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  1. La rinnovata primavera del Palatino, il colle degli imperatori

    La posizione del Palatino, situato al centro del sistema delle colline che saranno via via occupate dalla città, in prossimità del Tevere, ma più lontano del Campidoglio e dell’Aventino, era la più adatta a un insediamento umano. La sommità centrale, il Palatium, digradava verso il Foro Boario e il Tevere con un pendio, il Germalus, ed era collegata al retrostante Esquilino tramite una sella e la collina della Velia.

    Insediamento Età del Ferro – Palatino.

    La leggenda racconta di un’occupazione del colle da parte di Greci immigrati dall’Arcadia sotto la guida di Evandro e del figlio Pallante, due divinità minori nel pantheon arcadico, e questa tradizione trova la sua conferma nelle scoperte archeologiche che hanno documentato la presenza di commercianti greci nel Foro Boario relativa all’epoca della colonizzazione greca dell’Italia Meridionale.
    Ma esiste anche la tradizione ancora più antica che vuole la fondazione di Roma a opera di Romolo, che viene data intorno alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo, nel 754 avanti Cristo secondo lo storico Varrone vissuto tra l’età di Cesare e quella di Augusto. La Casa Romuli era identificata, già in antico, in una capanna, continuamente ricostruita e restaurata, situata nell’angolo Sud – Ovest della collina – lo stesso occupato più tardi dalla Casa di Augusto – dove sono stati scavati resti di capanne dell’età del Ferro, scoperta che sembra quindi confermare la tradizione.
    Sul Palatino sono attestate tradizioni religiose antichissime quali quella della dea Pales, il cui nome potrebbe essere collegato etimologicamente a Palatium. La festa della divinità, dette Palilia o Parilia cadeva il 21 aprile, che gli storici antichi considerano giorno della fondazione della città. Anche la festa legata alla lupa, i Lupercalia, animale sacro della città, aveva luogo sul Palatino. La grotta – santuario della lupa era collocata ai piedi del Palatino, verso il Tevere; da essa i sacerdoti – lupi, vestiti di pelli caprine, muovevano per fare il giro della collina, per purificarla ritualmente, frustando quanti venivano loro a tiro, specialmente le donne. Il rito assumeva così valore esplicito di cerimonia della fecondità. Il Lupercale e riti connessi vennero più tardi collegati con la leggenda dei mitici gemelli allattati dalla lupa.

    Resti del Palatium – Palatino.

    I culti di Apollo e di Vesta furono invece fondati da Augusto nell’ambito stesso della sua casa. Grazie agli scavi realizzati tra il 1865 e il 1870, è ormai accertato che il tempio di Apollo fu iniziato da Augusto nel 36 avanti Cristo, subito dopo la battaglia di Nauloco contro Sesto Pompeo, e terminato nel 28 avanti Cristo dopo Azio. Il tempio era compreso nella parte pubblica della Casa di Augusto, con il quale era intimamente collegato. La Repubblica segnò soprattutto la trasformazione della collina in un quartiere residenziale della classe dirigente romana. Tra coloro che vi abitarono, Tiberio Sempronio Gracco, padre dei famosi tribuni, il celebre oratore Lucio Licinio Crasso, Cicerone e suo fratello Quinto e Tiberio Claudio Nerone, padre dell’imperatore Tiberio.
    L’episodio fondamentale della storia del Palatino è che Augusto, che vi era nato, scelse di abitarvi, in un primo tempo nella casa di Ortensio, che fu poi da lui ampliata con l’acquisto di altre abitazioni. Di conseguenza, gli altri imperatori elessero anch’essi a loro dimora il Palatino, sul quale furono costruiti i palazzi di Tiberio, ampliato da Caligola, di Nerone, la Domus Aurea che si estendeva fin qui, dei Flavi, la cosiddetta Domus Flavia e la Domus Augustana, di Settimio Severo.
    Alla fine dell’età imperiale la collina era occupata da un unico immenso edificio, che nel suo insieme costituiva l’abitazione degli imperatori. Il nome di Palatium, Palatino, passò così a indicare il palazzo per eccellenza, quello dell’imperatore, e successivamente diventò un nome comune, diffuso in tutte le lingue europee.

    Ricostruzione del Palatino.

    In questo modo, nella sontuosità dei palazzi imperiali, si creò il simbolo stesso del potere: per mille anni ogni idea di dominio universale s’incardinò alla residenza su questo colle, dove, infatti, si succedettero i monarchi Goti, gli esarchi di Bisanzio e i protagonisti del rinnovato Impero, detto Sacro e Romano, da Carlo Magno fino a Ottone III.
    All’avvento del nuovo millennio il destino del colle mutò, e qui s’insediarono, fra le rovine e i campi destinati all’allevamento, chiese, conventi e fortezze di baroni in lotta. Nel 1542 il cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, acquistò una serie di appezzamenti di terreno che occupavano le falde del Palatino, dal Foro alla cima del colle, fino a lambire il Circo Massimo. Quindi Alessandro incaricò il Vignola di disegnare e realizzare maestosi giardini che, oltre ad inglobare le rovine del Palazzo Imperiale, avrebbero ospitato piante non solo tipiche della macchia mediterranea, ma anche quelle provenienti dalle lontane Americhe, quali l’agave, la yucca, la mimosa, la passiflora e l’acacia. In molti casi queste piante venivano portate in Italia per la prima volta in questa occasione. Ma questi giardini avevano anche una parte destinata a vero e proprio orto dove per la prima volta vennero coltivati pomodori, peperoni, peperoncini e frutti come il fico d’India.
    Giardini di Alessandro Farnese avevano diversi scopi: far rivivere, anche dal nome Horti Palatini Farnesiorum, i fasti e il ruolo dei grandi Horti delle magnifiche domus della Roma classica che ricoprivano il Pincio o l’Esquilino e affermare la raggiunta e consolidata posizione politica e istituzionale della famiglia Farnese, e che, proprio per questo motivo, venivano a sorgere lì dove aveva avuto sede il potere da Augusto in poi.

    Horti Farnesiani – Charles Percier (1786-1790).

    D’altronde l’area dove Alessandro Farnese decise di far sorgere gli Horti era sempre stata un’area verde poiché la terrazza della Domus Tiberiana era stata un giardino pensile già al tempo degli imperatori della dinastia julio – claudia. Questa tradizione fu mantenuta anche successivamente visto che anche i Flavi e gli Antonini ebbero lì i loro giardini, sia per mantenere una sorta di unità di stile e di continuità architettonica, ma anche perché i giardini e i boschi avevano, per la cultura romana, una propria intrinseca sacralità che aveva, in questo caso, il ruolo di aumentare la sacralità dell’imperatore e in qualche modo ne legittimava l’autorità.
    La realizzazione degli Horti Farnesiani coprì un arco di tempo molto lungo e dopo il Vignola altri furono gli architetti che vi lavorarono come Giacomo del Duca e Girolamo Rainaldi.
    Gli Horti Farnesiani furono dotati d’ingresso monumentale, decorato da un portale disegnato e realizzato dallo stesso Vignola, aprirono la strada alla consuetudine delle più importanti, ricche e nobili famiglie romane, di dare vita a ville con suntuosi giardini. Poco dopo sarebbe stata la volta della Villa Mattei, oggi Celimontana, quindi a Villa Medici, a villa Borghese, villa Ludovisi, villa Pamphilji, Villa Giulia e via di seguito fino all’Ottocento, in una gara continua tra collezionismo e sfarzo.

    Portale d’ingresso – Horti Farnesiani – Vignola.

    Per due secoli gli Horti Farnesiani furono proprietà della famiglia Farnese che continuò a modificarli e ad adattarli alle mode e alle esigenze dei vari tempi tanto che nel 1718 essi verranno trasformati in “Reale Azienda Agricola. Nel 1861 gli Horti furono acquistati da Napoleone III per avviare delle campagne di scavo condotte da Pietro Rosa. Nel 1870 i giardini furono acquistati dal Governo Italiano e il direttore degli scavi divenne Rodolfo Lanciani, a cui seguirà Giacomo Boni che si occupò, all’inizio del Novecento, del primo tentativo di restauro e reintegro dei giardini.
    Grazie ad un accurato restauro iniziato nel 2013 e la cui prima fase termina proprio ora, aprile del 2018, viene data nuova vita agli Horti Farnesiani e si consente la visita, per la prima volta dopo più di 30 anni, alle Uccelliere, lì dove Alessandro raccolse ed espose la sua collezione di uccelli esotici e al Ninfeo della Pioggia che si mostra con il suo recuperato gioco d’acqua e le vasche sovrapposte.
    Arricchisce il nuovo percorso di visita, ma solo fino al 28 ottobre, una mostra dal titolo “Il Palatino e il suo giardino segreto. Nel fascino degli Horti Farnesiani” che ha lo scopo di illustrare al visitatore proprio le trasformazioni a cui sono andati in contro, nel tempo, gli Horti.

    Uccelliera e Ninfeo – Horti Farnesiani.

    Completano la mostra un prestito eccezionale del Museo Archeologico di Napoli: le due statue in marmo policromo del Barbaro inginocchiato e dell’Iside Fortuna, che avevano qui la loro collocazione originaria.
    Nel Ninfeo della Pioggia sono invece collocate due giganteschi busti di Daci imprigionati che fino al Seicento facevano parte del criptoportico del ninfeo stesso e al suo interno viene realizzato un percorso multimediale che consente di comprendere come fossero gli Horti nel momento in cui essi furono realizzati.

    Roma, 28 aprile 2018

  2. La Crypta Balbi. Una macchina del tempo nel cuore di Roma

    La Crypta Balbi, uno dei quattro poli del Museo Nazionale Romano, è senza alcun dubbio uno dei siti archeologici più affascinanti di Roma: solo qui, probabilmente, è possibile seguire l’evoluzione di uno spazio urbano, in termini di insediamenti e di destinazioni d’uso, su un arco di tempo che va dal I secolo avanti Cristo all’epoca contemporanea.

    Crypta Balbi

    Il sito è inoltre allestito ponendo particolare attenzione a tutti quei ritrovamenti che documentano attività artigianali che furono condotte in questo luogo tra la caduta dell’Impero romano e l’Alto Medioevo, con particolare riguardo per i secoli che stanno tra il VII e il X dopo Cristo.
    Il complesso archeologico deve il suo nome a Lucio Cornelio Balbo, di origini spagnole, appartenente alla gens Cornelia, pensatore, letterato e uomo politico, amico di Augusto, in qualità di proconsole d’Africa intraprese numerose campagne militari che portarono alla sua vittoria sui Garamati, un popolo della Libia sahariana.
    Fu il primo cittadino non nato a Roma e l’ultimo non appartenente alla famiglia imperiale a ricevere l’onore di un trionfo nel Foro Romano proprio per questa vittoria.
    Con le ricchezze accumulate anche grazie a questa vittoria iniziò la costruzione del suo Teatro nel 19 avanti Cristo, in pietra. Il teatro Balbo terminato nel 19 avanti Cristo poteva contenere 7700 spettatori. Quando fu inaugurato, il Tevere aveva appena straripato, e, per questo motivo, gli spettatori lo raggiunsero in barca.

    Teatro di Balbo, con teatro di Pompeo e teatro di Marcello – Ricostruzione

    Era il terzo teatro a Roma per dimensione dopo quello di Pompeo e di Marcello e venne distrutto in un incendio intorno all’80 dopo Cristo.
    Accanto al teatro fu costruita la Crypta, ovvero un ampio quadrilatero porticato che racchiudeva un giardino decorato con nicchie che ospitavano statue e con un pavimento a mosaico.
    Nell’area insisteva anche il lato meridionale della Porticus Minucia, una struttura quadrangolare che racchiudeva i templi dell’area sacra di Piazza Argentina.
    Di fatto nell’area insistevano due Porticus, quella che cade nell’area della Crypta Balbi è la Porticus Minucia Frumentaria, ovvero quella dove avvenivano le elargizioni di frumento alla popolazione e che all’epoca di Claudio divenne il centro amministrativo di controllo e di effettiva distribuzione del grano alla plebe.
    L’identificazione del sito dove cadeva la Porticus è stata fatta in base ad un frammento della Forma Urbis severiana.
    Il Porticus Minucia si estendeva a comprendere anche il tempio delle Ninfe i cui resti sono visibili lungo la Via delle Botteghe Oscure proprio di fronte all’ingresso della Crypta Balbi, tempio distrutto anch’esso durante l’incendio dell’80 dopo Cristo.
    Dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo le nicchie esterne della Crypta furono tamponate e tra queste e la Porticus fu costruita una cisterna alimentata da una diramazione dell’acquedotto dell’Aqua Virgo.

    Fullonica – Si ringrazia il sito “I Viaggi di Raffaella” per la foto.

    Non è possibile descrivere le numerose trasformazioni che l’area subisce, ma tra queste in epoca medievale il portico settentrionale della Crypta fu trasformato in una strada sulla quale si affacciavano botteghe e abitazioni di artigiani. Vista la scarsa illuminazione dei locali, perché essi erano stati ricavati negli archi di quello che si pensava potesse essere stato l’antico Circo Flaminio, il luogo era indicato con il toponimo ad apothecas oscuras, ovvero “presso le botteghe oscure”, toponimo che resta ancora oggi in Via delle Botteghe Oscure, che a partire dal XIII secolo sarà una via conosciuta per la concentrazione di mercanti di panni, tessitori e lavandai, e quale luogo dei tiratoria pannorum, ovvero aree aperte e porticate dove venivano stesi i panni.
    Il sito archeologico fu portato alla luce intorno al 1940 quando si decise di demolire un grande edificio del 1500 per costruirne uno nuovo. Lo scoppio della II Guerra Mondiale bloccò il progetto, e al termine della guerra i nuovi vincoli archeologici consentirono la destinazione del sito allo studio e alla sua valorizzazione.
    Si è potuto così comprendere che intorno al V secolo il Teatro di Balbo e la relativa Crypta furono abbandonati e il sito fu utilizzato prevalentemente per sepolture e deposito di rifiuti.
    In età Medievale in quest’area finirono con l’insistere sue chiese: San Lorenzo in Pallacinis, costruita in corrispondenza delle insulae esterne alla Crypta e Santa Maria Domine Rosae, che occupava la parte centrale del giardino porticato.
    Sempre in età medievale l’area che in epoca adrianea fu una latrina monumentale è occupata da una calcara, ovvero un forno utilizzato in epoca medievale per la preparazione della calce a partire dal marmo, e da un’osteria, impiantata nel vano della cisterna dell’acquedotto dell’Aqua Virgo, di cui si identificano con chiarezza la cucina e il bancone in marmo, proveniente da un altro monumento.

    Affresco – Santa Maria Domine Rosae. Si ringrazia il sito “I Viaggi di Raffaella” per la foto.

    Alla fine dell’Alto Medioevo la chiesa di Santa Maria Domine Rosae entra a far parte di un complesso fortificato che nasce dall’unificazione di varie strutture dell’area, conosciuto come “Castellum” o “Castrum aureum”.
    Durante il Basso Medioevo l’area conosce una certa rinascita con la costruzione di un gruppo di case nobiliari e soprattutto la costruzione della chiesa di Santa Caterina della Rosa, in epoca rinascimentale, sulle rovine del monastero di Santa Maria Domine Rosae, di cui arrivano fino a noi bellissimi affreschi.
    Poiché lo studio dell’area è in continuo divenire, recentemente sono stati individuati un ambiente adibito a fullonica, ovvero lavanderia, dove gli operai, attraverso un sistema di immersione dei capi di vestiario nell’urina e poi di risciacquo in varie vasche, ne ottenevano la sbiancatura; un sacello per il culto delle divinità greche ed orientali tra cui Iside, Artemide, Meleagro e Dioniso, ed un mitreo risalente al III secolo che a partire dal V secolo venne distrutto ed utilizzato come stalla.
    L’area è stata poi un importante bacino di ritrovamento di tesori di arte tardo – bizantina e medievale che hanno contribuito alla comprensione di alcuni aspetti della vita della Roma medievale.

    Cattedra – Chiesa di San Lorenzo – Si ringrazia il sito “I Viaggi di Raffaella” per la foto.

    Si può ancora ricordare che anche in questa area della città aleggia in qualche misura lo spirito di Carlo Magno. Sono venute alla luce infatti testimonianze e reperti che raccontano anche qui la Roma carolingia, come l’unica strada di questa epoca storica ancora visibile che attraversava il Foro.
    L’area archeologica è stata oggetto di una ristrutturazione minuziosa e rispettosa dei reperti che contemporaneamente permettesse la migliore fruizione e comprensione dell’area. Per questo motivo il sito si compone di tre ambiti principali:
    – quello del museo vero e proprio ospitato nell’edificio chef a angolo tra Via Caetani e via delle Botteghe Oscure;
    – quello dei sotterranei dove, da una passerella in acciaio, è possibile ammirare i resti della Porticus Minucia, stratificazioni stradali romane, medievali e rinascimentali;
    – quello esterno che porta all’antica esedra del teatro romano e al mitreo che si raggiunge percorrendo una passerella in acciaio che sovrasta i resti di Santa Maria Domine Rosae.

    Roma, 9 luglio 2017

  3. Alla scoperta dell’Esquilino: il Macellum Liviae e la Chiesa di San Vito in macello Liviae

    L’Esquilino fu abitato fin da un’età assai antica, come è testimoniato dal ritrovamento di una necropoli risalente all’età del Ferro, il cui utilizzo inizia nei primi decenni dell’VIII secolo avanti Cristo. Qui sorse, successivamente, un sobborgo densamente popolato ma esterno alla città come il nome di Exquiliae, che significa probabilmente “la zona abitata fuori della città”, lascia ad intendere.

    Porta Esquilina poi trasformata in Arco di Gallieno – Ricostruzione

    Esso sarebbe stato incluso nella città, secondo una tradizione, da Servio Tullio, che vi avrebbe preso dimora, provvedendo a fortificare l’indifeso lato orientale a mezzo dell’agger, ovvero il terrapieno difensivo ottenuto ammassando del terreno a sostegno delle mura. Da allora l’Esquilino costituì una delle quattro tribù territoriali in cui il re suddivise la città, insieme con La Palatina, La Collina e la Suburana.
    In età arcaica e repubblicana, la zona orientale era occupata in gran parte da una grande necropoli, attraversata da strade e acquedotti. All’interno di questa, subito fuori della Porta Esquilina, detto anche Arco di Gallieno, va localizzato con tutta probabilità il santuario di Libitina, una divinità arcaica romana, e prima ancora italica, che aveva il ruolo di tutelare tutte le funzioni legate alla morte e quindi di presiedere ai funerali. In questa parte della città avevano perciò la loro sede i libitinarii, ovvero gli impiegati delle pompe funebri, e qui venivano conservati i materiali utilizzati nei funerali. Inoltre qui avevano luogo, in origine, le esecuzioni capitali.
    La porta Esquilina, è una delle porte più antiche della città, fu interamente ricostruita da Augusto, e successivamente trasformata in un arco a tre fornici, dedicata da Marco Aurelio Vittore a Gallieno, da cui il nome di Arco di Gallieno con cui la porta è più nota, e alla moglie di questi Solonina, incisa nella cornice sottostante all’attico, fu aggiunta in un secondo tempo. Quella originaria, di età augustea, doveva trovarsi sull’attico, dove sono visibili tracce di scalpellatura.

    Arco di Gallieno – giovan Battista Piranesi

    Con Mecenate, come ricorda Orazio, Satire I, 8, iniziò il risanamento della necropoli: a poco a poco nell’area si andò formando una corona di ville e parchi, che si estendeva fino a includere la parte orientale del Quirinale e l’intero Pincio, tanto che finì per prendere il nome di “Colle dei giardini”.
    I monumenti di carattere pubblico erano rari sull’Esquilino e la maggior parte di essi aveva un carattere di utilità. Tra questi vi era il Macellum Liviae, grande mercato alimentare inaugurato da Tiberio nel 7 avanti Cristo, e dedicato a Livia sua madre, e moglie di Augusto. Questo monumento ha posto diverse difficoltà d’identificazione. Per molto tempo si è ritenuto che esso potesse coincidere con l’edificio, presente nei sotterranei della Basilica di Santa Maria Maggiore. Più recentemente si è tornati all’ipotesi originaria che vuole che i resti del Macellum Liviae siano da identificare con i resti di un grande edificio in mattoni a opera reticolata, scavata alla fine dell’Ottocento, subito fuori della Porta Esquilina.
    Il Macellum Liviae era probabilmente in rapporto con il Forum Esquilinum, una grande piazza con funzione di mercato di cui non ci pervengono tracce, ma le cui notizie più precise ci giungono dallo storico Appiano. Quest’ultimo, in un passo in cui descrive l’attacco di Silla alla città nell’88 avanti Cristo, dice che i sostenitori di Mario, che si erano asserragliati nella città, resistettero a lungo trovando rifugio proprio nel Forum. Il Forum Esquilinum viene localizzato sul, Cispio, una propaggine del colle Esquilino su cui sorge la basilica di Santa Maria Maggiore.

    Chiesa di San Vito e Arco di Gallieno

    Gli studiosi quindi ipotizzano che questa ampia piazza fosse posta immediatamente all’interno della porta Esquilina, come attesterebbero alcune iscrizioni ritrovate alla fine dell’Ottocento. Tra queste un’epigrafe che cita il magister vici, un magistrato incaricato della gestione di aree pubbliche, e un’altra che cita due argentarii che avevano la loro bottega all’interno del Forum Esquilinum. Una terza iscrizione ricorda che nel V secolo dopo Cristo il prefetto urbano si occupò del restauro del Forum Esquilinum attestando così l’uso di quest’area a lungo.
    Seguendo dunque la via Carlo Alberto, di fronte alla facciata di Santa Maria Maggiore, sta incastrato un frammento superstite delle Mura Serviane in blocchi di tufo di Grotta Oscura, un tufo poroso e giallastro proveniente dal costone posto tra Veio e la riva destra del Tevere: il suo andamento è obliquo rispetto alla strada moderna. Svoltando a destra nella viuzza immediatamente seguente, dove è la chiesa di San Vito, ci si trova di fronte all’Arco di Gallieno, che è orientato esattamente come le Mura Serviane e s’inserisce sul loro percorso.
    La chiesa di San Vito, definita già dai tempi di papa a Leone III (795-816) come “in Macello”, nome che è forse la testimonianza più forte della presenza del Macellum Liviae lì dove sorgeva la porta Esquilina, sta addossata all’Arco di Gallieno, e occupa uno dei fornici più piccoli della porta Esquilina. L’associazione tra Arco di Gallieno e chiesa è un elemento che appartiene alla memoria della città antica, tanto da apparire anche nella pianta di Roma disegnata da Pirro Ligorio nella metà del XVI secolo. La chiesa fu completamente ricostruita nel 1477 da papa Sisto IV. Particolarmente importante è un affresco di Antoniazzo Romano che raffigura la Madonna con il Bambino e Santi. Inserita su di una parete è la cosiddetta “pietra scellerata” cui sarebbe legato il ricordo della uccisione di numerosi primi cristiani. La tradizione popolare riteneva per questo motivo che la pietra avesse il potere di curare dall’idrofobia, e quindi da essa veniva grattata via la polvere da utilizzare come medicamento in casi di idrofobia.
    Il nucleo più antico della chiesa è ora visibile grazie all’apertura al pubblico del sito archeologico adiacente alla Cripta, insieme a quanto emerso da una campagna di scavo avviata quasi cinquanta anni fa e ripresa nel 1979: antiche porzioni di mura del VI secolo avanti Cristo fondate sulla Valle dell’Esquilino, nei pressi della prima Porta Esquilina, resti di basolato che lascia intuire il percorso che la strada seguiva passando sotto il fornice dell’arco al posto del quale la chiesa è stata edificata, opere idrauliche connesse all’acquedotto Anio Vetus, di particolare interesse per la storia della chiesa i resti del castellum aquae. In ambienti addossati al castellum aquae, infatti, sorse la diaconia. A questi ambienti si accedeva attraverso una porta che si apriva sulla strada romana. La diaconia risale al IV secolo dopo Cristo quando qui nel 303 dopo Cristo furono martirizzati diversi cristiani tra cui colui che diventerà San Vito, invocato nei casi di epilessia e di un disturbo nervoso detto “ballo di San Vito”.

    Roma, 22 aprile 2018

  4. San Nicola in Carcere: la chiesa e i tre templi

    L’abbondanza di costruzioni monumentali e di meraviglie archeologiche, che ancora ammiriamo ai piedi

    Ricostruzione degli edifici alle pendici del Campidoglio

    Ricostruzione degli edifici alle pendici del Campidoglio

    del Campidoglio, fa di quest’area una delle più significative per la vita dell’antica Roma. Anzi, per la sua stessa nascita. Cresciuta dentro la cinta quadrata del Palatino e negli altri aggregati sulle colline, Roma trovò proprio in questa zona pianeggiante, distesa lungo gli approdi del fiume, la sua ragion d’essere: grazie allo sviluppo di una primitiva attività commerciale, l’area divenne punto di scambio e di mediazione fra i popoli dell’opposta regione etrusca e quelli che inviavano i loro operatori dalla Campania Felix o dalle montuose terre del centro della penisola. Qui, nel luogo di incontro con gli stranieri, presso il Foro Olitorio e il Foro Boario (che si estendeva nella zona della Bocca della Verità), la Roma repubblicana elevò un magnifico fronte di aree marmoree e di templi con selve di colonne. Brillavano in alto le cuspidi monumentali del Campidoglio.
    La visita inizia dagli imponenti resti del Teatro di Marcello, che mostrano in maniera evidente una realtà comune a tante parti del centro storico di Roma: la stratificazione di successive edificazioni nelle varie epoche.
    Il teatro, iniziato da Cesare, fu compiuto da Augusto tra il 13 e l’11 a.C. e dedicato alla memoria

    Teatro di Marcello

    Teatro di Marcello

    dell’amatissimo Marco Claudio Marcello, nipote e genero prediletto (era infatti figlio della sorella Ottavia e marito di sua figlia Giulia), morto non ancora ventenne nel 23 a.C. e per il quale Virgilio scrisse i suoi famosi versi di rimpianto: «Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l´anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo» (Eneide, VI, 860 e sgg.). Il monumento, già interrato per qualche metro, con le arcate dell’ordine inferiore occupate da povere botteghe, è stato isolato e sistemato tra il 1926 e il 1932. L’imponente e severo monumento, che non di rado fu preso a modello dagli artisti del Rinascimento, era costituito da due ordini di 41 arcate ciascuno, coronati da un attico; la cavea, che si apriva ove attualmente è il giardino di Palazzo Orsini, poteva contenere circa 15.000 spettatori. Si cominciò a demolirne la scena e il portico annesso per restaurare il ponte Cestio; alla metà del sec. XII la parte rimanente del teatro fu trasformata in fortezza dai Fabi; a questi subentrarono i Savelli, che tra il 1523 e il 1527 vi fecero costruire da Baldassarre Peruzzi i due piani del palazzo, il quale acquistò forma definitiva quando nel 1712 passò agli Orsini.
    Davanti al teatro, su un alto podio, svettano le tre colonne angolari del Tempio di Apollo Sosiano, eretto nel 433 a.C., rifatto nel 179 quando assunse l’appellativo di Apollo Medicus e ricostruito nel 34 a.C. dal console C. Sosius, da cui il nome. Le tre colonne che oggi ammiriamo furono rialzate nel 1940. Accanto ad esse il basamento di un altro tempio, identificato con quello di Bellona, del 296 a.C. Qui il Senato accoglieva il generale vittorioso e ne decideva il trionfo.
    La via del Teatro di Marcello prosegue attraverso i resti dell’antico Foro Olitorio, il mercato degli ortaggi, che si estendeva dalle pendici del Campidoglio al Tevere e dal Teatro di Marcello al Foro Boario.

    San Nicola in Carcere

    San Nicola in Carcere

    Addossata a un modesto rialzo del terreno ove si apre la piazza di Monte Savello, sorge la chiesa di San Nicola in Carcere, eretta sui resti di tre templi, in parte visibili sul lato destro della chiesa e nei muri perimetrali della stessa. I templi erano allineati uno accanto all’altro, come i templi repubblicani di largo Argentina. Il primo a sinistra pare sia da identificare con il Tempio della Speranza, eretto al tempo della prima guerra punica; quello mediano, il maggiore, su cui sorge la chiesa, è stato identificato con Tempio di Giunone Sospita, eretto nel 197 a.C. durante la guerra gallica; il tempio di destra è dedicato a Giano.
    La chiesa di San Nicola in Carcere, nota fin dal sec. XI, è probabilmente più antica e fu una diaconia. Dovette presumibilmente ricadere nella colonia greca della zona, come dicono la sua intitolazione a un santo greco e soprattutto l’appellativo «in carcere», riferito alla prigione che vi sorse in epoca bizantina nell’ VIII secolo.
    Fu largamente rimaneggiata a partire dai lavori fatti eseguire dal cardinale Borgia, poi papa Alessandro VI, successivamente dal cardinale Federico Borromeo e dal cardinale Aldobrandini, il quale, nel 1599 fece

    San Nicola in Carcere con le demolizioni in corso

    San Nicola in Carcere con le demolizioni in corso

    costruire da Giacomo della Porta l’attuale facciata; restaurata e decorata sotto Pio IX nel 1865, fu liberata nel 1932 dai fabbricati che le erano addossati, così da mettere in luce i resti degli antichi templi. A destra della facciata si leva la massiccia torre medievale adattata a campanile. L’interno basilicale, a tre navate divise da 14 colonne (diverse per materiali e dimensioni e che provengono tutte da antichi templi), occupa in larghezza tutta l’area del tempio di Giunone. Le colonne incorporate nei muri laterali appartengono, invece, ai due templi minori. All’inizio della navata destra si ammira l’affresco Trinità e Angeli del Guercino; più avanti una Madonna col Bambino di Antoniazzo Romano.
    Davanti alla chiesa è situata una notevole costruzione medievale, detta Casa dei Pierleoni, che è affiancata da una torre e presenta bifore e trifore. In alto, sulla rupe capitolina, si scorge una caratteristica costruzione con loggia a colonne, di tardo stile neoclassico: è la cosiddetta Rupe Tarpea dalla quale venivano gettati i traditori condannati a morte, che in tal modo venivano simbolicamente espulsi dall’Urbe.
    Tra il Teatro di Marcello, la chiesa di San Nicola in Carcere e la pendice capitolina – corrispondente al Foro Olitorio o delle verdure – si trovava (fino alle demolizioni del 1932) la celebre piazza Montanara.

    Piazza Montanara

    Piazza Montanara

    Il nome veniva da una vecchia famiglia Montanari che possedeva case nella zona, e la notorietà derivava dall’essere il centro di convegno della gente di campagna che, da qui alla Bocca della Verità, aveva il principale luogo di mercato. Vi affluivano – come anche a piazza Farnese – pecorai dell’agro e butteri maremmani, fattori, capocci e vaccari: tutto il complesso mondo della campagna romana con la sua varietà di funzioni e di attribuzioni. Ma, soprattutto nell’Ottocento, convergevano qui anche i montanari d’Abruzzo, i contadini marchigiani, i vignaioli della Romagna e i braccianti in genere, in cerca di ingaggio per i lavori stagionali. A dimostrazione dell’antica vocazione mercantile della Roma alle pendici del Campidoglio.

    Roma, 4 aprile 2018