Il film Cabiria, di Giovanni Pastrone, va nelle sale cinematografiche nel 1914 ed è subito moda. Non solo cinematografica, ma anche di costume e di
ambiente. Uno degli architetti italiani più innovativo e di punta, ad esempio, come Gino Coppedè si ispirerà moltissimo alle scenografie di Cabiria per realizzare alcuni degli interni delle case borghesi che andava progettando proprio in quegli anni in Italia. A Roma questa influenza sarà tra quelle determinanti per la realizzazione del così detto Quartiere Coppedè.
Siamo felici di pubblicare questo contributo di Paolo Ricciardi che si lega direttamente alla visita che Roma Felix realizza nello storico quartiere romano.
Cabiria: Italia 1914, bianco e nero, 162m a 18 fps; regia: Giovanni Pastrone; produzione: Giovanni Pastrone per Itala; sceneggiatura: Giovanni Pastrone; didascalie: Gabriele D’Annunzio; fotografia: Natale Chiusano, Augusto Battagliotti, Carlo Franzeri, Giovanni Tomatis, Vincent Dénizot; effetti speciali: Segundo de Chomón; scenografia: Giovanni
Pastrone, Camillo Innocenti; musica: Ildebrando Pizzetti, Manlio Mazza.
Interpreti e personaggi: Carolina Catena (Cabiria bambina), Lydia Quaranta (Cabiria), Umberto Mozzato (Fulvio Axilla), Bartolomeo Pagano (Maciste), Italia Almirante Manzini (Sofonisba), Gina Marangoni (Croessa), Raffaele Di Napoli (Bodastoret), Emile Vardannes (Annibale), Edouard Davesnes (Asdrubale), Enrico Gemelli (Archimede), Dante Testa (Karthalo), Vitale di Stefano (Massinissa), Didaco Chellini (Scipione).
Quando ci si trova davanti a film come Cabiria, si ha la netta impressione di trovarsi al cospetto di un’opera estremamente importante, tale da far provare una certa riverenza agli spettatori, nei quali sorge la domanda, “perché questo film è importante?”.
Per rispondere a questa domanda non basterebbe un corso di storia del cinema, ma si possono velocemente ripercorrere alcuni degli elementi che fanno di Cabiria l’istituzione culturale che rappresenta. Il film infatti
incarna la completa affermazione del cinema narrativo e la padronanza del suo linguaggio, con un uso della macchina da presa che finalmente si libera della staticità dell’inquadratura fissa e inizia a muoversi all’interno di scenografie imponenti e maestose.
Cabiria è infatti anche uno dei più grandi sforzi produttivi dell’epoca. Scenografie ed effetti speciali del genere, pensiamo per esempio al Moloch, sono frutto di lavoro e costanza artigianale che difficilmente si sono ritrovati in altri ambiti culturali e nazionali.
E la sapienza artigianale si riscopre anche nella colonna sonora, con quella pietra miliare che è la Sinfonia del fuoco, firmata da Ildebrando Pizzetti.
Ma soprattutto Cabiria è il capostipite del cinema mitologico, nonché la prima apparizione sul grande schermo di Bartolomeo Pagano, attore non professionista ma scaricatore di porto scoperto a Genova dal regista che, da personaggio secondario per Pastrone, diventerà il modello di Maciste e dei forzuti italici, che perdura fino ai giorni nostri.
Basti pensare al filone mitologico hollywoodiano o allo stereotipo dell’italiano muscoloso ancora oggi ben presente, per intuire la portata di questo simbolo. Nel suo essere così italiano nell’ideazione e nella realizzazione, questo film lo è anche nelle controversie, tanto che per lungo tempo l’attribuzione del titolo è andata a Gabriele D’Annunzio, in realtà autore delle didascalie per i cartelli, un po’ per prestigio e un po’ per attirare il pubblico con un grande nome.
Seconda Guerra Punica, terzo secolo avanti Cristo. La piccola Cabiria, figlia di Batto, durante il crollo del palazzo di Catania a causa dell’esplosione del vulcano, è creduta morta assieme alla sua ancella Croessa. In realtà erano riuscite a salvarsi rifugiandosi assieme ai servi in un passaggio segreto sotto il palazzo. Giunti tutti sulle spiagge erano però stati aggrediti dai fenici e Cabiria e Croessa in particolare vendute a Cartagine a Karthalo, il sacerdote che sacrificava i bambini al Moloch, dio del bronzo. Dopo essere stata frustata, Croessa incontra il patrizio Fulvio Axillo ed il suo servo Maciste ai quali domanda di salvare la piccola Cabiria. L’intervento dei due infatti evita il sacrificio della bambina dopo il quale si rifugiano nella locanda La scimmia listata dove lavora l’anziano Bodastoret. Negli stessi giorni Annibale sta attraversando le Alpi e Fulvio Axillo medita di tornare in patria per difendere Roma.
Intanto si cerca marito per Sofonisba, la figlia di Asdrubale. Una soffiata porta le guardie alla locanda e costringe Axillo e Maciste a fuggire con la piccola Cabiria. Si nascondono nel campo di cedri dove Sofonisba e
Massinissa si erano dati appuntamento per conoscersi. Cabiria finisce allora nelle mani della figlia del re mentre Maciste viene catturato ed incatenato. La discesa di Annibale subisce un duro colpo e la città di Siracusa, alleata ai cartaginesi, viene stretta sotto assedio dalle navi romane.
Archimede studia l’uso del riflesso degli specchi e riesce così a bruciare le navi romane respingendo l’attacco. Fulvio Axillo si salva e portato dalla corrente a riva viene trovato da un gruppo di viandanti i quali, riconoscendo l’anello di famiglia regalatogli da Croessa, lo conducono da Batto.
Ritornato a Cartagine, Axillo libera Maciste mentre Karthalo arriva a Cirta per convincere Siface ad attaccare Roma, ma il suo campo militare viene bruciato dall’arrivo di Scipione, console romano in Spagna. Alla ricerca della ragazza, Axillo e Maciste sono fatti di nuovo prigionieri, questa volta di Massinissa. Nel frattempo un sogno fa scoprire a Sofonisba che l’ancella Elissa è Cabiria ormai cresciuta. Il duce romano Massinissa, vincendo contro Cirta e conquistandola, pretende anche di avere in moglie Sofonisba come bottino di guerra, mentre Axillo e Maciste riescono ancora una volta a fuggire. Massinissa sceglie di abbandonare la fede romana per amore della regina, ma è interpellato dal console Scipione che non è d’accordo. Con l’aiuto di Maciste Massinissa fa recapitare un dono a
Sofonisba la quale, obbligata ad andare in moglie a Scipione, decide di suicidarsi, mentre Cartagine cade e Cabiria è tratta in salvo e va in sposa al patrizio Axillo.
Da un punto di vista strettamente tecnico, il film di Pastrone mostra tutti le prime rudimentali conquiste del linguaggio cinematografico ancora assenti nelle altre produzioni: uso dei carrelli, di cui Pastrone aveva anche il brevetto, delle panoramiche, uso delle lunghe profondità, messa in scena sontuosa, oltre il tempio del Moloch furono ricostruite in studio anche Cartagine e Siracusa, l’insolita lunghezza della pellicola, e l’uso delle luci.
Manca ancora la conquista dello spazio filmico, ottenuta solo attraverso il montaggio di tanti punti di vista, ma si raggiunge in questa pellicola una matura concezione dello spazio cinematografico, fatta come si è detto di campi lunghi ed affrontata con carrelli che permettevano di isolare i personaggi all’interno di contesti figurativi più ampi.
A livello di produzione siamo di fronte al film più costoso del periodo, costato cioè quasi un milione di lire in oro, tra esterni girati in Tunisia, sulle Alpi e in Sicilia.
Come tutti i colossal realizzati in questo periodo e che traggono ispirazione dai poemi epici, a volte classici a volte cavallereschi, esiste dietro un pensiero nazionalista nel quale la forza, la violenza, il coraggio, sono elementi al servizio di patrie, fiducie, promesse che alludono alla storia ed alla politica attuale al periodo di realizzazione del film. La casa di produzione che realizzò questo lavoro, la Itala Film di Torino, era diretta proprio da Giovanni Pastrone, che aveva cominciato come semplice funzionario, e del suo socio Sciamengo, mentre compare tra gli operatori alla macchina da presa il regista spagnolo Segundo de Chomòn.
Dopo altre esperienze cinematografiche come regista, l’ultimo impegno di Giovanni Pastrone fu proprio la riedizione proprio di questo film con la versione del 1931.
Poiché la velocità di scorrimento all’epoca in cui il film fu proiettato nelle sale era di 16 fotogrammi il secondo e non di 24, la durata originale sfiorava quasi le tre ore. A causa del blocco che si formò tra le nazioni durante il periodo della Prima Guerra mondiale, il colossal epico, dai costi elevatissimi, non poté continuare ad essere realizzato poiché non si riuscì più a venderlo agli altri paesi e quindi a rientrare con le spese. Una copia di Cabiria fu acquistata dallo stesso D. W. Griffith il quale la studiò attentamente prima di realizzare il suo “Intolerance”, 1916.
Tutti questi film colossali ed epici però dimostrarono che il cinema stava raggiungendo una tale maturità da poter descrivere anche il passato come qualcosa di sempre più reale. La prima proiezione del film avvenne il 18 aprile 1914 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino, dove ad eseguire le musiche fu Manlio Mazza che diresse un’orchestra intera, per la scena del sacrificio invece le musiche della “Sinfonia del fuoco” furono composte da Pizzetti.
Il film uscì nelle sale nel 1914, dopo la guerra di Libia, in unʼepoca in cui in Italia da più parti viene celebrata la grandezza di Roma come modello al quale la nazione deve tendere, anche alla luce dellʼimpulso colonialista.
Sono gli anni dellʼirredentismo, che chiede l’integrazione nel regno italiano di tutti i territori considerati geograficamente o culturalmente italiani e allo scoppio della prima guerra mondiale, che segue lʼuscita del film di pochi mesi, dellʼinterventismo.
Negli anni che precedono lo scoppio della guerra la grandezza di Roma diviene un mito nazionalistico anche grazie al sapiente utilizzo che verrà fatto dei mass media.
Le riprese furono in parte effettuate a Torino, negli stabilimenti della Itala Film sulla Dora Riparia e, in esterno, In Sicilia, in Tunisia, e nelle Valli di Lanzo, dove si diceva fosse passato Annibale.
Le prime copie del film erano virate a colori, in dodici tonalità diverse.
Cabiria rappresenta un punto di svolta nella storia, non solo italiana, dello sviluppo del fenomeno cinematografico, nonché un punto di riferimento per molti cineasti.
Oltre a D.W. Griffith, che nel suo “Intolerance”, 1916, si ispira apertamente a Cabiria, va ricordato che anche Fritz Lang, nel suo “Metropolis”, 1927, inserisce una scena con un Moloch, molto simile a quello ideato da Pastrone.
A voler analizzare il film nei singoli episodi non è difficile riscontrarvi un eccesso di elementi eterogenei, un accumulo di situazioni non sempre necessarie all’intero sviluppo della storia o alla definizione dei personaggi e dei loro reciproci rapporti. Il bisogno di coniugare le vicende dei protagonisti con i fatti della Storia non sempre sortisce un effetto convincente e anche lo sviluppo del racconto a volte si inceppa su questioni date per note, e invece spesso oscure.
Ma l’insieme della rappresentazione, che si basa essenzialmente sulla successione dei fatti avventurosi, con tutte le implicazioni del caso, tende a mascherare i difetti, a sopravanzare i momenti di minore tensione drammatica, così che alla fine e nonostante talune lungaggini e ripetizioni, Cabiria conferma la sua natura e il suo valore di opera fondamentale per lo sviluppo del linguaggio cinematografico e per la ricerca di una nuova dimensione spettacolare.
Roma, 12 gennaio 2019
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