La mostra a cura di Daniela Fonti, responsabile scientifico dell’Archivio dell’Opera di
Duilio Cambellotti di Roma e Francesco Tetro, ideatore e direttore del Civico Museo “Duilio Cambellotti” di Latina [1], raccoglie circa duecento opere del pittore, scultore, incisore, designer, ceramista e scenografo romano Duilio Cambellotti, 1876-1960, provenienti da ambedue gli istituti regionali [2], apportando un nuovo, imprescindibile contributo alla conoscenza della sua poliedrica produzione.
Appresi i rudimenti dell’arte sin dall’età di dieci anni, dal padre scultore in legno, tra il 1893 e il 1895 Cambellotti frequentò il Museo Artistico Industriale sotto la guida di Alessandro Morani e Raffaello Ojetti. Tra la seconda metà degli anni novanta e il primo decennio del Novecento si affermò quale disegnatore di manifesti, lampade, specchi e cornici per ditte italiane e straniere, iniziando a collaborare con celebri riviste, quali Novissima, Il Tirso e La Casa, e autori di opere illustrate, come De Fonseca e Amantea, e a realizzare scenografie e costumi per spettacoli teatrali, tra cui La nave di D’Annunzio.
Interessato alla xilografia a partire dal decennio seguente, sino agli anni cinquanta prese parte a una serie di esposizioni nazionali e internazionali, Vetrata Artistica, Internazionale di Arti Decorative di Monza, Società Amatori e Scultori di Roma, e offrì il suo contributo alla decorazione e all’arredamento di chiese e palazzi pubblici, mantenendo sempre saldo il suo legame con il mondo del teatro, come testimoniato dalla progettazione e realizzazione delle scenografie e dei costumi per gli spettacoli classici del Teatro greco di Siracusa [3].
Se i rapporti con l’architetto e archeologo Giacomo Boni lo avvicinarono alla
fotografia, alla grafica pubblicitaria, ma anche alla realtà sociale della campagna romana e dell’Agro pontino, gli insegnamenti del Morani lo resero sensibile al recupero delle tecniche più antiche, dall’affresco, alla vetrata, al mosaico, all’encausto [4]. E se nella produzione ceramica si percepiscono influenze dalla tradizione popolare italiana e dal Medio e Vicino Oriente [5], nei rilievi, nei cofanetti in legno, nei vasi, nelle medaglie e nelle altre opere plastiche emerge quell’ispirazione classica, contaminata dalle teorie dell’“Arts and Crafts” inglese, che riflette la sua concezione dell’arte quale “mezzo per la diffusione della cultura presso le masse contadine”, in accordo con la funzione sociale dell’arte secondo Morris. [6].
Le opere in mostra consentono di ripercorre le tappe dell’evoluzione creativa di uno dei maggiori esponenti italiani dell’Art Nouveau, analizzandone “l’ossessione per la tecnica e l’ambizione verso l’opera d’arte totale” [7]: dalle sculture in terracotta, gesso e bronzo; ai costumi, modellini e manifesti per il teatro; ai mobili, alle oreficerie e ceramiche; agli elementi d’arredo e alle vetrate artistiche; agli schizzi, bozzetti e studi per film; sino alle stampe e illustrazioni, ad esempio per la Divina Commedia. Del Liberty, in particolare, Cambellotti condivideva «la ricerca della bellezza nella funzione dell’oggetto utile, le ragioni del rapporto che lega le arti cosiddette maggiori e le applicate in una visione unitaria di stile che sia lo specchio di una civiltà umanistica, rispettosa del valore dell’individuo e della collettività» [8].
Una costante nella produzione di Duilio Cambellotti, le vetrate policrome,
rappresentano il principale traît-d’union con l’affascinante contesto dell’esposizione: oltre infatti a quelle per la Prima Mostra della Vetrata, 1912, e per il santuario di Montevergine, 1957-59, l’artista mise a punto tra il 1914 e il 1921 le celebri vetrate delle “Due civette” e dei “Tre ovali di edera” e il “Vetratone a soggetto: l’uva”, assieme ad altre disperse, alcune delle quali rinvenute ed esposte in mostra, prodotte nel laboratorio del vetraio Cesare Picchiarini e installate nella Casina delle Civette, la Capanna Svizzera a cui è stato dato il nome attuale proprio grazie alle vetrate con il soggetto della civetta disegnate da Cambellotti, insieme alle prove di Umberto Bottazzi, Vittorio Grassi e Paolo Paschetto [9]. Dimora del principe Giovanni Torlonia Jr. sino alla sua morte nel 1938, la Casina è il risultato di trasformazioni e integrazioni alla Capanna ottocentesca, realizzata ai margini del parco e pertanto considerata un luogo di evasione dagli impegni ufficiali. Edificata nel 1840 da Giuseppe Jappelli per Alessandro Torlonia, dal 1908 quest’ultima subì la radicale trasformazione che le fece assumere l’aspetto di un Villaggio Medioevale, per via delle logge, dei porticati e delle variopinte decorazioni in maioliche e vetrate.
Il Casino Nobile non è che l’esito della ristrutturazione ed estensione dell’antica Vigna Colonna, eseguite da Giuseppe Valadier tra il 1802 e il 1806 per volontà di Giovanni Torlonia, che aveva acquisito la struttura sul finire del secolo precedente; concepito quale palazzo principale, doveva espletare le funzioni di rappresentanza. Il Casino dei Principi deve egualmente il suo aspetto attuale alla ristrutturazione, in stile neocinquecentesco, operata da Giovan Battista Caretti tra il 1835 e il 1840 sul piccolo, settecentesco, edificio rurale della Vigna Abati; in maniera speculare alla Casina delle Civette, l’edificio fu adibito dallo stesso Alessandro alle attività
mondane [10]. Dispiegandosi nei tre Casini della Villa, la mostra stabilisce tra i principali edifici storici del complesso un inevitabile filo conduttore attraverso la figura del Cambellotti: un «genio realistico e visionario», che combinando «mito, fiaba e realtà contemporanea» [11] aveva inteso «rovesciare» la tradizionale «gerarchia delle arti» prendendo le distanze dalla «bellezza decorativa fine a se stessa» e restituendo all’arte uno spessore morale e sociale [12].
Note
[1] http://www.museivillatorlonia.it
[2] Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele in Duilio Cambellotti. Mito, sogno e realtà, catalogo della mostra (Roma, Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi, Casino Nobile e Casina delle Civette, 6 giugno-11 novembre 2018), a cura di D. Fonti e F. Tetro, Cinisello Balsamo 2018, s.n.
[3] Duilio Cambellotti. Pitture, sculture, opere grafiche, vetrate, scenografie (Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma), catalogo a cura di M. Manzella, F. Bellonzi, M. Quesada, Roma 1983, pp. 11-12
[4] F. Tetro, Ideologia e iconografia. Paesaggio e storia, culto del “Miles Agricola”, in Duilio Cambellotti. Mito, sogno e realtà… (cit.), pp. 28-43 (in part. p. 29)
[5] E. Longo, Cambellotti, la ceramica e le fonti di ispirazione, in Duilio Cambellotti. Mito, sogno e realtà… (cit.), pp. 110-117 (in part. p. 111)
[6] M. Quesada, Introduzione alla scultura di Cambellotti, in Id., Duilio Cambellotti scultore & l’Agro Pontino. Ceramiche, bronzi, gessi, opere, progetti, frammenti, Roma 1984, pp. 13-22 (in part. p. 15)
[7] Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele (cit.)
[8] F. Bellonzi in Duilio Cambellotti. Pitture, sculture, opere grafiche, vetrate, scenografie… (cit.), p. 8
[9] A. Campitelli, Grafica e luce: bozzetti, cartoni, vetrate, in Duilio Cambellotti. Mito, sogno e realtà… (cit.), pp. 60-67
[10] http://www.museivillatorlonia.it
[11] N. Muratore, I. De Stefano, Realtà e fantasia: la produzione grafica di Duilio Cambellotti, in Duilio Cambellotti. Mito, segno e immagine, catalogo della mostra (Roma, Galleria d’Arte F. Russo, 18 novembre-16 dicembre 2006) a cura di D. Fonti, N. Muratore, I. De Stefano, Roma 2006, pp. 79-83 (in part. p. 80)
[12] A.M Damigella, Caratteri e temi dell’arte di Cambellotti, in Cambellotti (1876-1960), catalogo della mostra (Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, 24 settembre 1999-23 gennaio 2000), a cura di G. Bonasegale e A.M. Damigella, Roma 1999, pp. 11-20 (in part. pp. 12-13).
Roma, 22 luglio 2018