In occasione della visita alla cappella funebre del Cardinal Bessarione nella chiesa dei santi Apostoli, Fabio Prosperi ci propone una lettura degli affreschi. Una storia che intreccia la Storia.
“Non c’è oggetto più prezioso, non c’è tesoro più utile e bello di un libro. I libri sono pieni delle voci dei sapienti, vivono, dialogano, conversano con noi, ci informano, ci educano, ci consolano, ci dimostrano che le cose del passato più remoto sono in realtà presenti, ce le mettono sotto gli occhi. Senza i libri saremmo tutti dei bruti.”
Forse è proprio questo incredibile stralcio di lettera la chiave per entrare in sintonia con le corde dell’animo di Bessarione. L’immagine delle casse dei suoi libri, donati a Venezia, che vengono trasportate a bordo di barche che scivolano sulla laguna verso la città del leone di San Marco, evoca l’arca che pone in salvo questo inestimabile retaggio che passa di mano dall’Oriente bizantino all’Occidente umanista. Proprio quei libri, scampati al diluvio ottomano, andranno a costituire il fondo primo della Biblioteca Marciana, all’epoca in cui anche Novello Malatesta costituiva la sua biblioteca a Cesena.
Bessarione non fu solo questo, non fu solo uomo di lettere. Lo vediamo impegnato a fianco di Giovanni Paleologo al concilio di Ferrara nel tentativo di ricucire lo Scisma di Michele Cerulario, tentativo nel quale si prodigò come teologo nel dibattere la questione del Filioque e come oratore sapiente nonostante la giovane età: a trent’anni fu lui a pronunciare il discorso di apertura.
Cardinale di Santa Romana Chiesa, alto prelato del clero orientale passò al cattolicesimo occidentale probabilmente deluso dalla insensata resistenza del clero orientale che ancora una volta vanificò tanto lavoro di ricucitura, mantenne comunque l’abito di monaco basiliano ed ebbe la sua accademia proprio in Santi Apostoli, al tempo di Pomponio Leto e di Nicolò da Cusa.
Visse la tragedia della sua terra d’origine. Nel 1453 Costantinopoli era caduta nelle mani delle armate di Maometto II. E’ una notizia che è diffusa tramite le lettere dei mercanti , dei corrispondenti di Genova e di Venezia, che riecheggia tragica nelle lettere che i sapienti del tempo, gli Umanisti, si scambiano preoccupati….Enea Silvio Piccolomini, Nicola Cusano, Bessarione, Isidoro di Kiev, peraltro miracolosamente scampato all’eccidio. Ci si preoccupa di come arginare la marea ottomana che incombe quasi alle porte dell’Italia, che dilaga verso i Balcani, e si piange il crollo di quella miniera di cultura che la Grecia sapeva ancora essere. Si vorrebbe una crociata e ci si auspica una riscossa militare soprattutto dal re cristiano, il re di Francia, i cui antenati, il buon San Luigi per dirne uno, in tale impegno s’erano maggiormente distinti…..ma ormai chi aveva promosso tali azioni ora si crogiolava nell’ammirazione delle miniature dell’armorial du toison d’or o si esibiva nel teatro del giuramento del fagiano.
Parliamo però delle pitture che Bessarione volle lasciare come suo testamento “ideale”, giacchè ne lasciò uno più convenzionale, come vedremo più oltre.
Nel 1955 l’architetto Clemente Busiri Vici, la cui opera, ad esempio a Roma, osserviamo nelle architetture di varie chiese degli anni ’40, riceveva l’incarico per lavori di ristrutturazione all’interno dell’adiacente palazzo Colonna. Non andò come nella celebre scena dei lavori di scavo della metropolitana del film “Roma” di Federico Fellini. Sfondando quella che con i lavori settecenteschi era diventata una semplice intercapedine, vennero alla luce degli splendidi affreschi che lo stesso Busiri vici non solo rispettò, ma contribuì a studiare. Agli inizi del XV secolo la Basilica era caduta in grave stato di degrado. Martino V, appartenente alla famiglia Colonna che già da tempo occupava con la sua residenza quell’area, provvide ad un sommario restauro.
Il 14 Settembre 1464 Antoniazzo Romano sottoscriveva un impegno come frescante della cappella di San Michele Arcangelo ai Santi Apostoli su commissione del Cardinale Bessarione. Il 23 Agosto dell’anno seguente Antoniazzo s’impegnava a concludere detti affreschi. Lo Storico dell’arte Antonio Paolucci avverte però che probabilmente il ruolo di Antoniazzo fu limitato a figure di angeli e motivi vegetali, mentre le raffigurazioni storiche sarebbero da attribuirsi piuttosto a Lorenzo da Viterbo. Si è ipotizzata la presenza della mano di Melozzo da Forlì.
Bessarione voleva essere seppellito proprio in quella cappella: ne espresse la volontà nel testamento redatto in Venezia il giorno 17 Febbraio dell’anno 1464, ove si legge: “Item in angulo dextera partis intrando prope Cancellos sit sepulchrum meum”.
Con i rifacimenti settecenteschi la cappella fu praticamente murata. Probabilmente l’ultima menzione fu quella contenuta nel Compendio Historico della Ven.Basilica di SS. Dodici Apostoli di Roma… scritto dal padre Bonaventura Malvasia e pubblicato a Roma nel 1665: “La terza Cappella situata dalla sinistra parte dell’Altar maggiore era chiamata la Cappella di S.Michele,S.Gio.Battista, e di S.Eugenia
Fra tutte le Cappelle, che sono state,e sono di presente in questa sac. Basilica, questa du la più devotamente stimata, e riverita dalla […] del Cardinal Bessarione Vescovo Tuscolano, Patriarca Costantinopolitano, Titolare, e perpetuo Commendatore della sopradetta Basilica….
Ordinò che fosse dipinta, come fù essequito; sopra la volta vi era dipinto il Salvatore con li novi chori degli Angeli, più sotto la sac. Historia dell’Apparitione dell’Archangelo S.Michele nel Monte Gargano; più à basso finalmente la Natività di S.Gio.Battista; sopra la volta dell’arcone vi erano dipinti li quattro Evangelisti, li quattro Dottori della Chiesa Latina e li quattro della Chiesa Greca, le quali pitture dall’ingiuria del tempo, e dalla grande humidità havendo grandemente patito, sono andate continuamente cadendo e rovinandosi in tanto, che sforzato dalla necessità per abbellimento della Cappella se gli è dato di bianco.”
In un certo senso Antoniazzo Romano svolse le funzioni di notaro, mi si lasci la libertà del paradosso, di quello che doveva essere un vero e proprio testamento spirituale.
Il ciclo pittorico così come svolto in origine, rendeva con pienezza il pensiero del cardinale filosofo: gli angeli presenziano alla nascita di Cristo e del Battista, sono rappresentati così come il neoplatonico Dionigi pseudo-Areopagita li consegna al Medioevo, nelle nove gerarchie; le storie del Battista, il Cristo in gloria tra gli Angeli….tutto, salvo parte delle raffigurazioni delle gerarchie angeliche, portato via dalle frequenti inondazioni del Tevere, dal disastro del Lanzi, dalle imbiancature e dalle “ristrutturazioni” prima seicentesche e poi post- barocche. Così come non rimane traccia dei dottori delle due chiese, che avrebbero dovuto sugellare la riconciliazione tra Roma e Costantinopoli per la quale tanto Bessarione si era prodigato. Rimane però il ciclo delle apparizioni di San Michele Arcangelo, solo due delle quattro di cui parla Iacopo da Varagine nella Legenda Aurea, testo guida di tanti pittori fra cui Piero della Francesca.
La prima è quella relativa all’apparizione sul Monte Gargano. Vi si narra l’episodio di un toro sfuggito al padrone e che trova rifugio in una grotta sul monte Gargano; il padrone vorrebbe farla finita con quell’animale che già in precedenza doveva avergli creato dei fastidi, tende l’arco, scaglia frecce che come per miracolo invertono la traiettoria e tornano verso il malcapitato arciere. Quanto accaduto si rivelerà essere la manifestazione del volere dell’arcangelo Michele che, proprio nella grotta dove il toro si era rifugiato, fosse costruito un sacello a lui dedicato.
Il primo pannello è però solo il prodromo al vero argomento a cui Bessarione vuole arrivare. Il culto dell’Arcangelo era caro ai Normanni che lo veneravano presso Siponto nel Gargano già dall’epoca del Guiscardo, e ai Francesi che avrebbero finito con l’erigere quella costruzione splendida che sarà chiamata la Meraviglia d’Occidente. Nel secondo pannello, in cui è fin troppo evidente l’impiego di maggiori e migliori energie, si racconta appunto la leggenda di fondazione del santuario di Saint Michel au peril de la mer da parte del vescovo Oberto, con esplicite evidenze di filiazione della nuova costruzione rispetto alla prima in Puglia.
I re di Francia sono sempre stati i migliori promotori della Crociata, uno di loro, il buon San Luigi, crociato ben due volte, anche se sfortunato, è stato anche elevato alla gloria degli altari…..è dai re di Francia che ci si aspetta una nuova crociata. L’obiettivo dovrà essere la riconquista di Costantinopoli, col favore delle preghiere, e qui il secondo motivo, delle due chiese riunite rappresentate dai monaci basiliani, che vediamo salmodiare su di un codice, e dai francescani , che da allora risiedevano in Santi Apostoli.
Non succederà, salvo considerare Lepanto un secolo dopo, ma con assetti del tutto diversi.
BIBLIOGRAFIA
Per quanto riguarda la caduta di Costantinopoli:
AAVV – La caduta di Costantinopoli – Le testimonianze dei contemporanei – a cura di A.Pertusi 1976 Milano
AAVV – La caduta di Costantinopoli – L’eco nel mondo – a cura di A.Pertusi 1976 Milano
Per quanto riguarda l’influenza della caduta sull’arte:
S.Ronchey – L’enigma di Piero – 2007 Milano, a proposito della “Flagellazione di Urbino”con ampi riferimenti alla figura di Bessarione.
Per quanto riguarda lo scisma di Michele Cerulario:
W.Ullmann – Il Papato nel Medioevo – 1999 Bari
Per quanto riguarda la narrazione dell’affresco:
Iacopo da Varazze – Legenda Aurea – a cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone – 1995 Torino
Per un approfondimento filosofico:
Dionigi Areopagita – La Gerarchia Celeste.
Roma, 4 maggio 2018
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