Questi grandiosi ruderi sono estesi per un’area così vasta che dalla fine del Settecento il luogo fu chiamato “Roma Vecchia”, perché si credeva appartenessero ad una città: si tratta invece dei resti della proprietà di due ricchi fratelli, Sesto Quintiliano Condiano e Sesto Quintiliano Valeriano
Massimo (come si poté appurare tramite i loro nomi impressi sulle fistule di piombo attraverso le quali passava l’acqua), entrambi consoli nel 151 d.C. e nota con il nome di Villa dei Quintili. L’imperatore Commodo, volendosi impadronire delle ricchezze dei due fratelli, nonché di questa lussuosa villa, nel 182 li fece processare per un’ipotetica congiura e condannare a morte. Confiscati i beni dei Quintili, compresa questa villa, l’imperatore la fece restaurare trasformandola in una vera reggia di campagna. Le strutture superstiti della villa denunciano due grandi fasi costruttive: la prima, caratterizzata dall’opera laterizia, riferibile al tempo dei proprietari originari, la seconda, caratterizzata dall’opera listata, attribuibile ai rifacimenti e alle aggiunte di Commodo. Il complesso è formato da cinque nuclei diversi, estesi su un terreno ondulato di circa 1.000 mq
che arriva fino all’Appia Nuova: un grande ninfeo, un giardino a ippodromo, uno stadio, un nucleo residenziale e due ambiente termali e disposti ai lati del nucleo residenziale. Sulla via Appia, dopo alcune strutture probabilmente riferibili a tabernae, la villa si apriva con un monumentale ninfeo a due piani formato da un’ampia esedra semicircolare, scandita da nicchie e con al centro una grande fontana. In origine il ninfeo era separato dalla strada tramite un muro, dopodichè ebbe un ingresso fiancheggiato da due colonne su alte basi e pilastri laterizi ai lati. Il pavimento, di cui restano tracce, era in mosaico bianco a grosse tessere. Nel Medioevo l’imponente complesso, in particolare il ninfeo monumentale, fu inglobato in un castello di proprietà della potente famiglia degli Astalli, come accadde anche per il Castrum Caetani presso mausoleo di Santa Cecilia. Il fortilizio oggi è in gran parte diroccato, ma si possono ancora notare le alte pareti in blocchetti di peperino, munite di fori per le impalcature lignee e l’ingresso rinforzato con mura di tufo e selce. Dietro il ninfeo si estendeva un grande peristilio o giardino porticato lungo circa 300 metri e largo, dopo la demolizione di un originario muro di cinta, oltre 100 metri: proprio su questo muro di cinta, sul lato orientale, poggiava lo “speco” dell’acquedotto Anio Novus che riforniva la villa.
Al di là del giardino, verso nord, alcuni grandiosi ambienti facevano parte delle terme: un’aula rettangolare di m 13,50 x 11,60, con pareti aperte da finestroni su due piani ed una piscina al centro, originariamente rivestita di marmo; una grande sala rotonda, del diametro di m 36, probabilmente scoperta ed adibita a piscina. Nel lato rivolto a Occidente si trova una cisterna circolare del diametro di 29 metri, a due piani, in laterizio con contrafforti in opera reticolata, sulla quale fu edificato nel Medioevo il “Casale di Santa Maria Nuova”, seguito da un massiccio nucleo cementizio di un sepolcro a forma di piramide che, per la ricchezza dei frammenti di sculture ed elementi di decorazione architettonica rinvenuti, viene attribuito proprio ai due fratelli Quintili. Il nucleo residenziale della villa era articolato intorno ad un ampio cortile rettangolare, pavimentato con lastre di marmi colorati così come anche le pareti e i pavimenti, mentre pitture e stucchi decoravano le volte e la parte superiore degli ambienti. Tutte le stanze del complesso erano dotate di un vero e proprio sistema di riscaldamento tramite tubi di terracotta, inseriti nelle pareti, all’interno dei quali era fatta passare l’aria preriscaldata. Infine, sul versante orientale, si estendeva un secondo giardino a forma di circo, probabilmente utilizzato come ippodromo, lungo circa 400 m e largo tra i 90 ed i 115 m. Lo scrittore greco Olimpiodoro scrisse che «la villa conteneva tutto ciò che una città media può avere, compresi un ippodromo, fori, fontane e terme». In un ampio locale, precedentemente adibito a stalla, situato in un moderno casale accanto all’attuale ingresso della villa sulla via Appia Nuova, è stato recentemente allestito un Antiquarium, dove vi sono conservati preziosi reperti ritrovati tra il 1925 ed il 1929,
quando la proprietà apparteneva ai Torlonia (che la acquistarono nel 1797), e quelli rinvenuti alla fine degli anni Novanta, quando la villa era divenuta proprietà dello Stato (il passaggio avvenne nel 1985). La sala è dominata da un’imponente statua di Zeus seduto su una roccia, risalente alla prima metà del II secolo d.C. e circondata da vetrine in cui sono esposte statuette provenienti dall’area di un santuario dedicato a divinità orientali e a Zeus Bronton, dio dal carattere agricolo. Ritratti, erme, rilievi, monete, frammenti di affreschi parietali e decorazioni architettoniche completano la piccola esposizione. Il resto dei ritrovamenti sono conservati nei Musei Vaticani oppure sparsi in varie collezioni pubbliche e private, come quella immensa della famiglia Torlonia.
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