Il fascino di una delle passeggiate archeologiche più classiche di Roma, quella che si svolge nel tratto dell’Appia Antica tra il IV e il V miglio detto proprio per questo il “belvedere”, sarà questa volta accresciuto dal camminare tra rovine antiche di imponente bellezza durante l’eclissi totale di Luna più lunga del secolo in corso.
Nella notte fra il 27 e il 28 luglio 2018, infatti, si verificherà una lunghissima eclissi, della durata di un’ora e quarantatré minuti. Il fenomeno completo, dall’entrata all’uscita della Luna dal cono d’ombra della Terra, durerà quasi quattro ore. In Italia esso sarà visibile a partire dalle 22.24 del 27 luglio alle 2.19 del 28 luglio. Durante l’eclissi la Luna assumerà un particolare colore rosso grazie alla posizione particolare occupata sia dalla Luna stessa che dalla Terra, che alla presenza dei raggi rifratti del Sole che entrano in atmosfera.
Il tratto tra il IV e il V miglio dell’Appia Antica, oggetto d’interesse dei viaggiatori in maniera continua, ricostruito grazie all’opera di Luigi Canina e interventi di Antonio Canova, che si occuparono non solo della costruzione/ricostruzione effettiva di alcuni monumenti, ma anche del recupero di frammenti archeologici e del loro reintegro, inizia subito dopo la tomba – mausoleo di Cecilia Metella e raggiunge l’incrocio tra Via Erode Attico e Tor Carbone. Di fatto lungo questo tratto della via Appia erano presenti numerosi monumenti funerari di tipo diverso, eretti a partire dall’età repubblicana fino all’età tardo imperiale, e sia Canina che Canova seguirono il criterio di preservare anche scenograficamente questo susseguirsi di tombe, piccoli mausolei, colombari, e are. La seduzione scenografica è ancora maggiore poiché questo è il tratto più lungo della via che conserva gli originali basoli romani.
L’itinerario parte dalla tomba – mausoleo di Cecilia Metella, figlia del console Quinto Metello Cretico, e nuora del triumviro Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi della Roma tardo-repubblicana, che aveva accumulato la sua fortuna acquistando a basso prezzo i beni delle vittime delle proscrizioni di Silla. Cecilia assunse, però, una fama postuma. È dovuto a lei, o per lo meno al fatto che la sua afflitta famiglia le avesse innalzato tra il 30 e il 20 avanti Cristo un così vasto e solido monumento funebre, in un punto strategico e sopraelevato, e quindi visibile anche a distanza, se l’antica strada consolare abbia conservato il suo carattere e molti dei suoi monumenti.
La tomba è costituita da una base a pianta rettangolare sormontata da un tamburo cilindrico. Della base, alta 8 metri, rimane solo il nucleo in calcestruzzo di selce, mentre del rivestimento si vedono solo i blocchi di travertino che non fu conveniente asportare; il cilindro, alto ben 11 metri e dal diametro di 30 metri, è ancora rivestito di travertino; la sua forma lo collega al genere architettonico del mausoleo di tradizione ellenistica, che proprio in quel periodo raggiungeva a Roma la massima diffusione. Sul tamburo un’iscrizione in marmo pentelico ricorda brevemente Cecilia Metella, mentre un fregio in rilievo rappresenta dei trofei di guerra, insieme a bucrani sormontati da festoni di foglie e frutta. Proprio dai crani bovini che decorano il festone la zona ha assunto il curioso toponimo di “Capo di Bove”.
La sommità del tamburo è delimitata da una cornice, al di sopra della quale, si trova il ballatoio con la merlatura medievale; è però ancora parzialmente visibile la merlatura antica in travertino, che, assieme ai fregi guerreschi, richiama la tradizione italica che voleva il sepolcro simile ad una fortezza. Sul cilindro si trovava anche un tumulo di terra a forma di cono rovesciato, dove probabilmente crescevano dei cipressi, tipologia caratteristica dei sepolcri etruschi, che a Roma ritroviamo nel contemporaneo mausoleo di Augusto.
Nel 1300, papa Caetani, Bonifacio VIII, donò la tomba di Cecilia Metella ai suoi familiari, che, sfruttando il fatto che la tomba sorgeva in posizione dominante, la trasformarono in roccaforte, così da poter controllare il traffico lungo l’Appia ed esigere il pagamento del pedaggio da tutti i viaggiatori. Le grosse mura sgretolate, allietate da biforette medievali che si trovano da ambo i lati della tomba, sono tutto ciò che sopravvive della roccaforte dei Caetani. Nel 1300 questi costruirono l’ormai diroccata chiesa gotica di fronte al mausoleo, dedicata a san Nicola.
Subito dopo l’imponente monumento di Cecilia Metella si erige la Torre di Capo Bove, cioè ciò che resta di un sepolcro su cui si può leggere una targa che ricorda gli studi fatti dall’astronomo Angelo Secchi nel 1865, e che recita: “Nell’anno 1865 Padre Angelo Secchi sulla traccia del P.Boscowich rigorosamente misurava lungo la via Appia una base geodetica e nell’anno 1870 collo stabilire presso i due estremi di essa questo punto trigonometrico e l’altro alle Frattocchie costituiva una base sulla quale fu verificata la rete geodetica italiana ordita nell’anno 1871 dagli ufficiali del Corpo di Stato Maggiore per la misura del grado europeo”.
Seguono poi alcune realtà quali il Complesso di Capo di Bove che oltre un edificio moderno, tempestato di reperti archeologici, che ospita la biblioteca dedicata ad Antonio Cederna, conserva anche i resti di un importante impianto termale.
Poco oltre, dopo due ville private e il Mausoleo degli Equinozi, si erge la tomba del liberto Marco Servilio Quarto e la così detta tomba di Seneca, entrambi restaurati da Antonio Canova.
La tomba di Seneca è in realtà un pilastro che sorge in corrispondenza del punto in cui si ergeva la pietra miliare che segnava il IV miglio dell’Appia. Qui Seneca, il poeta e precettore di Nerone, fece costruire la sua villa, e qui Nerone, ritenendolo una dei principali attori della congiura dei Pisoni, lo fece raggiungere dai messi imperiali e lo indusse al suicidio. Canova aveva decorato il pilastro con numerosi reperti raccolti nelle immediate vicinanze. Oggi la maggior parte di essi sono stati trafugati e sopravvive solo una testa di leone.
Passeggiando tra steli antiche e ville moderne le cui mura esterne mostrano spesso lacerti di epoca antica si incontra il sepolcro dei figli di Sesto Pompeo Giusto. Anche in questo caso il pilastro è stato innalzato da Canova e su di esso ha trovato collocazione un’epigrafe ricostruita quasi per intero. In essa, in esametri, Sesto Pompeo Giusto ricorda i suoi figli morti prematuramente.
Ancora più avanti una tomba di età sillana restaurata dal Canina, come la così detta tomba di Ilario Fusco, caratteristica perché sotto il frontone triangolare si possono vedere i calchi di cinque busti, quelli originali sono esposti al Museo Nazionale Romano. Al centro una coppia di sposi mostrati nell’atto della Dextrarum Iunctio, il momento culminante del matrimonio romano, e una giovinetta, interpretata come la loro figlia, mentre ai lati si vedono due busti di due figure maschili.
Canina ricostruì la tomba di Tiberio Claudio Secondino, appartenuta a una famiglia di liberti dell’imperatore Claudio, dove erano sepolti il capofamiglia Tiberio Claudio Secondino, divenuto esattore di banca, messo e copista, sua moglie Flavia Irene e due figli, e il poco distante mausoleo dei Rabiri, una tomba a forma di ara del I secolo dopo Cristo. Nell’edificio tombale Canina murò un rilievo rivenuto nei pressi, oggi sostituito da una copia mentre l’originale è esposto al Museo Nazionale Romano. Dall’iscrizione posta sul rilievo si trae l’informazione che i Rabiri fosse a sua volta una famiglia di liberti. L’iscrizione infatti restituisce i nomi di Gaio Rabirio Ermodoro, liberto di Postumo, di sua moglie Rabiria Demaris, e di Usia Prima, che si definisce sacerdotessa di Iside riconoscibile per la presenza dei relativi simboli del culto egizio. Gaio Rabirio e sua moglie sono ritratti in maniera che suggerisce una separazione dal terzo personaggi. Essi sono i titolari del sepolcro, e non sono ritratti fedelmente, ma con caratteristiche personali piuttosto generiche com’è tipico di questa fase tardo – repubblicana. La datazione è confermata dalla capigliatura della donna che è una variante dell’acconciatura con trecce e cerchio tipica dell’età repubblicana.
Il terzo personaggio è un ritratto molto diverso dai precedenti, innanzitutto perché la donna è ottenuta rilavorando un busto maschile togato; anche lo sfondo del ritratto è stato rilavorato e abbassato di livello per poter inserire nella rappresentazione il sistro, strumento musicale che accompagna sempre la rappresentazione di Iside, e la patera, il piatto delle offerte rituali a Iside stessa. Probabilmente questa aggiunta postuma, poiché sia la capigliatura di Usia Prima che le tecniche di lavorazione fanno collocare il rilievo alla prima metà del I secolo dopo Cristo, è un riferimento al sacerdozio della defunta Rabiria Demaris.
Poco prima del bivio tra Via Erode Attico e Tor Carbone si trova poi un altro monumento caratteristico: la tomba del Frontespizio, una tomba a torre a cui nell’Ottocento fu aggiunto un timpano triangolare e il calco di un rilievo, l’originale è al Museo Nazionale Romano, che mostra quattro busti: al centro una coppia ripresa nell’atto della Dextrarum Iunctio, e ai suoi lati i busti di un uomo e una donna più giovani. Il rilievo originale risale al I secolo avanti Cristo.
Roma, 5 luglio 2018