Le catacombe di Priscilla sono tra le più antiche di Roma. E le più belle. Con nuclei
che risalgono anche al II secolo dopo Cristo e sono estese, su vari livelli, sotto Villa Ada e gran parte del quartiere Trieste. Oggi l’ingresso è nel palazzetto delle monache benedettine, che curano la custodia e le visite ai tesori sotterranei.
Priscilla era una nobildonna romana, clarissima foemina, ossia moglie di un senatore, della famiglia degli Acilii Glabriones, imparentata con quella imperiale, che protesse i primi cristiani accogliendoli nelle cave di tufo scavate sotto la sua villa. Originata da vari nuclei indipendenti, la catacomba divenne in seguito un unico complesso costituito da un’area sopra terra con tombe, oratori, almeno due basiliche e da una vasta area sotterranea.
Il nucleo più antico delle catacombe, la regione nota come il Criptoportico, è l’ipogeo gentilizio della villa degli Acilii del I secolo dopo Cristo che comprendeva una vasta parte di territorio che costeggiava questo tratto della via Salaria, piazza Acilia, deriva il suo nome da tali possedimenti. In questa area furono inizialmente sepolti i nobili membri della famiglia. Il criptoportico è formato da una serie di ambienti, il più importante dei quali è la cosiddetta “cappella greca” dove le decorazioni denunciano l’alto livello di cultura e di posizione socio-economica dei “padroni di casa” e ciò le rende profondamente diverse dalle altre catacombe romane. Sul soffitto c’è un dipinto del Pastor bonus, il Buon Pastore, che porta sulle spalle non il solito agnello ma un capretto e numerosi affreschi del III secolo dopo Cristo dove tornano con
insistenza le immagini del repertorio figurativo-simbolico dei primi cristiani: Giona e la balena, metafora della Resurrezione, l’Orante, ossia la figura femminile nell’atto di tenere alzate le braccia in segno di adorazione o preghiera.
Tra gli affreschi di quest’area, in una piccola cappella sepolcrale, quella che forse è la più antica rappresentazione dell’Eucarestia, ossia dello “spezzare il pane” del sacerdote insieme ad altre persone riunite a mensa, come si usava in quei tempi antichissimi. Tra di essi un uomo anziano spezza il pane ed è presente anche una donna, la quale testimonia con la sua presenza come nell’antichità esistessero le diaconesse. Sulla tavola è presente anche del pesce, il cui nome greco era assunto dai cristiani come componimento acrostico del Salvatore.
Da una cava di pozzolana ebbe origine, tra il II e il III secolo, una nuova regione cimiteriale. In queste gallerie delle catacombe di Priscilla c’è la più antica immagine della Madonna che si conosca, risalente al II secolo, ritratta seduta con il bambino in braccio accanto al profeta Balaam che indica una stella, e interessanti affreschi su fondo rosso cinabro rappresentanti episodi biblici.
È possibile considerare “tombe di famiglia” alcuni piccoli ambienti che si aprono lungo le gallerie solitamente affrescati con cura con scene bibliche o di vita reale, come nel cubicolo dei Bottai o quello della velatio dove sono rappresentati i momenti più significativi della vita di una donna: matrimonio, maternità e morte. Ancora tra il III e il V secolo, il cimitero accolse i corpi di numerosi martiri e di alcuni pontefici.
Al termine delle persecuzioni le catacombe di Priscilla furono valorizzate dal primo papa che, grazie a Costantino, non morì martire, Silvestro, e divennero la meta di processioni dirette, lungo la via Salaria, al cosiddetto Monte delle Gioie, sul lato sinistro di via Salaria. Là dove era l’antico ingresso delle catacombe, san Silvestro costruì e dedico una chiesa a Felice e Filippo, due dei martiri figli di santa Felicita, martire romana, la cui immagine è possibile vedere in un vecchio affresco nella chiesetta sotterranea che si incontra per prima nella visita.
Nel 1802, durante il pontificato di Leone XII, nella catacomba fu ritrovata una tomba con un vasetto ovale contenente sangue. Il loculo era chiuso con tre tegole di terracotta, probabilmente recuperate da un’altra sepoltura, con dei simboli e una scritta che fu rapidamente interpretata, seppur in modo completamente errato. La traduzione proposta fu: Pax Tecum Philumena. E i poveri resti divennero le reliquie di Santa Filomena, vergine e martire cristiana, vissuta nel III secolo, il cui culto si diffuse in modo estremamente rapido nel mezzogiorno.
Roma, 28 giugno 2018