prodotto così una maggiore ellenizzazione della cultura, della politica e della società romana. Appio Claudio Cieco, infatti, non fu solo un accanito sostenitore della politica imperialistica di Roma ma anche del processo di ellenizzazione, a cui pure la famiglia degli Scipioni era interessata, insieme ad altre importanti famiglie della Roma medio – repubblicana.
La scelta degli Scipioni dell’Appia, come via lungo la quale costruire il proprio sepolcro, indusse anche altre importanti famiglie a fare altrettanto come la gens Caecilia, di cui faceva parte il ramo dei Caecili Metelli, e la gens Servilia.
Il sepolcreto ha restituito, tra gli altri reperti, un gruppo di epigrafi che sono molto importanti per ricavare informazioni sul latino tardo – arcaico, sulla sua evoluzione e poter studiare le forme epigrafiche istituzionali. Tra queste epigrafi la notissima iscrizione di Scipione Barbato: “Cornelius Lucius Scipio Barbatus, Gnaivod patre prognatus, fortis vir sapiensque quoius forma virtutei parisuma fuit consol censor aidilis quei fuit apud vos Taurasia Cisauna Samnio cepit subigit omne Loucanam opsidesque abdoucit”, ovvero: “Lucio Cornelio Scipione Barbato, generato dal padre Gneo, uomo forte e sapiente, il cui aspetto fu in tutto pari al valore, fu console, censore, edile presso di voi. Prese Taurasia, Cisauna e Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò via ostaggi”.
Questa forma latina è in pratica il latino di Ennio, il poeta degli Annales vissuto tra il 239 e il 169 avanti Cristo, il primo a compilare una storia epica di Roma e a “latinizzare” l’esametro greco. Con Ennio si realizza quindi la fusione tra la cultura greca e quella latina e non è a caso il poeta che viene protetto dagli Scipioni e che trova la sua sepoltura proprio all’interno di questo sepolcreto. Egli assurge a figura così importante e di riferimento per la famiglia che una sua statua era collocata nella spettacolare facciata del sepolcro insieme a quelle di Scipione l’Africano e di Scipione l’Asiatico, all’interno di nicchie.
Chi avesse visto da lontano la facciata del sepolcreto degli Scipioni avrebbe avuto quindi la sensazione di trovarsi davanti ad un’imponente scena teatrale.
Le iscrizioni di almeno sette sarcofaghi del Sepolcro permettono di datare l’uso dell’ipogeo fino al 150 avanti Cristo, quando la struttura era completa e affiancata da un’altra stanza, di forma quadrangolare, dove furono deposti pochi altri membri della famiglia. Risale a quell’epoca la creazione di una facciata rupestre, la cui decorazione è attribuita a Scipione l’Emiliano. All’epoca, il sepolcro si trasformò in un vero e proprio museo di famiglia, che perpetuava le imprese dei suoi componenti. Vi fu sepolta anche una delle figure femminili di maggior rilievo nella storia di Roma: Cornelia, figlia dell’Africano e madre dei famosi tribuni della plebe Tiberio e Gaio Gracco.
L’ultimo utilizzo conosciuto si ebbe in epoca claudio – neroiana, quando vi furono inumati la figlia e il nipote di Cornelio Lentulo Getulico, scelta determinata da motivi ideologici legati alla discendenza degli Scipioni.
Il monumento è diviso in due corpi distinti: il principale, scavato in un banco di tufo a pianta grosso modo quadrata, e una galleria comunicante di epoca posteriore, costruita in mattoni, con ingresso indipendente.
La regolarità dell’impianto fa ritenere che lo scavo sia avvenuto appositamente per la tomba, non sembra plausibile il riciclo di un’antica cava di tufo. Il corpo centrale è diviso da quattro grandi pilastri risparmiati nell’opera di escavazione per assicurare la solidità all’ipogeo; sono presenti quattro gallerie lungo i lati e due centrali che si incrociano perpendicolarmente, dando all’insieme un aspetto vagamente “a griglia”. Della facciata, rivolta verso nord-est, ci resta solo una piccola parte sulla destra, con scarsi resti di pitture, ma essa può essere pensata come una grande scena teatrale Era composta da un alto podio con severe cornici a cuscino, nel quale si aprivano tre archi in conci di tufo dell’Aniene: quello centrale conduceva all’ingresso dell’ipogeo, quello di destra alla nuova stanza, mentre quello di sinistra, era cieco ed aveva una funzione puramente ornamentale, a meno che non si fosse pensato alla realizzazione di un’ulteriore camera su questo lato in un momento successivo. Questo basamento doveva essere interamente ricoperto di affreschi, di cui rimangono solo piccole parti nelle quali sono stati individuati tre strati: i due più antichi, risalenti alla metà del II secolo avanti Cristo circa presentano scene storiche, nelle quali si riconoscono le figure di alcuni soldati, mentre l’ultimo, più recente, ha una semplice decorazione in rosso a onde stilizzate e viene datato al I secolo dopo Cristo.
Roma, 7 gennaio 2018