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  1. Catacombe di Priscilla: alla scoperta delle più antiche raffigurazioni della Natività e dell’Adorazione dei Magi

    Le catacombe di Priscilla sono tra le più antiche di Roma. E le più belle. Con nuclei

    Catacombe di Priscilla.

    che risalgono anche al II secolo dopo Cristo e sono estese, su vari livelli, sotto Villa Ada e gran parte del quartiere Trieste. Oggi l’ingresso è nel palazzetto delle monache benedettine, che curano la custodia e le visite ai tesori sotterranei.
    Priscilla era una nobildonna romana, clarissima foemina, ossia moglie di un senatore, della famiglia degli Acilii Glabriones, imparentata con quella imperiale, che protesse i primi cristiani accogliendoli nelle cave di tufo scavate sotto la sua villa. Originata da vari nuclei indipendenti, la catacomba divenne in seguito un unico complesso costituito da un’area sopra terra con tombe, oratori, almeno due basiliche e da una vasta area sotterranea.
    Il nucleo più antico delle catacombe, la regione nota come il Criptoportico, è l’ipogeo gentilizio della villa degli Acilii del I secolo dopo Cristo che comprendeva una vasta parte di territorio che costeggiava questo tratto della via Salaria, piazza Acilia, deriva il suo nome da tali possedimenti. In questa area furono inizialmente sepolti i nobili membri della famiglia. Il criptoportico è formato da una serie di ambienti, il più importante dei quali è la cosiddetta “cappella greca” dove le decorazioni denunciano l’alto livello di cultura e di posizione socio-economica dei “padroni di casa” e ciò le rende profondamente diverse dalle altre catacombe romane. Sul soffitto c’è un dipinto del Pastor bonus, il Buon Pastore, che porta sulle spalle non il solito agnello ma un capretto e numerosi affreschi del III secolo dopo Cristo dove tornano con

    I Re Magi – affresco dalle Catacombe di Priscilla.

    insistenza le immagini del repertorio figurativo-simbolico dei primi cristiani: Giona e la balena, metafora della Resurrezione, l’Orante, ossia la figura femminile nell’atto di tenere alzate le braccia in segno di adorazione o preghiera.
    Tra gli affreschi di quest’area, in una piccola cappella sepolcrale, quella che forse è la più antica rappresentazione dell’Eucarestia, ossia dello “spezzare il pane” del sacerdote insieme ad altre persone riunite a mensa, come si usava in quei tempi antichissimi. Tra di essi un uomo anziano spezza il pane ed è presente anche una donna, la quale testimonia con la sua presenza come nell’antichità esistessero le diaconesse. Sulla tavola è presente anche del pesce, il cui nome greco era assunto dai cristiani come componimento acrostico del Salvatore.
    Da una cava di pozzolana ebbe origine, tra il II e il III secolo, una nuova regione cimiteriale. In queste gallerie delle catacombe di Priscilla c’è la più antica immagine della Madonna che si conosca, risalente al II secolo, ritratta seduta con il bambino in braccio accanto al profeta Balaam che indica una stella, e interessanti affreschi su fondo rosso cinabro rappresentanti episodi biblici.
    È possibile considerare “tombe di famiglia” alcuni piccoli ambienti che si aprono lungo le gallerie solitamente affrescati con cura con scene bibliche o di vita reale, come nel cubicolo dei Bottai o quello della velatio dove sono rappresentati i momenti più significativi della vita di una donna: matrimonio, maternità e morte. Ancora tra il III e il V secolo, il cimitero accolse i corpi di numerosi martiri e di alcuni pontefici.

    Tre giovani nella fornace – Catacombe di Priscilla.

    Al termine delle persecuzioni le catacombe di Priscilla furono valorizzate dal primo papa che, grazie a Costantino, non morì martire, Silvestro, e divennero la meta di processioni dirette, lungo la via Salaria, al cosiddetto Monte delle Gioie, sul lato sinistro di via Salaria. Là dove era l’antico ingresso delle catacombe, san Silvestro costruì e dedico una chiesa a Felice e Filippo, due dei martiri figli di santa Felicita, martire romana, la cui immagine è possibile vedere in un vecchio affresco nella chiesetta sotterranea che si incontra per prima nella visita.
    Nel 1802, durante il pontificato di Leone XII, nella catacomba fu ritrovata una tomba con un vasetto ovale contenente sangue. Il loculo era chiuso con tre tegole di terracotta, probabilmente recuperate da un’altra sepoltura, con dei simboli e una scritta che fu rapidamente interpretata, seppur in modo completamente errato. La traduzione proposta fu: Pax Tecum Philumena. E i poveri resti divennero le reliquie di Santa Filomena, vergine e martire cristiana, vissuta nel III secolo, il cui culto si diffuse in modo estremamente rapido nel mezzogiorno.

    Roma, 28 giugno 2018

  2. Meraviglie dell’Appia Antica. Mausoleo di Romolo e Villa di Massenzio

    Un tratto dell’Appia Antica

    Una passeggiata lungo l’Appia Antica è un’esperienza unica: la strada, completamente restaurata e riportata alla sua sezione originale, conserva per ampi tratti l’originale basolato.
    Lungo tutto il suo percorso si trovano importanti resti di monumenti funerari, torri e lapidi ombreggiati da grandi pini e cipressi secolari.
    Il tratto legato al periodo imperiale è definito per la sua straordinaria bellezza il “belvedere”. È qui che si allineano, tra il secondo e terzo miglio, il Mausoleo di Romolo, alle spalle del quale si ergono i resti della Villa e del Circo di Massenzio.
    I resti di epoca imperiale e pertinenti all’epoca di Massenzio sono di fatto l’ultima trasformazione di una costruzione più antica, ovvero una villa rustica tardo- repubblicana risalente al I secolo avanti Cristo, che si ergeva in posizione scenografica con vista ai Colli Albani.
    Una prima trasformazione si ebbe in età giulio- claudia, I secolo dopo Cristo, e successivamente nel II secolo dopo Cristo subì una radicale modificazione a opera di Erode Attico che la inglobò nella sua enorme villa detta Pago Triopio. La proprietà passò poi nel demanio imperiale, e fu a questo punto che, all’inizio del IV secolo, Massenzio si fece costruire la villa, il circo e il mausoleo di famiglia.
    Oggi, allineato con la via Appia e con apertura su di essa, si scorge un imponente quadriportico in opera listata, che circonda il Mausoleo dedicato a Romolo, che non deve però essere identificato con il fondatore di Roma, ma con il figlio dell’imperatore Massenzio, morto a soli sette anni, nel 309 dopo Cristo. Romolo, qui effettivamente deposto, fu divinizzato dopo la morte. Successivamente, il mausoleo fu trasformato per ospitare tutti i membri della famiglia imperiale compreso Massenzio e dotato di una cella per i riti connessi al culto dell’imperatore stesso.

    Il mausoleo di Romolo

    Ma le più note rovine “massenziane” sono quelle riferibili a un circo che è il meglio conservato tra tutti i circhi costruiti a Roma. Qui, persino i dettagli, come le anfore che servono a alleggerire il peso delle volte nella costruzione, sono ancora visibili. Il circo per le corse dei carri, che aveva una forma ad ippodromo, lungo 520 metri e largo 92, era di ridotte dimensioni perché era ad uso privato. Esso era infatti destinato a d accogliere l’imperatore, la sua famiglia e la corte imperiale. Oggi si stima che la capacità del circo fosse di 10.000 spettatori contro i 15.000 che poteva contenere il Circo Massimo. Sulla spina del circo troneggiava l’obelisco proveniente dal Tempio di Iside in Campo Marzio che successivamente Bernini collocherà al centro di Piazza Navona a completamento della Fontana dei Quattro Fiumi.
    La sconfitta di Massenzio, a opera di Costantino, determinò probabilmente il precoce abbandono dell’impianto, al punto che si pensa che la struttura non sia stata neppure mai usata da Massenzio, e il fondo passò nel Patrimonium Appiae, citato già al tempo di papa Gregorio I, alla fine del IV secolo, tra i patrimonia ecclesiastici. La grande tenuta passò poi ai Conti di Tuscolo, poi ai Cenci e ancora ai Mattei ai quali si riferiscono i primi scavi, nel XVI secolo. A metà del Settecento, una nuova costruzione rustica fu addossata al pronao della tomba di Romolo; il resto del complesso antico, allora indicato come Circo di Caracalla, era pressoché totalmente interrato, se nel 1763 Giuseppe Vasi, architetto e vedutista, poteva descriverlo così: «Rimane solamente di questo Circo, che da alcuni viene stimato per opera di Gallieno, un masso di materia laterizia che era l’ingresso principale, ed il piantato d’intorno al Circo, in mezzo del quale fu ritrovato l’obelisco egizio che ora si vede sul nobilissimo fonte di piazza Navona». Poco dopo, nel 1825, la tenuta fu acquisita da Giovanni Torlonia, che una ventina d’anni prima aveva già comprato la tenuta di Roma Vecchia e il relativo marchesato. Fu in quell’occasione che furono condotti nel complesso i primi scavi sistematici voluti dal Torlonia, allora ancora solo duca di Bracciano, ma suggeriti, nei modi e nella finalizzazione, dall’archeologo Antonio Nibby. Alla fine di otto mesi di difficile scavo, in un terreno – annota il Nibby nella sua Dissertazione – «maligno e sì duro che il tufo stesso sarebbe sembrato più molle», il circo era interamente riemerso fino alla Porta Trionfale sulla via detta Asinaria.

    I resti del circo di Massenzio sull’Appia Antica

    E proprio nei pressi di quella porta furono trovate due iscrizioni, una delle quali indicava Massenzio come committente e il figlio Romolo come dedicatario del monumento.
    Nel descrivere lo scavo, Nibby nota minuziosamente la mediocre qualità delle murature e delle stesse lastre di marmo delle iscrizioni, che datano perciò al IV secolo. Egli sottolinea, inoltre, come la fabbrica non sia mai stata restaurata, in antico. I Torlonia continuarono poi a far scavare lungo tutto l’Ottocento. Il complesso archeologico fu infine acquisito per esproprio dal Comune di Roma nel 1943.
    Il complesso di Massenzio, che doveva essere simile al Pantheon, fu studiato dai più grandi architetti del passato, da Sebastiano Serlio a Raffaello; il Palladio si ispirò alla tomba di Romolo, applicandole il lanternino e altri elementi barocchi, quando costruì le sue celebri ville. Tutto ciò rende l’idea del senso di continuità con cui gli architetti del Rinascimento studiavano i monumenti antichi, e dell’abilità tecnica che era riconosciuta in queste grandi opere.
    Entrando nel casale settecentesco è ben visibile l’interno del pronao colonnato; il mausoleo era costituito da due piani, dei quali resta ora solo l’inferiore: si tratta della camera funeraria, e consiste di un ambiente circolare con al centro un enorme pilastro; nel muro perimetrale si aprono delle nicchie, alternativamente rettangolari e semicircolari, nelle quali erano collocati i sarcofagi dei defunti.
    Anche nel pilastro centrale si aprono otto nicchie disposte secondo lo stesso schema.

    Tomba dei Servili.

    Quasi interamente scomparso è l’ambiente superiore, destinato alla celebrazione pubblica del figlio divenuto “Divo”, “Divo Romolo” recita l’iscrizione del circo, assunzione che era possibile solo agli imperatori, secondo modelli di origine orientale. Il sepolcro doveva essere infine coperto da una grandiosa cupola, e fu probabilmente rappresentato anche in un gruppo di monete coniate da Massenzio in onore del figlio divinizzato. Di tutto questo resta una terrazza pavimentata in sampietrini moderni.
    Addossato al lato Sud – Est del recinto troviamo il cosiddetto sepolcro dei Servilii che, nonostante fosse molto più antico della tomba di Romolo, è probabilmente di età augustea, era comunque un edificio sacro e quindi fu rispettato. Il sepolcro è costituito da un basamento quadrato in calcestruzzo sormontato da un tamburo a nicchie, al cui interno la camera funeraria, sufficientemente ben conservata, è decorata da stucchi.

    Roma 11 giugno 2018

  3. Foro Romano II: l’Età repubblicana

    La caduta della monarchia e la specializzazione monumentale del centro cittadino con la costruzione delle grandi basiliche consolari. La realizzazione del Comizio

    La cacciata di Tarquinio il Superbo

    dove si decidevano le sorti dello Stato, i templi, i portici, il grande piano monumentale di Giulio Cesare. Fino alle terribili vicende seguite alle Idi di Marzo raccontate sul luogo del rogo del grande dittatore romano.
    È quanto racconterà il secondo appuntamento al Foro Romano, dopo quello dedicato alla Roma arcaica e regia.
    Secondo la tradizione, con la cacciata dei Tarquini, attorno al 509 avanti Cristo, aveva fine a Roma la monarchia e a essa sottentrava la Repubblica. La caduta della monarchia era stata opera del patriziato che, concentrando nelle proprie mani tutti i poteri politici e militari e tutte le dignità religiose, ebbe il sopravvento all’interno della neonata repubblica. La conseguenza fu il rafforzamento del potere centrale dello Stato con la creazione di due magistrati supremi, detti pretori e poi consoli, che raccolsero l’eredità dei poteri politico-militari degli antichi re. Eletti dal popolo, riunito nei Comizi Centuriati, venivano confermati dai Comizi Curiati che ne sanzionavano l’imperium. Altri importanti magistrati erano i questori, incaricati delle inchieste giudiziarie e dell’amministrazione dell’erario pubblico. Il senato, che già formava il consiglio reale, si trasformò nel consiglio dei consoli, i cui membri venivano nominati a vita come prima erano nominati i re.
    Infine, il pontifex maximus, capo del collegio dei pontefici, ereditò gran parte delle funzioni religiose del re. Tutti i collegi sacerdotali esistenti al tempo del re rimasero anche nell’età repubblicana, anche se quello dei pontefici primeggiò tanto da diventare un formidabile strumento di dominio nelle mani del patriziato. I loro responsi tennero luogo di leggi.

    Tempio di Giove Capitolino – Ricostruzione.

    Il passaggio dall’età regia all’età repubblicana corrisponde all’inaugurazione del Tempio di Giove Capitolino e all’inizio della compilazione dei consoli: è quanto confermato dai risultati di scavi relativamente recenti. L’antico edificio della Regia, nel quale la tradizione riconosceva la casa di Numa, distrutta da un incendio, fu ricostruita in nuove forme proprio alla fine del VI secolo avanti Cristo.
    La cacciata dei Tarquini non costituisce però una rottura radicale nello sviluppo della città: la crisi più grave si avrà semmai poco prima della metà del V secolo dopo Cristo. Ciò si ricava, per quanto riguarda il Foro, dalla costruzione, nei primi anni della Repubblica, di due importanti santuari: quello di Saturno, forse iniziato anch’esso in periodo regio sul luogo di un antichissimo altare della divinità, e quello di Castore e Polluce: in quest’ultimo caso, si tratta dell’evidente importanza di un culto greco, come dimostrano tra l’altro i nomi, gli stessi delle corrispondenti divinità elleniche. La scoperta a Lavinio di un’iscrizione antichissima, VI secolo avanti Cristo, con una dedica alle due divinità conferma la loro provenienza dalla Magna Grecia e la cronologia tradizionale. Come del resto la città, la seconda metà del V secolo avanti Cristo costituisce un periodo oscuro nella storia del Foro. Accanto ai vari racconti leggendari trasmessi dagli scrittori latini, almeno uno, come già accennato, si riconosce come storico e fondamentale: la creazione, verso la metà del secolo, di un corpo di leggi scritte, ispirate forse a modelli greci e inciso su tavole bronzee affisse ai Rostra nel Comizio. Si tratta di quelle celebri «XII Tavole» che

    I Galli in vista di Roma – Evariste Vital Luminais.

    formarono a lungo la base del diritto romano. Una grande vittoria, questa, dei plebei sui patrizi. Fino ad allora, la mancanza di leggi scritte determinava sentenze ingiuste a spese della classe plebea attraverso il pontefice massimo, espressione diretta del patriziato romano. Per ritrovare nel Foro un’attività edilizia degna di nota dobbiamo scendere fino al IV secolo avanti Cristo. Intono al 390 avanti Cristo ebbero luogo il saccheggio e l’incendio della città da parte dei Galli, i cui effetti sono stati probabilmente esagerati dalla tradizione antica, almeno a giudicare dalla mancanza pressoché totale di indizi archeologici dell’evento. Il Comizio fu ristrutturato una prima volta nel 338 avanti Cristo quando alla tribuna degli oratori furono affissi i rostri delle navi di Anzio – dai quali la tribuna stessa prenderà il nome di Rostra – e, la seconda volta all’inizio della Prima Guerra Punica, a opera probabilmente del console del 264 avanti Cristo di Marco Valerio Messalla.
    All’attività del vincitore dei Galli, Furio Camillo, è attribuita la costruzione, nel 367 avanti Cristo, del Tempio della Concordia, ai piedi del Campidoglio. Un’edicola alla stessa divinità fu dedicata nel 305 avanti Cristo presso il Volcanal, antichissimo santuario dedicato al dio Vulcano collocato nel Foro Romano, sopra il Comizio, nell’area Volcani, un’area all’aperto ai piedi del Campidoglio situata nell’angolo nord-occidentale del Foro Romano, dall’edile C. Flavio, sul progetto del grande Appio Claudio, il censore del 312 avanti Cristo, e varie statue furono erette nel Comizio nel corso dei secoli IV e III avanti Cristo. Sempre nel III secolo avanti Cristo risale il più antico mercato di generi alimentari, il Macellum, sorto a nord della piazza.

    Pianta del Foro Romano in Età Repubblicana.

    Ma il grande sviluppo edilizio del Foro si ebbe più tardi, dopo la fine della Seconda Guerra Punica. Con le guerre contro gli stati ellenistici Roma allarga il suo dominio anche nel settore orientale del Mediterraneo, che diviene ormai un lago romano. Le necessità urbanistiche della capitale di un impero trovano evidente corrispondenza nell’intensa attività edilizia, che trasforma in pochi decenni l’aspetto del Foro. Sorgono così nel II secolo avanti Cristo, al posto della più antica, che è della fine del III, ben quattro basiliche: la Porcia, la Fulvia-Aemilia, la Sempronia, l’Opimia, e vengono ricostruiti interamente i templi della Concordia e dei Castori, per ricordare solo i maggiori.
    All’inizio del I secolo avanti Cristo la ricostruzione sillana del Campidoglio fornì alla piazza un fondale monumentale, il Tabularium. Precedentemente, due basiliche, la Sempronia , costruita sul luogo della futura Iulia, e la Fulvia-Aemilia, avevano regolarizzato i lati meridionale e settentrionale della piazza, creando le premesse per una sistemazione organica generale, che conoscerà la sua conclusione logica nell’opera di Cesare e di Augusto. Ciò trova corrispondenza nel trasferimento delle funzioni pubbliche e giudiziarie dal Comizio, divenuto troppo piccolo, al Foro, dove ormai, a partire dalla seconda metà del II secolo avanti Cristo, si svolgono i comizi legislativi e parte dei processi, mentre parallelamente gran parte delle sue funzioni economiche trasmigrano altrove, in edifici appositamente costruiti: il mercato, Macellum, sarà ricostruito in forme monumentali dai censori del 179 avanti Cristo.
    Alla fine della Repubblica, quando Roma è divenuta capitale di un impero che si estende dalla Gallia alla Siria, l’antico Foro repubblicano appare ormai insufficiente alle funzioni di centro amministrativo e di rappresentanza della città. Il primo a dare inizio alla costruzione di un nuovo complesso monumentale, che è presentato

    Il Tempio di Castore e Polluce nel Foro Romano in Epoca Repubblicana.

    all’inizio come un semplice ampliamento dell’antico, è Giulio Cesare, fin dal 54 avanti Cristo. I successivi interventi del dittatore nell’antica piazza repubblicana sono radicali: scompare praticamente il Comizio, sostituito in parte dal Forum Iulium, mentre l’antica sede del Senato, la Cura Hostilia, ricostruita in una nuova posizione, si trasforma, significativamente, in un’appendice del nuovo Foro, Curia Iulia. La Basilica Giulia, ricostruzione assai più imponente dell’antica Sempronia, e il rifacimento della Basilica Fulvia-Aemilia concludono la ristrutturazione integrale dei dati lunghi della piazza.

    Roma, 24 maggio 2018

  4. Sant’Agata de’ Goti e l’arianesimo a Roma

    Raramente un monumento è in grado di raccontarci momenti della storia e dell’architettura poco conosciuti come nel caso della chiesa di Sant’Agata dei Goti.

    Sant’Agata de’ Goti

    Eppure questa chiesa, che si trova alle spalle della Banca d’Italia, in via Mazzarino, a metà strada fra Quirinale e Suburra, resta quasi sconosciuta a molti romani.
    La chiesa, ora affidata ai padri Stimmatini, non se ne fa un cruccio abituata come è stata nei suoi sedici secoli di storia a passare da momenti di considerazione ad altri di totale abbandono. Dire che la sua fondazione si perde nella notte dei tempi non è ripetere una frase fatta, visto che della sua nascita non si hanno notizie certe. Il primo documento è quando Recimero, un ufficiale dell’esercito romano, famoso per avere fatto e disfatto imperatori nella fase finale dell’impero romano di Occidente, negli anni fra il 467 e il 470 fa adornare timpano e abside di un mosaico raffigurante Cristo nella mandorla circondato dai 12 apostoli. Una raffigurazione musiva che in quegli anni viene particolarmente utilizzata dall’architettura cristiana. Tale iniziativa è sufficiente per far dire a Richard Krautheimer, il padre della storia dell’architettura cristiana antica, che la chiesa è del 470, datazione della quale non abbiamo certezze.
    Ma chi era Recimero? Anche su questo personaggio non si sa molto. Probabilmente

    Monogramma di Ricimero su una moneta coniata da Libio Severo.

    era un goto che, come tanti altri soldati, era entrato nel cosmopolita esercito romano e vi aveva fatto carriera. Nulla a che vedere con le cosiddette invasioni di quei secoli. Come tutti i goti era pure ariano, l’eresia sviluppatasi in oriente, in particolare per effetto della conversione alla dottrina di Ario da parte di Costanzo II, figlio di Costantino, che regnò a Bisanzio dopo la morte del padre. Tanto bastò perché intere popolazioni barbariche che vivevano oltre i confini nord orientali dell’impero che si convertirono in massa proprio in quei decenni aderissero al cristianesimo nella sua eresia ariana. Tale eresia nega la consustanzialità del Figlio con il Padre, contraddicendo la dottrina cristiana secondo la quale Dio fin dall’origine è anche Verbo, cioè una cosa sola di Figlio e Padre, come sostenuto dall’incipit del Vangelo di Giovanni.
    La dottrina venne condannata come eretica dal Concilio di Nicea del 325. Ciò non toglie che Recimero possa abbellire una chiesa ariana proprio a Roma. Perché il papato lo permette? Perché in quegli anni era in polemica con Bisanzio che non voleva riconoscere il primato romano, quindi il papa cercava di rafforzarsi con alleanze politiche in funzione anti-Bisanzio. Il caso di questa chiesa romana non resta isolato, ma qualche decennio più tardi porterà Teodorico ad abbellire la capitale occidentale dell’Impero passata a Ravenna di uno stupendo battistero ariano e della chiesa di Sant’Apollinare. Con la nostra chiesa sono questi i più famosi monumenti ariani rimasti in Italia.

    Organo – Sant’Agata de’ Goti.

    La chiesa di Sant’Agata dei Goti ha però anche un grande valore architettonico perché conserva la sua struttura originale. Essa sorge in una zona che conosce un grande sviluppo urbanistico dopo che Costantino aveva fatto costruire le sue terme sul Quirinale. È a tre navate e le due laterali sono separate da quella principale da due file di sei colonne che sono ancora al loro posto, conservando nei secoli anche la loro colorazione, seppur restaurate centinaia di volte.
    Delle basiliche costantiniane conserva la struttura in formato ridotto: le file di colonne non sono da 12 ciascuna, come il numero degli apostoli, ma 12 in tutto.
    La fortuna della chiesa prosegue fino al 535 quando cambia la situazione politica: il papato si pacifica con Bisanzio e Giustiniano avvia la disastrosa guerra gotica contro gli ostrogoti che nel frattempo si erano insediati in Italia. La guerra termina con la sconfitta dei goti nel 553, sconfitta che coincide con l’abbandono della chiesa e la sua prima caduta in disgrazia. Si riprenderà solo nel 592 quando il papa Gregorio Magno la riconsacra come chiesa cattolica dedicandola ai santi Sebastiano ed Agata, la martire uccisa a Siracusa nel 251.

    Sant’Agata de’ Goti.

    Altre tappe fondamentali sono quando la chiesa, nei secoli XI e XII, diventerà sede di un cenobio benedettino, per tornare nel XIII al clero secolare. Nei secoli successivi verrà soppressa la parrocchia e la chiesa verrà affidata dapprima all’ordine religioso degli Umiliati per passare poi ai monaci di Montevergine.
    Il Cinquecento è il secolo di importanti interventi nella chiesa ad opera di cardinali, fino a che nel Seicento non diviene titolo di importanti cardinali della famiglia Barberini che ne commissionano il soffitto e le pitture della navata centrale come le vediamo oggi, con le Storie di Sant’Agata attribuite a Paolo Gismondi detto Paolo Perugino che del ben più noto pittore del ‘400 ha solo il nome. Notevole anche il ciborio, con quattro colonne in splendido pavonazzetto ed elementi cosmateschi, frutto del restauro ricostruttivo operato nel 1932 dalla Banca d’Italia quando occupò parte dell’annesso convento.