La posizione del Palatino, situato al centro del sistema delle colline che saranno via via occupate dalla città, in prossimità del Tevere, ma più lontano del Campidoglio e dell’Aventino, era la più adatta a un insediamento umano. La sommità centrale, il Palatium, digradava verso il Foro Boario e il Tevere con un pendio, il Germalus, ed era collegata al retrostante Esquilino tramite una sella e la collina della Velia.
La leggenda racconta di un’occupazione del colle da parte di Greci immigrati dall’Arcadia sotto la guida di Evandro e del figlio Pallante, due divinità minori nel pantheon arcadico, e questa tradizione trova la sua conferma nelle scoperte archeologiche che hanno documentato la presenza di commercianti greci nel Foro Boario relativa all’epoca della colonizzazione greca dell’Italia Meridionale.
Ma esiste anche la tradizione ancora più antica che vuole la fondazione di Roma a opera di Romolo, che viene data intorno alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo, nel 754 avanti Cristo secondo lo storico Varrone vissuto tra l’età di Cesare e quella di Augusto. La Casa Romuli era identificata, già in antico, in una capanna, continuamente ricostruita e restaurata, situata nell’angolo Sud – Ovest della collina – lo stesso occupato più tardi dalla Casa di Augusto – dove sono stati scavati resti di capanne dell’età del Ferro, scoperta che sembra quindi confermare la tradizione.
Sul Palatino sono attestate tradizioni religiose antichissime quali quella della dea Pales, il cui nome potrebbe essere collegato etimologicamente a Palatium. La festa della divinità, dette Palilia o Parilia cadeva il 21 aprile, che gli storici antichi considerano giorno della fondazione della città. Anche la festa legata alla lupa, i Lupercalia, animale sacro della città, aveva luogo sul Palatino. La grotta – santuario della lupa era collocata ai piedi del Palatino, verso il Tevere; da essa i sacerdoti – lupi, vestiti di pelli caprine, muovevano per fare il giro della collina, per purificarla ritualmente, frustando quanti venivano loro a tiro, specialmente le donne. Il rito assumeva così valore esplicito di cerimonia della fecondità. Il Lupercale e riti connessi vennero più tardi collegati con la leggenda dei mitici gemelli allattati dalla lupa.
I culti di Apollo e di Vesta furono invece fondati da Augusto nell’ambito stesso della sua casa. Grazie agli scavi realizzati tra il 1865 e il 1870, è ormai accertato che il tempio di Apollo fu iniziato da Augusto nel 36 avanti Cristo, subito dopo la battaglia di Nauloco contro Sesto Pompeo, e terminato nel 28 avanti Cristo dopo Azio. Il tempio era compreso nella parte pubblica della Casa di Augusto, con il quale era intimamente collegato. La Repubblica segnò soprattutto la trasformazione della collina in un quartiere residenziale della classe dirigente romana. Tra coloro che vi abitarono, Tiberio Sempronio Gracco, padre dei famosi tribuni, il celebre oratore Lucio Licinio Crasso, Cicerone e suo fratello Quinto e Tiberio Claudio Nerone, padre dell’imperatore Tiberio.
L’episodio fondamentale della storia del Palatino è che Augusto, che vi era nato, scelse di abitarvi, in un primo tempo nella casa di Ortensio, che fu poi da lui ampliata con l’acquisto di altre abitazioni. Di conseguenza, gli altri imperatori elessero anch’essi a loro dimora il Palatino, sul quale furono costruiti i palazzi di Tiberio, ampliato da Caligola, di Nerone, la Domus Aurea che si estendeva fin qui, dei Flavi, la cosiddetta Domus Flavia e la Domus Augustana, di Settimio Severo.
Alla fine dell’età imperiale la collina era occupata da un unico immenso edificio, che nel suo insieme costituiva l’abitazione degli imperatori. Il nome di Palatium, Palatino, passò così a indicare il palazzo per eccellenza, quello dell’imperatore, e successivamente diventò un nome comune, diffuso in tutte le lingue europee.
In questo modo, nella sontuosità dei palazzi imperiali, si creò il simbolo stesso del potere: per mille anni ogni idea di dominio universale s’incardinò alla residenza su questo colle, dove, infatti, si succedettero i monarchi Goti, gli esarchi di Bisanzio e i protagonisti del rinnovato Impero, detto Sacro e Romano, da Carlo Magno fino a Ottone III.
All’avvento del nuovo millennio il destino del colle mutò, e qui s’insediarono, fra le rovine e i campi destinati all’allevamento, chiese, conventi e fortezze di baroni in lotta. Nel 1542 il cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III, acquistò una serie di appezzamenti di terreno che occupavano le falde del Palatino, dal Foro alla cima del colle, fino a lambire il Circo Massimo. Quindi Alessandro incaricò il Vignola di disegnare e realizzare maestosi giardini che, oltre ad inglobare le rovine del Palazzo Imperiale, avrebbero ospitato piante non solo tipiche della macchia mediterranea, ma anche quelle provenienti dalle lontane Americhe, quali l’agave, la yucca, la mimosa, la passiflora e l’acacia. In molti casi queste piante venivano portate in Italia per la prima volta in questa occasione. Ma questi giardini avevano anche una parte destinata a vero e proprio orto dove per la prima volta vennero coltivati pomodori, peperoni, peperoncini e frutti come il fico d’India.
Giardini di Alessandro Farnese avevano diversi scopi: far rivivere, anche dal nome Horti Palatini Farnesiorum, i fasti e il ruolo dei grandi Horti delle magnifiche domus della Roma classica che ricoprivano il Pincio o l’Esquilino e affermare la raggiunta e consolidata posizione politica e istituzionale della famiglia Farnese, e che, proprio per questo motivo, venivano a sorgere lì dove aveva avuto sede il potere da Augusto in poi.
D’altronde l’area dove Alessandro Farnese decise di far sorgere gli Horti era sempre stata un’area verde poiché la terrazza della Domus Tiberiana era stata un giardino pensile già al tempo degli imperatori della dinastia julio – claudia. Questa tradizione fu mantenuta anche successivamente visto che anche i Flavi e gli Antonini ebbero lì i loro giardini, sia per mantenere una sorta di unità di stile e di continuità architettonica, ma anche perché i giardini e i boschi avevano, per la cultura romana, una propria intrinseca sacralità che aveva, in questo caso, il ruolo di aumentare la sacralità dell’imperatore e in qualche modo ne legittimava l’autorità.
La realizzazione degli Horti Farnesiani coprì un arco di tempo molto lungo e dopo il Vignola altri furono gli architetti che vi lavorarono come Giacomo del Duca e Girolamo Rainaldi.
Gli Horti Farnesiani furono dotati d’ingresso monumentale, decorato da un portale disegnato e realizzato dallo stesso Vignola, aprirono la strada alla consuetudine delle più importanti, ricche e nobili famiglie romane, di dare vita a ville con suntuosi giardini. Poco dopo sarebbe stata la volta della Villa Mattei, oggi Celimontana, quindi a Villa Medici, a villa Borghese, villa Ludovisi, villa Pamphilji, Villa Giulia e via di seguito fino all’Ottocento, in una gara continua tra collezionismo e sfarzo.
Per due secoli gli Horti Farnesiani furono proprietà della famiglia Farnese che continuò a modificarli e ad adattarli alle mode e alle esigenze dei vari tempi tanto che nel 1718 essi verranno trasformati in “Reale Azienda Agricola. Nel 1861 gli Horti furono acquistati da Napoleone III per avviare delle campagne di scavo condotte da Pietro Rosa. Nel 1870 i giardini furono acquistati dal Governo Italiano e il direttore degli scavi divenne Rodolfo Lanciani, a cui seguirà Giacomo Boni che si occupò, all’inizio del Novecento, del primo tentativo di restauro e reintegro dei giardini.
Grazie ad un accurato restauro iniziato nel 2013 e la cui prima fase termina proprio ora, aprile del 2018, viene data nuova vita agli Horti Farnesiani e si consente la visita, per la prima volta dopo più di 30 anni, alle Uccelliere, lì dove Alessandro raccolse ed espose la sua collezione di uccelli esotici e al Ninfeo della Pioggia che si mostra con il suo recuperato gioco d’acqua e le vasche sovrapposte.
Arricchisce il nuovo percorso di visita, ma solo fino al 28 ottobre, una mostra dal titolo “Il Palatino e il suo giardino segreto. Nel fascino degli Horti Farnesiani” che ha lo scopo di illustrare al visitatore proprio le trasformazioni a cui sono andati in contro, nel tempo, gli Horti.
Completano la mostra un prestito eccezionale del Museo Archeologico di Napoli: le due statue in marmo policromo del Barbaro inginocchiato e dell’Iside Fortuna, che avevano qui la loro collocazione originaria.
Nel Ninfeo della Pioggia sono invece collocate due giganteschi busti di Daci imprigionati che fino al Seicento facevano parte del criptoportico del ninfeo stesso e al suo interno viene realizzato un percorso multimediale che consente di comprendere come fossero gli Horti nel momento in cui essi furono realizzati.
Roma, 28 aprile 2018